Era il 3 settembre 1982. Una mano ignota lasciò scritto sul muro di una abitazione in Via Carini a Palermo quello che per tanti anni è stato l’epitaffio più celebre – ed amaro – della lotta alla mafia. «Qui è morta la speranza dei siciliani onesti». A pochi passi da quel muro, poche ore prima si era consumato l’omicidio del generale dei Carabinieri e Prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.
Dieci anni dopo, il clima di terrore era tale che nessuno ebbe il coraggio di scrivere nulla sui muri di Via D’Amelio, in quella stessa Palermo. A Capaci, poche settimane prima, la voragine lasciata dal gruppo di fuoco di Giovanni Brusca al posto dell’autostrada A29 che collega l’aeroporto di Punta Raisi al capoluogo siciliano era stata talmente profonda da non lasciare spazio per scritta alcuna.
Abbiamo atteso altri trent’anni. Fino a ieri, allorché la mano ignota, il Pasquino palermitano è tornato a scrivere. L’epoca della paura sembra improvvisamente finita. L’arresto del boss Matteo Messina Denaro sembra aver scatenato una euforia collettiva che solo il tempo ed i successivi sviluppi diranno quanto è fondata.
Ma intanto il popolo siciliano e un po’ tutto quello italiano vogliono godersela, questa euforia. Ecco allora che qualcuno ha lasciato sulla tomba di Giovanni Falcone nella chiesa di San Domenico a Palermo (una sorta di Santa Croce del capoluogo siciliano dove vengono tumulati i corregionali illustri) un biglietto con scritto: «Ce l’abbiamo fatta, Giovà……dopo trent’anni!!!».
La mano, come detto, è e resterà ignota. Ma dal tono sembra si tratti di uno di quei siciliani onesti che tanti anni fa persero la speranza davanti al sangue del generale e che adesso sembrano averla ritrovata di colpo. Forse un collega del giudice? Forse semplicemente un concittadino. Come quello studente neolaureato che ha deposto ai piedi della stessa tomba la sua corona d’alloro. Come dire, dedicherò il mio impegno a chi ha tracciato la strada.
A colui che tanti anni fa lasciò un altro celebre epitaffio di se stesso e dei colleghi sacrificati a questa lotta che sembra non avere mai termine. Un epitaffio che oggi è inciso sul marmo di San Domenico, a perenne memoria: «Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini».
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