Buonanotte principe gentile, e voli d’angeli ti accompagnino cantando al tuo riposo
(Amleto, William Shakespeare)
E così Philip di Mountbatten, duca di Edinburgo, principe consorte della regina Elizabeth II d’Inghilterra, riposa nella cappella di San Giorgio del castello di Windsor, residenza avìta dei reali e della sua famiglia. E lì attenderà che si compia il destino glorioso del suo matrimonio e della corona che ha aiutato la sua sposa a cingere. Finché a quel Dio che protegge i re e le regine d’Inghilterra piacerà di ricongiungerlo alla donna con cui ha vissuto 73 dei suoi 99 anni.
Non ci sono versi migliori al mondo di quelli dell’Amleto di Shakespeare per salutare il principe Philip, l’uomo che ha incarnato al pari della regina il crepuscolo, a volte dorato a volte traumatico, della Gran Bretagna e del suo Impero. Quella tenutasi sabato a Windsor può essere a buon diritto considerata l’ultima cerimonia di quell’Impero, o per meglio dire la penultima. La grande storia cominciata con Elizabeth I e conclusasi con Elizabeth II verrà rievocata un’ultima volta quando quest’ultima percorrerà a sua volta il tragitto lungo il quale sabato ha seguito il feretro del marito. Quando la grande regina – ultima della storia di un paese che di regine, e grandi, ne ha avute molte – prenderà a sua volta congedo dai suoi sudditi e dal mondo intero che l’ha rispettata, ammirata, perfino amata.
E’ stato chiamato in tanti modi, suo marito Philip. Gentile, per la verità, non è mai stato uno di questi. Quando sposò la futura sovrana di Gran Bretagna era conosciuto come il tedesco. Di quella famiglia Battenberg, divenuta poi Mountbatten quando i vocaboli di provenienza germanica vennero banditi dal regno per motivi patriottici, era indubbiamente colui che incarnava meglio lo spirito originario, più teutonico che british. Anche se poi era quello che in un certo approccio ironicamente british alla vita ed all’etichetta di corte si era calato meglio, col tempo.
Della fama di gaffeur e di tombeur des femmes lasciamo che parlino la stampa tabloid ed i gossip magazines. Qui ci teniamo nel solco proprio del Times e della BBC, capaci una volta di più di aprire una finestra esaustiva sulle vicende della famiglia reale senza mancare di rispetto neanche per un attimo ad essa ed al popolo che rappresenta da sempre, in corrispondenza biunivoca di affettuosi sentimenti. Honni soit qui mal y pense, sia svergognato chi pensa male, secondo il motto dell’Ordine della Giarrettiera di cui la consorte di Philip é istituzionalmente a capo, e che affianca quello della corona britannica dai tempi di Guglielmo il Comquistatore: Dieu et mon droit.
E così, salutato per sempre l’ultimo dei Mountbatten e di un passato imperiale che ormai appartiene ai libri di storia, per quanto gelosamente custoditi, dedichiamo il pensiero che resta in noi al termine della cerimonia a quegli occhi arrossati visti di sfuggita dietro al vetro dell’auto con cui Sua Maestà ha seguito l’estemporanea Land Rover Defender con cui il suo principe consorte ha dato disposizione di essere traslato fino alla cappella di San Giorgio (non aveva rinunciato alla sua passione per le auto, Philip, neanche quando, un paio di anni fa gli era stata ritirata la patente a seguito di un incidente stradale da lui provocato).
Voci di Palazzo, quello di Buckingham, hanno dato la regina in lacrime al momento dell’annuncio del decesso del marito. E vorremmo ben vedere. Lacrime tuttavia a cui probabilmente non ha assistito nessuno, o quasi. La Royal Family britannica rappresenta il paese che non batte mai ciglio di fronte alle avversità, e che a suo tempo ha dominato il mondo con i suoi understatements ancora più efficaci della sua marina. Elizabeth Alexandra Mary Windsor rappresenta quella Royal Family e quel paese come forse nessun altro da tempo immemorabile ha saputo fare.
Non si piange, indossando la corona del Commonwealth. A meno di non essere o ritenere di essere completamente soli, come nell’attimo in cui i fotografi hanno immortalato quel volto solo parzialmente celato dalla mascherina anti-Covid, e colto quegli occhi arrossati che hanno reso nuovamente umana la regina che ha attraversato impassibile il crepuscolo dell’Impero, il tragico ventesimo secolo e tutta una serie di vicende familiari spesso abbastanza tragiche anch’esse per la loro parte.
La BBC è impagabile nel proteggere la sua sovrana e nello stesso tempo nel rappresentarne la sua stoica grandezza anche nell’ora più difficile. Elizabeth è inquadrata di rado, in macchina e sui banchi dell’oratorio della St. George chapel in cui siede da sola, distante dagli altri membri della sua famiglia (tra i quali spicca suo figlio Charles, il suo erede, che sfoggia anch’egli un paio di occhi inequivocabilmente arrossati), e non per i protocolli Covid. Ma piuttosto per quelli che ristabiliscono anche in questa circostanza un’etichetta plurisecolare ed immutabile.
La regina è sola, ed è abituata ad esserlo da tutta una vita di servizio al suo paese. Così vengono educati ad essere i sovrani inglesi, così è stata lei e sarà fino alla fine. La corona è un peso che si porta da soli. Elizabeth la porta da quasi 70 anni, ed insegue ormai il record assoluto che appartiene al Re Sole, Luigi XIV di Francia, che la tenne in testa per 72. Elizabeth Windsor non ha mai neanche lontanamente sognato di dire, come Luigi, Lo stato sono io. Può dire a buon diritto invece L’Inghilterra sono io. Nessuno la rappresenta quanto me.
Per questo siede da sola, apparentemente fragile ma in realtà forte come la polena di un vascello della Royal Navy. Scolpita nello stesso metallo di cui era fatta la prima regina del suo nome. Come lei, giunta ai suoi ultimi giorni con una dignità che trascende le normali esistenze umane, e che forse la porta ormai a dialogare, nella sua solitudine adesso diventata anche fisica, soltanto con quel Dio di cui è vicaria in terra, almeno quella soggetta al governo della Chiesa Anglicana.
Elizabeth Tudor, sentendo la fine ormai prossima, chiamò la servitù e ordinò: «Chiamatemi un prete, ho deciso di morire». Elizabeth Windsor ha ancora tempo, a Dio piacendo, per pensare a quelle che saranno le sue ultime parole. Una donna qualsiasi c’é da giurare che avvertirebbe a questo punto soltanto la sensazione irresistibile di seguire l’uomo con cui ha vissuto quasi da sempre. Una donna che porta quella corona che ormai pesa soltanto sulla sua testa potrebbe avvertire la tentazione egualmente forte di continuare quel suo civil service avviato sotto le bombe del blitz tedesco su Londra ed ereditato dal padre George VI nell’ora più buia della storia di un paese che a lei dovrà dedicare diversi capitoli.
Vedremo. Nel frattempo, ora più che mai, Dio salvi la Regina.
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