A raccontarlo adesso non ci si crede, ma c’è stato un tempo in cui la RAI sembrava incapace di produrre trasmissioni che non fossero di qualità, sia per grandi che per piccini. In un’Italia che si stava rapidamente acculturando, la RAI degli anni 50 e 60 mandava avanti le sue schiere di intellettuali prestati all’etere sul solco tracciato da quel maestro Alberto Manzi che aveva reso effettiva la pubblica istruzione per tutto il nostro popolo, quanto e più di tutti i ministri succedutisi nell’era repubblicana.
Perfino la TV dei ragazzi, lo spazio (decisamente ristretto a paragone con oggi) dedicato ai bambini nel palinsesto delle reti allora esistenti, era una TV d’autore, che comprendeva, accanto alle avventure dei nostri eroi come Zorro, Rin Tin Tin, Furia, a sceneggiati come l’Isola del tesoro ed ai cartoni animati di Hanna & Barbera, anche programmi d’avanguardia. Come quell’Avventura che dal 1969 al 1975 costituì il primo magazine, il primo rotocalco televisivo fuori dagli schemi, rivolto ad una fascia d’utenza, i giovani, che respirava ormai l’epoca nuova del Sessantotto in ambito culturale, artistico e soprattutto musicale.
I grandi alle 20,30 erano schierati in poltrona per l’avvio di Canzonissima, del film del Lunedi, della piece teatrale o dello sceneggiato che teneva banco al momento. Ma alle 17,00 quella poltrona era tutta libera per noi, quando partiva la sigla della TV dei ragazzi, e subito dopo quella del nostro programma preferito, o in procinto di diventarlo.
L’idea fu di due giornalisti che più fuori dagli schemi non si poteva, Bruno Modugno e Mino Damato. Il nome era tutto il programma: Avventura. Il magazine portava nelle nostre case quel resto del mondo, quelle popolazioni incredibili, quella fauna esotica e quelle – appunto – avventure che all’epoca ci sembravano così lontane dalla realtà e che invece, apprendemmo, avevano avuto luogo realmente da qualche parte del nostro pianeta.
Nei documentari di Avventura sentimmo parlare per la prima volta della maledizione di Tutankhamen, del mistero del Mostro di Loch Ness, della vera storia della leonessa Elsa nata libera e degli Adamson, protagonisti di un telefilm che riscuoteva grande successo sempre nella programmazione della nostra TV dei ragazzi. Sentimmo parlare anche di argomenti decisamente più inquietanti come la reincarnazione e le leggende sui luoghi dannati della Terra, ed altri soggetti che richiedevano una notevole dose di coraggio per essere trattati da una televisione pubblica all’epoca ancora sottoposta a rigida censura.
Il tutto accompagnato dalla musica giusta, perché l’abito non è vero che non fa il monaco, ed allora i ragazzi erano monaci che in fatto di abiti musicali cominciavano ad essere particolarmente esigenti.
Modugno & c. pescarono due brani per la sigla di apertura e di chiusura del programma che stavano già facendo la storia della musica.
She came in through the bathroom window era incisa sul lato B di Abbey Road, l’undicesimo ed ultimo album dei Beatles. Leggenda vuole che durante una sessione newyorchese del gruppo presso la Apple Records una ragazza, una fan scatenata del gruppo, riuscisse ad introdursi nella camera d’albergo di Paul McCartney appropriandosi di alcuni suoi capi di vestiario. Capi che furono successivamente restituiti, anche perché sempre leggenda vuole che tale ragazza altri non fosse che Linda Louise Eastman, destinata a diventare non molto tempo dopo la signora McCartney nonché sua partner professionale nel gruppo costituito da Paul dopo lo scioglimento dei Beatles, gli Wings.
Comunque sia andata, la canzone lasciataci dai Beatles era di quelle che facevano storia. Fu eseguita dopo il loro scioglimento da altri artisti, come Ike e Tina Turner, ma soprattutto da Joe Cocker, che ne offrì una versione a parere di chi scrive addirittura più impattante di quella originaria dei ragazzi di Liverpool. Anche grazie al montaggio delle immagini che scorrevano insieme ai titoli di testa di Avventura.
Di un capolavoro si trattava anche per quanto riguardava il brano di chiusura. A Salty Dog era un brano del 1969 dei Procol Harum, divenuti famosi nel 1967 con un altro pezzo indimenticabile, A Whiter Shade of Pale. A Salty Dog in italiano significa Un lupo di mare ed è una canzone costituita da una delle melodie più famose della storia del rock, con un testo che racconta la vicenda tragica di un gruppo di marinai sopravvissuti ad un naufragio, ripreso dalla ballata di Coleridge The Rime of the Ancient Mariner. Il rumore del mare, i garriti dei gabbiani, la voce di Gary Brooker, il crescendo degli archi orchestrali, creano una suggestione musicale intensa, piena di emozioni senza fine.
La perfetta sigla di chiusura, velata di malinconia, che rappresentava la fine, anche per quel giorno, del nostro spazio dedicato all’avventura e di un’altra briciola della nostra mitica infanzia ed adolescenza.
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