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Un paese imbecille

E dunque l’Italia è in procinto di veder sfumare la sua terza candidatura olimpica consecutiva. Giovanni Malagò non era ancora presidente del CONI nel 2012, quando lo sciagurato Monti tagliò le gambe a Roma nel suo secondo tentativo di ospitare i Giochi estivi, dopo quello del 2004 vanificato dal risarcimento del CIO nei confronti di Atene per averle negato le Olimpiadi del Centenario nel 1996, andate ad Atlanta.

Giovanni Malagò presidente del C.O.N.I.

Giovanni Malagò presidente del C.O.N.I.

L’uomo del governo sobrio e della spending review cimiteriale si giustificò di voler risparmiare al paese una nuova stagione di sprechi e corruzione dopo quelle di Italia 90 e dei Mondiali di Nuoto 2009. Le Olimpiadi del 2020 se le prese dunque Tokyo, che non farà rimpiangere la precedente edizione del 1964 e soprattutto non si farà analoghi scrupoli.

Roma rimase a guardare anche due anni fa, quando era in pole position per le note dinamiche compensative degli organismi sportivi e politici internazionali. Quella volta toccò a Malagò rammaricarsi per il diniego della sindaca a Cinque Stelle Virginia Raggi e di tutto il suo Movimento che, ripetendo il mantra le Olimpiadi costano, non rendono e favoriscono la corruzione, rifiutarono di presentare una candidatura italiana e tagliarono di nuovo gambe e speranze alla Capitale ed a tutto il paese. Parigi graziosamente ringraziò, e di sicuro anch’essa non si farà analoghi scrupoli, allestendo ed ospitando la sua terza edizione olimpica.

Stavolta sembrava proprio che ci fossimo, il brand (così si dice oggi, una volta si diceva cartello, ma non fa più fino, né radical progressive chic) Milano – Torino – Cortina aveva già avuto l’ok del CIO che l’aveva definito un’idea geniale, Malagò ed il sottosegretario alla presidenza del consiglio Giorgetti erano pronti a partire per Losanna, dove il governo dello sport olimpico era pronto a ricevere il dossier della candidatura italiana con una mano e con l’altra ad elargire un miliardo di euro. Con cui avremmo potuto allestire una signora edizione dei Giochi invernali 2026 e ce ne sarebbe stato d’avanzo anche per ammodernare diverse infrastrutture, creare diversi posti di lavoro, dare sollievo ad un enorme indotto, ad una economia che dopo anni di spending review di sinistra (ma con il portafoglio degli altri) starebbe meno peggio se fosse con la bocca attaccata alla canna del gas.

Il tris di città, due delle quali hanno già ospitato Giochi Olimpici invernali ed una terza viene da una Expo giudicata unanimemente un successo, era praticamente d’accordo, il governo nazionale sembrava anche, il CONI gongolava finalmente. Niente da fare, a poche ore dalla partenza per Losanna, tutto saltato. Pare per questioni di precedenza, come succedeva una volta tra i nobili a corte. Appendino e Sala, i sindaci delle due metropoli coinvolte,  pare bisticcino sul nome da mettere prima nel brand (e chissà per cos’altro, ci rifiutiamo di credere ad un loro quoziente di intelligenza sceso a minimi da scuola materna). Giorgetti sconsolato parla di mancanza di spirito olimpico e ritira il sostegno del governo. Se Malagò ed il CONI credono, oggi a Losanna possono portare una candidatura ridotta, quella di Milano e Cortina sostenute dalle rispettive Regioni, per bocca dei loro parimenti sconsolati governatori Fontana e Zaia.

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Per l’Italia si tratta di perdere il terzo treno consecutivo (e non ne passano all’infinito) e soprattutto l’occasione – come detto – di ridarsi ossigeno ed ammodernarsi. Si tratta di perdere un finanziamento da un miliardo di euro, che ne movimenterebbe chissà quanti altri. Si tratta di rimanere chiusa nel proprio angusto cubicolo dove ormai si respira aria di morte e putrefazione, mentre nell’aria risuonano soltanto le litanie dei Piagnoni di Savonarola (le varie sinistre di lotta e di governo, che lambiscono con le loro acque ideologicamente inquinate anche il Movimento Cinque Stelle, nonostante le buone intenzioni di Di Maio & c.) che ripetono: ricordati che devi morire, e che nel frattempo chi tocca i soldi fa peccato!

Si tratta di rimanere il paese arretrato che ormai siamo, come strutture e come filosofia. Il paese imbecille che siamo diventati, grazie ad una classe politica e burocratica imbecille a cui abbiamo consegnato la rappresentanza della nostra imbecillità di base.

Moriremo poveri, ma virtuosi. Con le strade costellate di buche, gli stadi fatiscenti, i ponti che crollano, internet che funziona quando c’é vento dalla direzione giusta (alla faccia delle fibre ottiche e dei cablaggi), i ragazzi che si rompono i coglioni, salutano baracca e burattini e vanno a farsi una vita decente, dignitosa all’estero. Mentre qui i loro vecchi resteranno, almeno chi sopravvive, a guardare le olimpiadi del 2026 organizzate da qualcuno che è già pronto con il proprio dossier, che non si farà scrupoli di prendere il nostro posto rischiando il peccato mortale di toccare i soldi.

Un paese imbecille, che farà una morte imbecille. Ce la siamo meritata.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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