Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 24. Irina te amo

Le spoglie mortali di Mario Cecchi Gori hanno appena trovato il luogo dell’eterno riposo nell’antico cimitero di San Miniato, che Firenze comincia ad interrogarsi, apprensiva: la Fiorentina è rimasta in mano a Vittorio. Quello della balaustra (ricordate l’espressione sconsolata del padre?), quello del licenziamento di Gigi Radice, quello che al Processo di Biscardi per difendersi dalle accuse di impulsività, intemperanza, inadeguatezza non trova di meglio che dichiarare urbi et orbi: guardate che io sono un laureato.

VCG è figlio d’arte, e questo non è colpa sua. Gli tocca però il destino di tanti figli d’arte, oscurati dall’ombra del padre. La madre Valeria, diventata vedova, si ritira in un dignitoso ruolo di presidentessa onoraria e cerca come può di arginare saltuariamente un figlio a cui la vita ha concesso forse troppo in termini di risorse materiali, e troppo poco in termini di risorse umane per gestire quel ben di Dio. Ma più di tanto non può neanche lei.

Marione, piantato in asso sul più bello da un cuore che ne aveva sopportate tante, gli ha lasciato una Fiorentina in serie B ma attrezzata come una corazzata che naviga in una rada affollata di barche a vela. Avendo trattenuto tutti gli eroi super pagati della retrocessione, tornare nella massima serie è uno scherzo. Firenze quasi si diverte ad affrontare la cavalcata nella serie cadetta, la seconda della sua storia. E quando torna in A si sente autorizzata psicologicamente a riprendere discorsi e sogni di grandezza lì dove il gol dell’udinese Desideri a Roma li aveva interrotti.

 

Già, Marione ha lasciato tante cose a questa Fiorentina. Un parco giocatori invidiato da tante altre società, che la colloca di diritto nel circo delle cosiddette Sette Sorelle, le dominatrici del calcio italiano ed europeo nel periodo d’oro del pallone nostrano. Un allenatore emergente ed ambizioso come il romano Claudio Ranieri, capace di guidarla senza infingimenti dallo Stadio degli Ulivi di Andria al Camp Nou di Barcellona. Uno staff di manager che finché le risorse lo consentono non sbaglia un colpo: l’unico 10 di Firenze, Giancarlo Antognoni, è diventato un talent scout come pochi; il vecchio braccio destro Luciano Luna, sopravvissuto egregiamente alla giungla di Cinecittà, si butta a capofitto in quella del calciomercato; Ugo Poggi, sanfredianino DOC, imprenditore fiorentino di successo, proprietario di sale cinematografiche, presidente della seconda squadra cittadina, la mitica Rondinella, amico di Vittorio fino alla fine cerca di salvarlo da tutto, compreso da se stesso. Senza riuscirci del tutto neanche lui.

Ma soprattutto Marione ha lasciato al figlio una situazione economicamente invidiabile, un impero che basterebbe solo limitarsi a gestire. La casa di produzione cinematografica Mario & Vittorio Cecchi Gori grazie all’alleanza con Silvio Berlusconi che si traduce nella Pentafilm è diventata la più potente d’Europa, in competizione addirittura con le Majors americane. A Vittorio non manca nulla insomma per portare Firenze e soprattutto la Fiorentina lassù dove finora hanno solo sognato di andare. O di ritornare. E invece…..

L’abbraccio di Silvio Berlusconi a Vittorio davanti al feretro del padre è sembrato carico di sentimento. Di lì a poco, il giovane Cecchi Gori si butta in politica come senatore eletto nelle file del Partito Popolare, e nel 1994 permette, grazie alla sua uscita dall’aula di Palazzo Madama, a Berlusconi stesso di ottenere la fiducia al suo primo governo. Un bel credito da riscuotere al momento giusto.

Ma lo sguardo di Vittorio è fisso su altri orizzonti. Come Pontello dieci anni prima aveva dichiarato di voler spazzare via i metalmeccanici di Torino, la FIAT di Agnelli, VCG rompe ben presto platealmente il sodalizio con il Cavaliere e lo sfida apertamente su tutti i campi di gioco. La Pentafilm, la cassaforte che custodisce i gioielli di famiglia, non sopravvive a quell’anno solare, le strade dei due partners si dividono, da una parte la Cecchi Gori Productions, dall’altra la Medusa Film. Anche la politica presto divide ciò che Marione aveva pazientemente unito. Ma soprattutto determinante nella creazione del futuro stato di guerra tra i due gruppi che si erano tanto amati sarà la scelta di Vittorio di attaccare Silvio nella sua roccaforte più importante, lanciando con l’acquisto di Telemontecarlo la sfida alla creazione di un terzo polo televisivo. Quando Fiorentina e Milan tornano ad affrontarsi sul prato verde, i loro padroni sono ormai già in rotta, e da tempo.

Manuel Rui Costa

Ma tutto questo nell’estate del 1994, quella in cui la Fiorentina si riaffaccia alla serie A animata da propositi bellicosi, è appena accennato. Il duo Luna – Antognoni va a giro per il mondo a caccia di campioni, e non torna mai a mani vuote. Dal Brasile fresco campione del mondo ai danni dell’Italia (un evento che Firenze non ha mancato di festeggiare con caroselli e cori contro lodiato presidente FIGC Matarrese) portano a casa Marcio Santos, difensore di tutta fascia, alla Cafu per intendersi. Dal Portogallo che con una nuova generazione di giovanissimi fenomeni ha appena conquistato il mondiale Under 20 prelevano il gioiello in prospettiva più brillante, quel Manuel Rui Costa che diventerà in futuro il giocatore andato più vicino a meritarsi la maglia che non doveva essere di nessun altro, la numero 10, nel sentimento del popolo fiorentino.

Arrivano anche, dallo splendido Torino del mister tifoso (viola) Emiliano Mondonico due giovani promesse, Sandro Cois e Andrea Sottil. La squadra messa in mano a Ranieri è bella e giovane. E soprattutto può giovarsi della definitiva esplosione di Omar Gabriel Batistuta, che quell’anno frantuma un record dietro l’altro. Le prime 11 partite consecutive a segno (il precedente era di Ezio Pascutti, attaccante del favoloso Bologna dello scudetto 1964), il record di gol stagionali in viola eguagliato (apparteneva a Kurt Hamrin nella sua prima stagione a Firenze, il ‘58-’59), gli stessi gol, 26, con cui alla fine Gabriel vincerà la classifica cannonieri.

Con tutto questo ben di dio, la Fiorentina però alla fine sarà soltanto decima. Di nuovo le sarà fatale il mese di gennaio, anche se stavolta Vittorione non ci mette mano. Problemi legati alla preparazione imballano le gambe ai viola, che vanificano un buon girone d’andata. E assistono alla cavalcata juventina verso lo scudetto (dopo dieci anni in cui la Juve a sua volta ha assistito impotente al duello tra Milan e Napoli), che comincia proprio contro la Fiorentina.

L’incredibile gol di Del Piero contro la Fiorentina

Il 4 dicembre a Torino la squadra bianconera, sulla cui panchina siede da quell’anno un outsider, Marcello Lippi, va sotto di due gol e ci rimane fino ad un quarto d’ora dalla fine. Per i viola sembra arrivato il momento atteso dell’inizio della riscossa, un successo a Torino lancerebbe la squadra verso un campionato entusiasmante. Pare impossibile, ma finisce come al Torneo di Viareggio. Dapprima pareggia il vecchio Vialli, poi entra in campo l’uomo del destino (bianconero), e per la seconda volta – stavolta con un gol da cineteca – Alessandro Del Piero beffa la Fiorentina. E’ un giorno significativo per la Juve, dove Pinturicchio ruba il posto a quel Baggio che a Torino non ha mai conquistato dirigenti e tifosi (l’Avvocato non gli ha mai risparmiato pubbliche mortificazioni, chiamandolo coniglio bagnato e numero nove e mezzo). E dove Marcello Lippi pone la pprima pietra del primo successo di una carriera da allenatore che lo porterà sul tetto del mondo.

Per i viola, anche la mortificazione di un 4-1 al ritorno, con la Juve che inizia a cucirsi lo scudetto sul prato del Franchi, a Firenze. Guariniello ha un bell’indagare, la Juve è tornata. La Fiorentina invece è scivolata di nuovo indietro.

Nell’estate 1995 arrivano giocatori solidi ad assestare soprattutto la difesa, fino a quel momento il punto debole della Fiorentina. Stefan Schwarz, Pasquale Padalino, Lorenzo Amoruso, Michele Serena irrobustiscono una squadra viola che finalmente, dopo, dodici anni, conclude un campionato con un risultato di prestigio: terzo posto a pari merito con la Lazio. Ma soprattutto, dopo ventun anni, torna ad aggiungere qualcosa alla bacheca dei trofei. L’ultima Coppa Italia era datata 1975, con Antognoni in campo e Mario Mazzoni in panchina. Stavolta, dopo una semifinale in cui Batigol fa spettacolo contro l’Inter (tre gol a Firenze ed uno, bellissimo, a Milano), i viola vincono la doppia finale contro l’Atalanta. A notte fonda ad attendere la squadra di ritorno da Bergamo con la quinta Coppa Italia viola si calcola che ci siano dentro lo stadio 40.000 persone.

24Ma non è tutto. Il 25 agosto si gioca la Supercoppa italiana, un trofeo di recente istituzione che mette di fronte vincitrice dello scudetto e vincitrice della Coppa Italia. Finora ha sempre vinto la prima, che anche in quella circostanza è il Milan stellare di quegli anni. La Fiorentina stabilisce un nuovo record portandosi a casa il trofeo grazie ad un Batistuta quel giorno tarantolato come non mai, che la porta in vantaggio una prima volta al 12’ e poi, dopo il pareggio di Savicevic, segna il gran gol del definitivo 2-1 che sbanca il Meazza di Milano e la Supercoppa e poi va incontro alla telecamera a gridare alla moglie ed al mondo: «Irina te amo».

Irina sicuramente in quel momento ricambia, ma soprattutto ricambia Firenze. Il matrimonio di Gabriel è ormai un ménage à trois, dove il terzo incomodo è costituito dagli oltre due milioni di tifosi stimati nel bacino di utenza della Fiorentina.

 

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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