E’ il compleanno degli Stati Uniti d’America. 4 luglio, il giorno in cui cessarono di essere colonie inglesi e divennero una nazione indipendente e sovrana. Per capire la storia degli U.S.A. e la mentalità dei loro cittadini bisogna partire proprio da questo giorno e dal modo in cui viene vissuto. L’inno nazionale, la mano sul cuore, tutti – nessuno escluso – che si fermano e cantano. Poi dopo vengono i barbecues e altri happenings folkloristici. Ma il sentimento che ogni americano mette nella celebrazione dei simboli della propria nazionalità, della propria stessa essenza, è un qualcosa che varrebbe la pena di analizzare più spesso, non parliamo di imitare per quanto possibile.
Oggi i brani del giorno, in omaggio alle 243 candeline degli Stati Uniti d’America, sono diversi, e non può essere altrimenti. Abbiamo scelto rappresentazioni particolari, come quella in cui Celine Dion interruppe la sua maternità per celebrare il suo Tribute to the Heroes a pochi mesi dall’11 settembre 2001.
Iil 2 maggio 2002 ecco la cantante canadese partecipare al dolore della sua nazione adottiva cantando God Bless America a bordo della portaerei statunitense Harry S. Truman.
Ecco poi Jon Bon Jovi, leader dell’omonimo gruppo allora all’apice del successo, cantare America the Beautiful davanti ad una caserma dei Firemen di New York che in quell’11 settembre avevano pagato un altissimo tributo di vite umane, oltre 400. Siamo nel 2003, il dolore e la commozione erano ancora visibilmente devastanti.
Eccoci qui invece a Los Angeles, in una circostanza sicuramente più allegra, anche se altrettanto commovente.
Prima del match tra i Galaxy locali ed i Seattle Sounders, ecco come di consueto l’inno nazionale, Star-spangled banner, cantato stavolta non da una star affermata ma bensì da una bambina di sette anni, Malea Emma Tjandrawidjaja, vincitrice del #GalaxySocial National Anthem Contest.
Perfino un insolitamente rilassato Zlatan Ibrahimovic si mostra deliziato dalla performance della bambina di origine indonesiana.
Ed eccoci infine ad un brano non ufficiale, ma ugualmente popolare e significativo. E’ il meno patriottico e più anticonformista dei singers americani, Bruce Springsteen, a spiazzare come sempre i suoi concittadini con un brano che parla della difficoltà di realizzare il sogno americano, attraverso parole e melodie che come spesso è successo (celebre il precedente di Born in the U.S.A.) vengono invece recepite dal pubblico come una specie di national anthem suppletivo. Ecco come il Boss ci racconta il suo Indipendence Day.
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