A vent’anni esordisce in Nazionale con addosso la maglia di Gianni Rivera (nella Fiorentina due anni prima, con addosso la maglia di Picchio De Sisti). A fine partita gli fa i complimenti Johann Cruyff, avete presente chi?
Non si può capire oggi che cos’era ai suoi tempi Giancarlo Antognoni per una città che viveva di opere d’arte e che di opere d’arte non ne aveva viste realizzare più, da tempo immemorabile. Che aveva visto vincere uno scudetto, anzi due, e in anni non lontani, ma che improvvisamente sembravano lontanissimi.
A quell’epoca, la Fiorentina giocava al buio. La gente andava allo stadio sperando che si accendesse improvvisamente la luce. E poteva farlo solo lui.
Correva a testa alta, passo elegante da ballerino, il pallone incollato ai piedi senza bisogno di abbassare mai lo sguardo a controllare.
In nazionale, dopo quell’esordio di Rotterdam e i complimenti del Pelé Bianco, era rimasto solo lui ad inorgoglire Firenze. Quella numero 10 la volevano in tanti, ma ogni volta Enzo Bearzot la lanciava a lui, da indossare. Quando giocavano gli azzurri, un undicesimo era viola. All’epoca sembrava di avere chissà cosa, un nuovo Michelangelo o Leonardo da Vinci. Sembrava di aver vinto ancora prima di giocare, come dice qualcuno ancora adesso.
Gli auguri di oggi sembrano anche poco, di fronte a tutto questo.
Cosa vuoi di più dalla vita? Una società seria, un incarico serio. E poi hai vinto davvero tutto.
Buon compleanno Antonio.
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