«Governare gli italiani non è difficile, è inutile». E’ uno dei più celebri aforismi della nostra storia politica. Pare che il primo ad enunciarlo fosse il più liberale dei nostri leader, Giovanni Giolitti. Fu ripetuto con la stessa convinzione dal più illiberale dei suoi successori, Benito Mussolini. Un qualche fondamento, viene da pensare, deve pur averlo.
L’aforisma è citato da molti memorialisti e addetti ai lavori della storiografia. Due nomi su tutti: Giulio Andreotti (che gli italiani li ha governati a lungo) e Indro Montanelli. Quest’ultimo avrebbe rincarato addirittura la dose specificando: «In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?»
Siamo una stranissima commistione di anarchia e servilismo, fin dagli albori della nostra storia nazionale. Lo Stato unitario era appena stato fatto e già i predecessori di Giolitti dovevano constatare quanto fosse difficile dare attuazione a quel precetto con cui Massimo D’Azeglio aveva gelato subito gli animi: Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani.
Facile a dirsi. Non siamo un popolo, almeno nel senso in cui si intende questa parola nell’era più o meno moderna. Non c’è nessun sentimento di solidarietà che ci lega. Ognuno pensa al suo particulare, la citazione stavolta è di Francesco Guicciardini, che scrisse il suo giudizio in tempi lontani e non sospetti: circa tre secoli prima del Risorgimento.
Diresti dunque che un assembramento (per usare un termine più adeguato, di recente tra l’altro divenuto di grande attualità) di individualità di tal fatta non corre rischio di subire regimi illiberali. Niente affatto, e qui entra in gioco il postulato di Montanelli: siamo paurosi, della nostra ombra, basta un minuscolo microorganismo a metterci tutti a casa, figurarsi la presenza sulla scena di qualche energumeno politico o anche di una semplice congiuntura economica.
Per paura di una dittatura rossa, cento anni fa ne confezionammo e brevettammo una nera che da allora è un marchio di fabbrica tra i nostri più famosi. Il fascismo l’abbiamo brevettato e diffuso noi, in tutto il mondo. Ha avuto buon gioco a ricordarcelo pochi giorni fa perfino un delinquente nordafricano condannato per aver ucciso la propria figlia, in ossequio alla Sharia.
Poi fa la sua parte il nostro carattere nazionale. Siamo un paese (non un popolo) di servitori, di maggiordomi sempre in cerca di un padrone da servire. Anche a non volere, chi ha tentazioni liberticide qui si ritrova la strada spianata ed il palazzo già pronto.
Anno di grazia 2021. Siamo alle solite. L’uomo della provvidenza di turno ha il sorriso fintamente rassicurante del funzionario di banca che vi ha fissato l’appuntamento quando siete in difficoltà economica. Mario Draghi sembra una di quelle pubblicità dei fondi di investimento che ogni tanto ci passano davanti agli occhi in TV. Non lo diresti un epigono delle Volanti Rosse e delle Squadracce Nere. Ma è il tipo di padrone più rassicurante, quello più pericoloso, a cui l’italiano medio non ha mai saputo resistere.
La nostra storia è piena di governi tecnici, e di salvatori della patria investiti prima dal Re d’Italia e poi da quel surrogato ormai impresentabile e ingiustificabile che è il Presidente della Repubblica. Nelle ultime sue incarnazioni, un anziano signore che a genio suo escogita formule politiche spacciate per ritrovati tecnici per salvare l’Italia da pericoli che vede soprattutto lui. O chi ce l’ha messo.
Mario Draghi è l’ultimo di una lunga serie, iniziata ancora sotto lo Statuto Albertino con il maresciallo Pietro Badoglio (l’unico governo tecnico che visti i frangenti di allora forse qualche ragione di esistere e di salvare l’Italia la ebbe) e proseguita in regime repubblicano ed in vigenza della nostra Costituzione. Da Giuliano Amato a Giovanni Goria, da Giovanni Leone e Mariano Rumor a Carlo Azeglio Ciampi, i tecnici chiamati al salvataggio soprattutto delle legislature che non avevano ancora maturato ai parlamentari il diritto alla pensione sono stati diversi.
L’ultimo è stato Mario Monti, personaggio luciferino, quasi dantesco, che a tutt’oggi passa per il salvatore dell’Europa, dell’Euro, dell’Italia e forse di qualche lontana galassia. Nel 2011, dieci anni fa, la Costituzione repubblicana fu sospesa, al suo posto fu insediata una Junta economica che aveva l’unico fondamento sostanziale nel sostegno che le veniva dall’Unione Europea e come unico programma quello che l’Europa voleva si facesse nella nostra penisola. La Costituzione del 1947, checché ne dicano i costituzionalisti a libro paga dei partiti, in vigore com’era prima (pur con pregi e difetti) non c’è tornata più.
Dieci anni dopo abbiamo di nuovo un paese da salvare, ridotto così dai sovranisti e dal bacillo lanciato dai complottisti e favorito dalla nostra idiozia anti-sanitaria cominciata al tempo della spending review.
La prossima settimana quasi tutti i partiti, anche quelli che l’ossequio al Re d’Italia Mattarella lo danno a bocca stretta e a collo torto, voteranno la fiducia al più celebre e prestigioso di tutti i bancari. Nella speranza apparente che ripeta il miracolo compiuto alla BCE. In realtà per operare un nuovo miracolo, quello di portare la più abbietta di tutte le caste al 2023.
Il PD ha fatto il secondo bingo in due anni. Un partito ormai all’angolo, senza più alcuna ragion d’essere ideale né in possesso di alcuna soluzione condivisa per i veri problemi del paese si ritrova per l’ennesima volta a governare senza aver vinto una elezione. Ormai il PD propugna a scena aperta il sostegno ad una invasione straniera i cui effetti quotidiani sembrano fatti apposta per fare incazzare scientemente gli italiani. Eppure sono lì, a concionare di diritti spettanti a tutti meno che a chi ha avuto al disgrazia di nascere in questo paese. Con la variante Renzi che rende ancora più complicata qualsiasi forma di vaccinazione contro i massimalisti di (presunta) sinistra.
I 5 Stelle sono all’ultimo atto della loro commedia dell’arte avviata dal comico fallito Grillo in un momento in cui le plebi non soltanto meridionali avevano un rigurgito di assistenzialismo e di ribellismo. Più che una commedia, una farsa di pupi che fingono di prendere a mazzate tutto e tutti e aprono scatolette di tonno avariato restando regolarmente con la linguetta in mano a rischio di tagliarsi. Con loro Draghi deve operare il miracolo della sopravvivenza. Nel prossimo Parlamento, se mai si voterà per eleggerlo, dovrebbero contare quanto la Bonino o la Boldrini in questo. E non perché il Dibba se n’è andato. Ma perché se n’è andato l’elettorato.
Anche la Lega ha fatto bingo. Dopo la stronzata di Salvini dell’estate 2019, ecco la stronzata (stavamo per scrivere strambata, in tempi di Coppa America) di fine inverno 2021. Il culto della personalità che impera nel Carroccio continua a narrare di un capo infallibile che come Giovanni dalle Bande Nere ha sbaragliato l’assedio giallorosso rovesciando le carte in tavola. Adesso governerà accettando tutti i punti del programma imposto dai gialli e dai rossi, e non potrà più chiamarsi fuori dalle conseguenze in termini di immagine e non solo. Nel frattempo, va a Canossa ad omaggiare i signori della UE votando contro gli alleati sovranisti in Europa. Alternative fur Deutscheland ringrazia, Alternative fur Salvini forse è già cominciata. Luca Zaia sarebbe senz’altro un leader meno pasticcione per la Lega, alla luce di quello che ha fatto vedere in Veneto nell’ultimo drammatico anno. Quello che Salvini ha trascorso facendo opposizione su Facebook.
Forza Italia è Forza Italia, il Partito Azienda. Lì comanda uno solo, quello che scese in campo 30 anni fa e c’è rimasto. Silvio Berlusconi ha da salvare le proprie aziende, lui sì, dopo il terrore vissuto nel 2011 di aver perso tutto il lavoro di una vita. Ha cinque figli, nessuno dei quali particolarmente brillante, e si deve assicurare che dopo la sua scomparsa abbiano di che sostentarsi. Ecco perché sostiene non solo Draghi ma – se glielo chiedono – qualunque cosa assomigli ad una grande ammucchiata istituzionale dove tutto si stempera e niente di concreto viene più fatto. Niente di buono, ma neanche danni. Per le sue aziende, si intende, non per il paese che diceva di amare 30 anni fa.
Restano sul campo dell’onore, e dell’onere di ripresentarsi all’elettorato tra due anni con la faccia ancora pulita, Giorgia Meloni ed i Fratelli d’Italia. La primadonna della politica italiana potrebbe passare all’incasso di questa sua scelta coraggiosa in futuro, diventando la prima donna a ricoprire qualcuna delle massime cariche dello stato. Se sopravvive al sostanziale sessimo del duo Berlusconi – Salvini con annesso desiderio di questi di mantenere lo scettro del centrodestra come cosa loro, potrebbe anche farcela. Ve la immaginate l’Italia tra due anni?
I Celti in rotta davanti ai Romani invasori della Britannia si risolsero ad affidarsi ad una regina guerriera, Boadicea, che li ripagò protraendone la resistenza oltre l’impossibile. Un popolo di servi e di camerieri come il nostro potrebbe alla fine scoprire che certe cose le donne le sanno fare meglio. Dal rimettere a posto una stanza al rimettere a posto un paese.
In settimana Mario Draghi giura fedeltà alla repubblica e si presenta in Parlamento. Forse addirittura sapremo anche con quale programma.
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