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Il voto alle donne

Compie settantasette anni il suffragio universale in Italia. Il voto alle donne fu definitivamente introdotto nel nostro ordinamento giuridico con decreto luogotenenziale n. 23 del 31 gennaio 1945, che ratificava la proposta del presidente del consiglio, il socialdemocratico Ivanoe Bonomi, capo del governo provvisorio istituito dal Comitato di Liberazione Nazionale dopo la caduta del Fascismo.

Proprio al Fascismo spetterebbe in realtà tecnicamente il diritto di paternità per il suffragio femminile nel nostro paese. Dopo l’esperimento dannunziano a Fiume con la Reggenza del Carnaro, paradossalmente le cosiddette Leggi Fascistissime del 1925 se da un lato introdussero una serie di norme gravemente liberticide alle quali si fa risalire il vero e proprio inizio della dittatura di Benito Mussolini dall’altro introdussero quale elemento clamorosamente rivoluzionario proprio l’estensione del voto alle donne, ancorché limitato alle sole elezioni amministrative.

Peccato che quella innovazione, che avrebbe potuto consegnare alla storia il regime con un connotato incredibilmente progressista e che raccoglieva comunque un’istanza che il liberalismo post-unitario aveva fortemente disatteso, fosse destinata a rimanere lettera tragicamente morta, poiché ad essa fece seguito a breve scadenza,  nel 1928, l’altra norma che aboliva definitivamente le consultazioni elettorali in Italia, eliminando il diritto all’elettorato attivo e passivo tanto per gli uomini che per le donne.

Toccò quindi attendere la Liberazione, affinché le forze politiche della rinata democrazia rendessero effettivo tale diritto, in linea con la Costituzione che ci si stava accingendo a scrivere e con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che di lì a poco le neonate Nazioni Unite avrebbero promulgato. Perfino il Luogotenente del Regno Umberto di Savoia, di fatto dal 1944 capo dello stato italiano per l’abdicazione prima sostanziale e poi formale del padre Vittorio Emanuele III, vide con favore il provvedimento, in quanto riteneva che la componente femminile dell’elettorato sarebbe stata benevola verso la Monarchia nel referendum istituzionale che di lì a poco avrebbe avuto luogo.

Dopo il test delle elezioni amministrative del maggio 1946, le prime in Italia dopo 18 anni, le donne tornarono a votare insieme agli uomini proprio in occasione della scelta tra Monarchia e Repubblica il 2 giugno sempre di quell’anno. Il calcolo di Umberto, nel frattempo diventato Re di maggio, si rivelò sbagliato, le donne parteciparono al trionfo repubblicano. Il suffragio universale allineò definitivamente l’Italia al novero delle nazioni politicamente e civilmente progredite partecipanti alle Nazioni Unite.

Tra queste, era ormai senza discussione il primato dei paesi anglosassoni, Commonwealth britannico e Stati Uniti d’America, che avevano acconsentito alla concessione del suffragio femminile già al termine della prima guerra mondiale. Il movimento delle Suffragette, nato in Gran Bretagna nella seconda metà dell’Ottocento, era stato fortemente osteggiato nella patria del liberalismo moderno. Ma alla fine della Grande Guerra, durante la quale per forza di cose le donne avevano avuto un ruolo paritario a quello degli uomini nella società civile riorganizzata dal conflitto, le Suffragette avevano vinto. Anche se il primato storico spetta tuttavia alla Nuova Zelanda, formalmente sotto la corona britannica ma autoamministrata, che nel 1893 fu la prima delle colonie di Sua Maestà la Regina Vittoria a concedere il voto alle donne, seguita poco dopo dalla vicina Australia.

Tra queste date, il 1918, anno in cui la Madrepatria inglese si allineò a sua volta a colmare la lacuna, ed il 1920, anno in cui le ex colonie americane, gli U.S.A., fecero altrettanto, il primato di civiltà fu soffiato agli anglosassoni dagli scandinavi. Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca ebbero il suffragio universale tra il 1903 ed il 1913. La Turchia di Kemal Ataturk segnò da parte sua un bel punto di modernizzazione e laicizzazione risultando il primo paese di area musulmana a concedere il diritto di voto alle donne nel 1926. La Russia bolscevica, tra i primi atti stabiliti dal nuovo governo dei Soviet in quell’annus mirabilis et terribilis 1918, adottò proprio quello che estendeva il voto alle donne, in linea con la dottrina socialista.

La rivoluzione russa fu un fattore di accelerazione ulteriore per la realizzazione di un sogno, quello della parità di diritti con l’uomo, che le donne europee ed americane avevano iniziato a coltivare all’epoca della rivoluzione francese. Fu Robespierre a porre fine durante il Terrore a qualsiasi dibattito in merito. La Francia dovette attendere anch’essa la liberazione dal nazifascismo, nel 1944, allorché De Gaulle e la quarta repubblica colmarono quella che era stata una vistosa e grave lacuna delle prime tre.

I francesi a suo tempo avevano soffocato anche un altro esperimento progressista sul proprio territorio. Nel 1755 Pasquale Paoli aveva dichiarato l’indipendenza della Corsica dalla Repubblica di Genova e adottato una costituzione democratica che prevedeva un’Assemblea Nazionale eletta a suffragio sia maschile che femminile, la prima della moderna storia europea.

Quando conquistarono l’isola 14 anni dopo annettendosela, i francesi revocarono quella costituzione riportando l’isola stessa a quell’Ancien Regime che vent’anni dopo sarebbe stato spazzato via dalla Grande Rivoluzione, ma non ancora per le donne. E così, nella civile Francia che tante volte abbiamo ammirato per i suoi istituti e le sue idee all’avanguardia, le donne finirono ad avere il diritto di decidere del proprio destino soltanto pochi mesi prima delle loro cugine italiane.

Anche la rivoluzione americana si dimenticò delle donne. Nel 1776, mentre a Philadelphia il Congresso dichiarava l’indipendenza e la libertà di tutti gli uomini (di razza bianca) nati sul suolo americano, solo lo Stato del New Jersey volutamente omise di specificare che quel diritto era riservato alla componente maschile. Per vent’anni le donne del New Jersey poterono votare, anche se con consistenti limitazioni. Finché nel 1807 quel diritto fu emendato, ma in negativo.

Dopodiché, se gli americani di origine africana dovettero aspettare Lincoln e la Guerra Civile per essere riconosciuti uomini, liberi, americani e soggetti di diritto, le donne di qualsiasi colore dovettero attendere Woodrow Wilson e la Grande Guerra. L’inutile strage almeno in questo si rivelò utile: dopo il 1918 il mondo non fu più lo stesso per nessuno. Ma soprattutto diventò un posto più vivibile per le donne, che con il diritto di voto poterono quasi dappertutto iniziare la loro scalata effettiva alle pari opportunità.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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