Ombre Rosse

A.N.P.I.? No, grazie.

Negli anni settanta, una delle grandi battaglie per la riforma della pubblica amministrazione e l’attuazione della Costituzione repubblicana fu quella per la soppressione degli enti inutili. Ce n’erano migliaia e ci volle un sacco di tempo per ricondurli nell’alveo di una amministrazione più efficiente, meno costosa e più democratica. E non li abbiamo nemmeno debellati tutti, alcuni sono giunti ai giorni nostri.

E’ venuto il momento di annoverare in questa fattispecie anche l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani. Di motivi, l’A.N.P.I. ne fornisce ormai in continuazione, praticamente ormai ogni volta che apre bocca. La più eclatante, forse, si registrò un anno fa, allorché la sua Sezione di Rovigo pubblicò su Facebook un insulto alla memoria degli istriani martiti del comunismo titino. Chiamò senza ritegno le foibe un’invenzione dei fascisti, e quella triestina di Basovizza una vergognosa fandonia. Andando a fare dei controlli, si scoprì tra l’altro che questa congrega di revisionisti storici e di partigiani senza Resistenza addirittura percepiva e percepisce lauti finanziamenti pubblici – come tutti gli enti inutili del ventunesimo secolo, del resto – e si permette di utilizzarli proprio per dare maggiore risalto alle puttanate che diffonde. Quest’anno, ad occhio e croce, si stanno preparando a fare il bis, e non solo a Rovigo.

Finché questi oltraggi sono perpetrati da una Alessandra Kersevan, sedicente storiografa che approfitta di una pusillanimità diffusa nelle nostre istituzioni di confine (sudtirolesi in Alto Adige, filo slovene, croate, genericamente jugoslave in Venezia Giulia) per diffondere il proprio interessato negazionismo degno di un David Irving e della sua rivalutazione del Nazismo, fa parte del gioco. La signora ciurla in un manico dove sa di poter ciurlare, quando invece doveva essere messa al bando della comunità civile triestina, giuliana, italiana già da tempo, e con lei l’oltraggio a poveri morti ammazzati due volte, la prima da Tito, la seconda da questi pseudo-intellettuali immondi.

Ma quando si spende l’A.N.P.I. a dire certe cose – vorremmo tanto vedere la sig.ra Liliana Segre sentire parlare degli Ebrei così come a Rovigo sentono l’A.N.P.I. locale parlare degli infoibati istriani -, allora rifacciamoli di nuovo quei conti. Queste schifezze ci costano la bellezza di 107 mila euro l’anno, Lo schiaffo in faccia brucia dunque ancora di più. Tanto è il contributo percepito dalla più importante e chiassosa delle associazioni partigiane e combattentistiche italiane da parte di istituzioni sempre più prone a finanziare i nuovi enti inutili. Purché di stretta osservanza PD.

Si badi bene, lungi da noi mancare di rispetto a chi, come raccontava ad esempio il mai abbastanza compianto Giorgio Bocca, a vent’anni si trovò a dover assumere in pochi minuti una decisione drammatica e senza ritorno. Era l’8 settembre, restare fedeli al Re vigliacco fuggito a Brindisi, al Fascismo a quel punto diventato assassino e bancarottiere, oppure salire su in montagna, portandosi dietro il fucile d’ordinanza o quello che paracadutavano inglesi e americani per le formazioni partigiane dietro le linee? Passare due anni su quella montagna al freddo e alla fame e con il rischio di una morte orribile se catturati, ma con la prospettiva di restituire onore e dignità non solo a se stessi ma anche al proprio paese? Chapeau, a questi uomini e donne veri, gli unici che forse abbiamo avuto nella nostra storia dopo il Risorgimento e la Grande Guerra.

Questa gente avrà il nostro rispetto e gratitudine in eterno, al netto delle storture verificatesi qua e là, Venezia Giulia compresa, nel corso della loro epopea. Porzus e le Foibe non cancellano quanto di buono fatto. I Partigiani sono i Partigiani. Quelli veri, almeno. Quelli per cui il Comunismo non era un padre adottivo ed altrettanto moralmente acquiescente, una volta orfani del Fascismo.

Ma questa gente, ormai, per legge di natura è quasi tutta passata a meritata miglior vita. Dei combattenti della seconda guerra mondiale, ne sopravvivono circa 4.000. L’A.N.P.I., l’inutile ente che cura l’interesse di una categoria che non aveva bisogno di essere difesa perché era già benemerita della Repubblica, ormai si compone quasi soltanto di nati dopo il 1945. Nel 2006, per far fronte al calo di iscritti dovuto a quella legge di natura, nonché al conseguente calo di sottoscrizioni economiche, l’Associazione aprì le iscrizioni agli antifascisti. Così, tout court.

I "nuovi partigiani"

I “nuovi partigiani”

Come è facile immaginare, ci finì dentro di tutto e di più. Dagli antagonisti, ai difensori dei diritti di gay e lesbiche, ai difensori dei diritti dei migranti clandestini, a chiunque aveva voglia di creare ulteriori problemi ad un ordine costituito che già gli consentiva di fare tutto il casino che voleva senza pagare dazio. Il Gay Pride e le pagliacciate sui moli della Sicilia e di Lampedusa erano cose ben diverse dalla Guerra Partigiana, ma all’A.N.P.I. nessuno sembrò farsene scrupolo. Chi avrebbe potuto a buon diritto storcere la bocca ormai era salito in cielo, oppure era talmente anziano da non potersi rendere più conto di cosa stavano facendo i suoi figli e nipoti con la sua eredità, il suo buon nome, il suo merito acquisito coraggiosamente in faccia alla morte.

Eccoli qua, dunque, i nuovi partigiani che dopo aver sostenuto la campagna del NO di Renzi e della Boschi, cioé il tentativo più fascista di sempre di riforma della Costituzione, adesso appoggiano centri sociali illegali, corsi di confusione dell’identità sessuale accelerati, casini vari a sostegno di sbarchi di illegali sul nostro suolo, fritti misti di Sardine ed altri pesci avariati poco dopo la pesca. Tutto quanto – in una parola – fa illegalità. Coercizione di diritti mascherata da difesa di altrui presunti diritti.

Ma torniamo al conto della serva. Ai 107 mila del Ministero della Difesa (chissà poi perché, da cosa ci difendono questi signori?) si assommano i proventi del 5×1000, circa 250 mila euro l’anno, più tutti quelli derivanti dalle sottoscrizioni delle tessere. Aperte, come si è detto, a tutti i combattenti contro il buon senso, la legalità, il vivere civile e reciprocamente rispettoso prodotti delle ultime generazioni. Gente che la Resistenza manco a scuola l’ha studiata, o ne ha sentito anche soltanto parlare. Anche se sul Treno della Memoria per Auschwitz ci è salita regolarmente. Sempre meglio che stare in classe.

L'A.N.P.I. odierno, partigiani del dopoguerra che hanno modificato l'Inno nazionale in "Fratelli in Italia"

L’A.N.P.I. odierno, partigiani del dopoguerra che hanno modificato l’Inno nazionale in “Fratelli in Italia”

Sarà il caso di ridiscutere questi finanziamenti pubblici, prima ancora di processare quegli stronzetti (absit iniuria verbis, culpa est naturae) che si sono permessi di definire Basovizza una vergognosa fandonia. Sarà il caso anche di presentare il conto a chi ha elargito soldi a quella gente, i Partigiani del Dopoguerra, i sostenitori di battaglie culturali alla fine dei salmi addirittura peggiori di quelle che imponeva la dittatura fascista. Sarà il caso che un paese indebitato come il nostro, che a detta dell’ex presidente della BCE Draghi non può più nemmeno aspirare per questo motivo ad una reale sovranità nazionale, la smetta di elargire marchette e mazzette a chi ha dimostrato ampiamente oltretutto di non meritarselo, se non dal punto di vista del sostegno al partito unico di governo, il PD. Finanziamenti a fondo perduto (per i contribuenti) come quello – e non è nemmeno il più consistente – elargito nel 2015 dalla Regione Toscana, 3.500 euro all’A.N.P.I. di Siena. Per cosa? Eventi dedicati alla Resistenza.

Compagni, vogliamo parlare di quanti morti fecero – da quelle parti e non solo, il clou si ebbe nella democratica e progressista Emilia-Romagna – determinati soggetti iscritti al  partito che diceva di continuare la Resistenza tra il 1945 ed il 1948 in Toscana? La cosiddetta Volante Rossa, mai sentito parlare? Abbiamo finanziato anche quelli, oltre alla vergognosa fandonia delle Foibe di Basovizza?

Non andrete giù per lo scarico della storia mai abbastanza presto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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