Ombre Rosse

25 aprile e dintorni

Settantaquattresimo anniversario della Liberazione. Da cosa, non ci dovrebbe essere nemmeno bisogno di dirlo. Almeno fino ad una certa data, fino ad una certa generazione, lo sapevano tutti ed articoli come il mio erano superflui, se non inutili. La scuola, la famiglia, la società avevano già fatto il loro dovere prima dei giornali.

Non è più così, purtroppo. I vecchi combattenti della libertà, i partigiani (come venivano chiamati, perché avevano scelto una parte, quella della libertà) seguono la legge di natura ricongiungendosi in cielo ai loro compagni meno fortunati, morti settantatre anni fa nei giorni della Guerra Civile. Scuola, famiglia e società hanno smesso da tempo di fare il loro dovere. I nostri vecchi non ci sono più per raccontare di quei giorni. Noi, che stiamo diventando vecchi a nostra volta, non siamo capaci di interessare più a nessuno dei più giovani per tramandare quello che abbiamo sentito raccontare. Articoli come i miei restano superflui, se non inutili. Ma per motivi del tutto diversi.

Quello che ho da dire ormai interessa forse a pochi, i più sono presi da questioni più recenti, più attuali, anche se di rado – mi sia consentito dire – altrettanto importanti. Mi rivolgo a quei pochi, sperando che poi tanto pochi non siano.

Sono convinto da sempre che avesse ragione Winston Churchill, quando disse che «la democrazia è la peggior forma di governo possibile, ma è quanto di meglio il genere umano abbia saputo inventare finora in materia». Una democrazia liberal, specifico io, anche se al giorno d’oggi sembra ormai diventato un oggetto di modernariato. Vintage, come i dischi di vinile e le radio a transistor. Vecchi, irrimediabilmente vecchi quelli come me che tentano ancora di descriverne pregi e difetti.

Churchill aveva ragione. Aveva visto i sistemi a confronto nel momento più drammatico di quel confronto. L’ora più grande – come disse – per il suo popolo rimasto da solo a resistere al Terzo Reich. L’ora più buia per il mondo che rischiò di precipitare in un nuovo Medioevo, con l’unica incertezza su chi sarebbe stato il Fuhrer di quel mondo, Hitler o Stalin.

Settantatre anni dopo, mi permetto di dire a chi vuole stare a sentire, non abbiamo ancora trovato un sistema migliore di quella che resta una pessima forma di governo. Almeno per come è attuata dalle nostre parti. E’ difficile, mi rendo conto, spiegare ad un giovane che cosa c’è di democratico in un sistema che ha imposto per sette anni governi non eletti da nessuno (e c’é il rischio attualissimo che non abbia ancora finito), con la scusa che lo prevede la Costituzione. Governi che fanno scelte importanti, epocali, sulla nostra testa e al di là delle nostre possibilità di controllo.

E’ difficile spiegare a giovani e meno giovani perché tuttavia tra un Renzi o un Grillo da un lato e un Mussolini dall’altro per ora c’è ancora una qualche differenza. Così come è ingiusto – storicamente, politicamente e in senso lato civilmente – affermare che tutto ciò che fece Mussolini era a prescindere di minor valore rispetto a quanto fatto prima o dopo di lui. Di minor valore e ingiusto.

Su questo punto, a prescindere da ogni posizione ideologica sul 25 aprile e sui suoi annessi e connessi, va ristabilita una verità oggettiva. Il Fascismo delle origini, quello che cercò in parte di dare attuazione al programma rivoluzionario di San Sepolcro, era un sistema che aveva soppresso le libertà politiche  e civili nel proprio paese, ma che tuttavia gli aveva dato una spinta verso la modernità decisamente poderosa. Istruzione, Sanità, Previdenza Sociale, furono conquiste sociali favorite dal Regime. Volute fortemente dallo stesso Mussolini, che non dimenticava di essere figlio di contadini morti di fame e di miseria.

Allo stesso modo, è opinione comune degli storici più obbiettivi che il periodo di governo di Mussolini fu quello che coincise con il miglior tentativo – se non l’unico – di affrancare l’Italia dalla sua storica e congenita dipendenza dalle Grandi Potenze del tempo. Durante il Ventennio, il nostro paese – per circostanze storiche particolari ma anche per l’azione del Duce del Fascismo – godette di una effettiva sovranità e indipendenza (unita a libertà d’azione internazionale) come non aveva avuto mai prima e men che meno avrebbe avuto più in seguito.

Il Regime fece cose che si possono definire egregie (a prescindere sempre dalle posizioni ideologiche) almeno fino al 1936, guadagnandosi stima e rispetto interni ed internazionali. I nodi vennero al pettine negli anni successivi, con l’alleanza con Hitler, le Leggi Razziali e la china rovinosa che portò l’Italia all’intervento nella Seconda Guerra mondiale (e per di più dalla parte sbagliata), alla sconfitta disastrosa, alla perdita di status internazionali. Alla sottoscrizione di un trattato di pace che sanciva il suo ruolo di periferia di un nuovo impero: Il Patto Atlantico diretto dagli U.S.A.

Questo destino era forse scritto nell’ordine delle cose. Stati Uniti ed Unione Sovietica erano destinati comunque a diventare le Grandi Potenze che si sarebbero spartite la guida del mondo per i decenni successivi. L’improvvida decisione del governo italiano di affiancare quello nazista nella Guerra Mondiale accelerò e rese inevitabile quel destino. Se Mussolini avesse ragionato come Francisco Franco, il Caudillo che era emerso vittorioso dalla guerra civile spagnola, sarebbe forse morto nel suo letto, e l’Italia avrebbe salvato qualcosa in più del suo ruolo e delle sue prerogative internazionali d’anteguerra. A danno ovviamente, come è successo alla Spagna, di diversi altri decenni di libertà.

E qui ritorna in gioco l’aforisma di Churchill. Per la natura del suo sistema di governo, nessuno poté sindacare la scelta di Mussolini almeno fino al 1943, nessuno poté imporgli una decisione diversa da quella che portò all’Asse Roma-Berlino. Deporre il Duce fu un atto di guerra civile, non di normale dialettica politica. Il Fascismo, come ogni dittatura, aveva in sé i germi che ne minavano salute ed esistenza futura. Così come quella del paese che governava.

Per questo si celebra il 25 aprile. Non solo per la fine dell’ultima e più sanguinosa delle guerre civili italiane (almeno fino agli Anni di Piombo), ma per la presa di coscienza che un sistema di poteri in equilibrio – per quanto screditato come il nostro – è sempre meglio, o meno peggio, di uno in cui tutto il potere è nelle mani di uno solo. Perché poi, a prescindere da ogni altra considerazione, quell’uno invecchia, ammattisce, diventa megalomane o mal consigliato. E la società che sta sotto di lui non ha più anticorpi o comunque risorse per contrastarlo, prima della rovina generale.

Per questo, cari lettori, resto un liberal (magari d’altri tempi) anche se ogni giorno ho voglia di infamare questi democratici che hanno ridotto e stanno riducendo il nostro paese a una via di mezzo tra una discarica a cielo aperto ed un suk esotico di meticciato cialtrone. Per questo, penso che per quanto come spessore umano e capacità personali in senso lato un Renzi o un Grillo non leghino le scarpe ad un Mussolini, il governo che essi possono esprimere è ancora meglio (magari non di tanto) di quello del Duce. Perché alla fine di questo articolo nessun figuro dal cappello floscio verrà a prendermi con la macchina nera per portarmi chissà dove. Magari a far la fine di quelli di Radio Cora.

Dice: ma anche Ilaria Alpi (per dirne una) e chissà quanti altri hanno fatto la fine di Radio Cora, dopo quel 25 aprile. Vero. Ma lo possiamo ancora dire ad alta voce, oltre che pensare. Con Mussolini no. Rese possibili tante cose, ai contadini italiani morti di fame. Ma quella no. E alla fine tutti la sentirono come la più importante.

Un abbraccio a tutti i lettori, comunque la pensino, nel giorno della nostra festa nazionale più importante. Un abbraccio a tutti i ragazzi, perché il mondo in cui vivranno sia migliore del nostro, che a sua volta è stato migliore di quello dei nostri babbi e nonni.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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