La RAI aveva preso per mano l’Italia che seguiva le lezioni del maestro Manzi a Non è mai troppo tardi, e l’aveva accompagnata a diventare un paese moderno, abitato da gente istruita e moderna, affrancata dal suo retaggio contadino. Nei suoi palinsesti, tanti erano i programmi che ambivano ad essere considerati nazional popolari, nel senso che riscuotevano una audience (termine che stavamo importando dai paesi apripista di lingua anglosassone) di massa, in tutto il popolo e per tutta la nazione.
Ma ce ne fu uno in particolare che fece da spartiacque tra la televisione dei primordi che divertiva il popolo educandolo (o viceversa) e quella che a partire più o meno dal 1968 si preoccupava soprattutto di fornire intrattenimento, brevettando anche in ambito televisivo la formula del Varietà.
Canzonissima nacque alla radio, nel 1956, e si chiamava originariamente Le canzoni della fortuna. Invitava a gara talenti canori dilettanti provenienti da tutte le regioni d’Italia, frammisti a qualcuno dei cantanti professionisti di fama nazionale (la formula dei cosiddetti ospiti).
Nel 1958, l’anno in cui Domenico Modugno fece della canzone italiana un qualcosa di improvvisamente ed irresistibilmente moderno con Volare, vincendo la massima rassegna canora nazionale, il Festival di Sanremo, la kermesse delle canzoni popolari passò in TV, nelle sapienti mani di registi come Antonello Falqui e Lino Procacci, nonché di sceneggiatori come Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Sul palco, sotto le luci dei riflettori amplificate e rese quasi psichedeliche dal bianco e nero imperante allora, andarono fuoriclasse del varietà d’autore come Paolo Panelli, Bice Valori, Nino Manfredi (fusse ca fusse la volta bbona, diceva la sua maschera ciociara invitando i telespettatori a comprare i biglietti della Lotteria Italia che da subito era stata abbinata al nuovo spettacolo del sabato sera), Alberto Lionello, Lauretta Masiero, Aroldo Tieri.
Ma soprattutto vi andavano i cantanti, che trasformarono la prima serata RAI in una specie di Sanremo che durava tutto l’autunno fino al fatidico sei gennaio, la sera della Befana in cui si decretava il vincitore tra i cantanti e quello abbinatogli tra i telespettatori.
Canzonissima fu per vent’anni il massimo evento della Rai, quello davanti a cui si radunavano tutti, ma proprio tutti, intellettuali e popolani, ricchi e poveri, nei salotti di casa e nei luoghi di ascolto pubblico, dopo cena, dopo il TG delle 20,00, dopo Carosello.
La storia di Canzonissima è la storia della televisione italiana. L’edizione del 1962 fu storica e sintomatica, perché lo scandalo Dario Fo – Franca Rame che abbandonarono il programma per non sottostare alla censura sui loro testi già decisamente orientati a sinistra dette la misura dei tempi nuovi che stavano arrivando, anche se con fatica in un’Italia ancora largamente democristiana, moralista, bacchettona, conformista e perbenista oltre misura.
Seguirono gli anni di Mina, di Delia Scala, di Walter Chiari e ti tanti altri big dello spettacolo. Fino a quel fatidico 1970. Fino a lei, che della storia fece leggenda.
C’é un prima e un dopo Raffaella Carrà, e non soltanto sul set e dietro le quinte di Canzonissima. C’é un prima e un dopo il suo grazioso ombelico offerto con classe ma anche con sana spregiudicatezza dalla ballerina bolognese (che cominciava allora una carriera da donna di spettacolo a 360° come pochissime altre) alla pruderie di un pubblico per il quale la liberazione sessuale e culturale era ancora di là da venire.
Raffaella stregò gli italiani in un modo che non è possibile dimenticare neanche cinquant’anni dopo, e li rese anche a suo modo più emancipati, più maturi. Era l’epoca in cui in Parlamento fioccavano le interrogazioni se le gemelle Kessler mostravano qualche centimetro in più delle loro caviglie. Raffaella espose orgogliosamente il suo leggendario ombelico e lo fece con un garbo ma tuttavia con una carica erotica che pochissime altre donne avrebbero saputo anche soltanto imitare, in seguito.
Da Ma che musica maestro al Tuca Tuca duettato con un assai sornione Alberto Sordi (che già aveva saputo reggere la scena a fianco di Mina), la Raffa nazionale anticipò come ballerina le piroette di Flashdance impreziosite dal volo selvaggio dei suoi capelli d’oro e come showgirl più o meno tutti i format che avrebbero trasformato la TV di stato in TV commerciale. Sempre senza mostrare un centimetro di più di se stessa, dall’anima alla pelle, di quanto il buon gusto ed una classe appunto in lei innati suggerissero.
Raffaella Carrà accompagnò Canzonissima ed i suoi aficionados (che a quel punto erano anche e soprattutto aficionados di lei) fino all’ultima edizione del 1975, quella in cui si consacrarono Cochi e Renato, che salutarono per l’ultima volta la trasmissione con una delle sigle più fortunate di sempre: E la vita la vita. Il calo di ascolti (che coinvolgeva anche i mostri sacri della canzone in gara come Gianni Morandi, Massimo Ranieri e c.) consigliò ai vertici RAI di sopprimere il programma.
Salvo riprenderlo quattro anni dopo, con un nome diverso, Fantastico, ma con tutto il resto più o meno intatto. Comprese le showgirl ballerine, Loretta Goggi ed Heather Parisi, due signore del varietà niente male neanche loro.
Eppure, Raffaella ed il suo ombelico che ormai, dieci anni dopo, a ripensarci ed a confrontarlo con ciò che stava passando in TV faceva quasi tenerezza, restavano ormai nel cuore di tutti come inarrivabili.
E’ il privilegio della storia e dei suoi personaggi che abbiamo vissuto e visto da ragazzi. Siamo diventati più grandi di quanto ci piaccia pensare e ricordare. E tuttavia la voce, la risata, i capelli d’oro ed i passi di danza di Raffa ce li abbiamo sempre qui, al solito posto.
Sul cuore.
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