A Torino circolava il messaggio che la TAV è un’opera che interessa soprattutto i giovani, per il loro futuro
A Riace marciano le ultime speranze della sinistra italiana, che ormai sono riposte tutte – a quanto pare – in Mimmo Lucano. «Siamo tutti clandestini», gridano i circa cinquemila stimati partecipanti al corteo. Siete tutti fuorilegge, verrebbe voglia di rispondere a loro e a chi ha difeso – nelle piazze e nei salotti televisivi – la via di Lucano al solidarismo.
Questi cortei vengono comunque autorizzati, così come quelli dove neri africani e antagonisti italiani possono permettersi di sfilare cantando insieme allegramente «Lega Salvini, legalo bene». Il reato di odio, quel capolavoro della giurisprudenza elaborato da Magistratura Democratica e codificato dagli ultimi governi PD, si applica soltanto per chi è di pelle bianca e di cuore che non batte a sinistra, evidentemente. Ma cosa vogliamo aspettarci, in un paese ed in un ordinamento giuridico dove se sei un pusher di droga e per di più magari immigrato irregolare dall’Africa trovi un giudice che ti rimette fuori in poche ore perché hai agito in stato di bisogno? Suggeriamo all’Associazione Nazionale Magistrati di suggerire a loro volta ai suoi referenti politici di presentare un disegno di legge per l’istituzione dell’Albo dei Pusher. Semplificherà molto il lavoro di tante Procure e risparmierà a quei signori fastidiosi arresti. Absit iniuria verbis, e – Dio ne guardi, essendo chi scrive di razza caucasica – il reato di odio.
A Torino, invece, sfilano di nuovo i Quarantamila. O quanti sono stavolta. I media azzardano un paragone rischioso, con la celebre manifestazione che chiuse di fatto gli Anni di Piombo e la stagione sindacale cominciata con l’Autunno Caldo. La questione allora era leggermente diversa. Le fabbriche erano teatro di veterocomunismo e veterosindacalismo infiltrati entrambi dal terrorismo rosso. I quadri della FIAT e dell’indotto vollero prendere le distanze, e con loro il paese che di estremismi e strategie della tensione non ne poteva più. Passò in secondo piano semmai la presa di distanza umana e professionale degli impiegati dagli operai.
Stavolta sfilano i SI-TAV, i fautori delle grandi opere che riempiono Piazza Castello e debordano ancor più sugli schermi televisivi. Quanti sono, non è dato saperlo, ma i media li fanno sembrare noi tutti. E soprattutto fanno sembrare la manifestazione uno schiaffo al Movimento 5 Stelle, che con il Sindaco Appendino si è esposto sulla questione più di quanto fosse forse il caso. L’intenzione è chiara: hai visto mai fosse questo il bastone giusto tra le ruote del governo?
Intendiamoci, le grandi opere servono, e l’Italia ha subito troppi no come altrettanti autogol provocati da chi aveva la pretesa di risanarla: no alle Olimpiadi, no a questo, no a quello. Siamo rimasti ancora più indietro di quanto era giusto che fossimo, ed è l’ora di finirla di andare all’estero e vergognarsi perché perfino l’Ucraina ha infrastrutture da fare invidia alle nostre.
Sulle parole d’ordine che circolano in Piazza Castello semmai c’è da fare un po’ di tara. Che la TAV per come sia stata concepita sia una delle grandi opere da considerare utili a prescindere, c’è da discutere. Ma soprattutto, stride un po’ la presa di distanza che anche stavolta si registra tra chi sta meglio e chi sta peggio. In Piazza Castello non c’è neanche un abitante della Val di Susa. Facile fare il progressista con le case (e le valli) degli altri.
I Quarantamila del 1980 avevano ragione politicamente e storicamente. Umanamente non furono però il massimo della simpatia. Stesso discorso per i SI-TAV di ieri. Saremmo andati in Piazza volentieri per le Olimpiadi che Torino si è auto-negata. Per la TAV, francamente, l’appeal di questa manifestazione era più o meno lo stesso di quella di Riace.
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