Musica

Where the Streets Have No Name

Imperdonabile. Stavamo lasciando l’Irlanda dopo le giornate dedicate ad Enya, e ci stavamo dimenticando di salutare i più celebri tra i padroni di casa.

Sembra che il nome della band fosse scelto per caso. U2 era il nome dell’aereo spia americano abbattuto sull’Unione Sovietica nel 1960, che aveva dato il via alla grave crisi diplomatica culminata con i missili russi a Cuba, e quel che ne era seguito. Non era ancora tempo di cellulari e text message, ma l’acronimo poteva stare anche allora per you too, anche tu, o you two, voi due. Ambiguità senza senso, ma così affascinante per dei rockers debuttanti.

Il gruppo, che si chiamava Feedback e che come tanti altri era nato sui banchi di scuola – nella fattispecie, la Mount Temple School di Dublino -, era in cerca di una identità. Lasciò decidere tra vecchio e nuovo nome al pubblico, ad uno dei primi concerti. Ed il pubblico scelse U2.

Il leader del gruppo invece aveva avuto il suo di nickname, il nome d’arte, da un amico e compagno che poi era passato ai Virgin Prunes, Gavin Friday. Era irrisorio: a Dublino c’era un negozio di apparecchi acustici, The Bonavox. Paul David Hewson, così si chiamava il ragazzo, stava per rifiutarlo, quando qualcuno gli spiegò che in latino Bona Vox – o Bono Vox – significava bella voce. E il ragazzo allora accettò, salvo accorciare il tutto in Bono alla prima occasione, cioé al primo successo ottenuto.

Alla metà degli anni 80, quando Bob Geldof li coinvolse nel leggendario Live Aid (il più grande e clamoroso concerto rock di tutti i tempi, in contemporanea da Wembley e dal JFK Stadium di Philadelphia, organizzato per proseguire la raccolta di fondi per l’Africa iniziata l’anno prima con Band Aid e USA for Africa), di successo ne avevano avuto già tanto.

Ma la consacrazione definitiva arrivò nel 1987 con l’album The Joshua Tree, che li portò in testa alle classifiche e ce li lasciò per un bel pezzo. La musica travolgente della dubliner band, messa al servizio di una serie di storie da cantastorie, menestrelli del tormentato mondo moderno.

La prima di queste storie, quella che apriva l’album, Bono l’aveva raccolta a casa propria, in quell’Irlanda tormentata e insanguinata che ancora negli anni 80 era spaccata in due dal confine con l’Ulster apaprtenente alla Gran Bretagna e da quello molto più che religioso che separava tragicamente – al nord come al sud – protestanti e cattolici.

U2190618-002Bono ne spiegò la nascita in un’intervista: «Una storia interessante che mi raccontarono una volta è che a Belfast, a seconda della via dove qualcuno abita, si può stabilire non solo la sua religione ma anche quanti soldi guadagna: addirittura a seconda del lato della strada dove vive, perché più si risale la collina più le case sono costose. Puoi quasi dire quanto guadagna uno dal nome della strada dove abita e su quale lato della strada ha la casa. Questo mi disse qualcosa, e così cominciai a scrivere di un posto dove le vie non hanno nome.»

Il ragazzo che tra il cattolicesimo del padre ed il protestantesimo della madre aveva scelto l’agnosticismo che era stato di John Lennon e che sembrava l’unica via per assicurare un giorno la pace all’Irlanda, era rimasto affascinato da questa storia.

E così, nel Joshua Tree Tour dell’anno successivo, gli U2 aprirono sempre i loro concerti con questa Where the streets have no name.

La canzone di un mondo in cui siamo finalmente tutti liberi, e la miseria e la diseguaglianza non ci sono più.

Il video che proponiamo, dopo un accenno del brano Bullet the Blue Sky, anch’esso presente nell’album The Joshua Tree, si ispira chiaramente alla celebre esibizione dei Beatles sul tetto della Apple Records nel 1969.

Voglio correre, voglio nascondermi

Voglio tirar giù i muri che mi tengono recluso

Voglio stendere la mano e toccare la fiamma

Dove le strade non hanno nome

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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