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Agostino Depretis e il trasformismo

Agostino Depretis è considerato l’inventore del trasformismo, come illustra questa vignetta dell’epoca che lo ritrae come camaleonte

Il 10 ottobre 1875 a Stradella, capoluogo dell’Oltrepò pavese, nacque ufficialmente il parlamentarismo italiano così come lo conosciamo ancora oggi. L’uomo che parlò al suo elettorato quel giorno era il deputato Agostino Depretis, ex garibaldino e leader della Sinistra storica nel parlamento unitario. Era nato nella frazione di Mezzana Corti Bottarone il 31 gennaio 1813, quando ancora il regno sabaudo era una provincia dell’Impero di Napoleone Bonaparte. Aveva partecipato alle lotte risorgimentali tra i mazziniani, aveva seguito Garibaldi in Sicilia e dal Generale era stato lasciato nell’isola come governatore, mentre i Mille risalivano la penisola fino a Napoli e a Teano.

Nel parlamento unitario del 1861 era andato a sedersi come tutti i suoi compagni d’avventura nella parte sinistra dell’emiciclo, mentre coloro che avevano attraversato il Risorgimento dalla parte di Cavour e dei Savoia sceglievano la destra. Era una decisione casuale, ma avrebbe marchiato a fuoco per sempre gli schieramenti politici per il tempo a venire: a sinistra i progressisti, a destra i moderati e conservatori.

Governatore garibaldino della Sicilia

Governatore garibaldino della Sicilia

Nei primi anni dell’Unità d’Italia fu la Destra storica degli eredi di Cavour (Rattazzi, Ricasoli, Minghetti), a governare il difficile processo di unificazione di una patria che unita non era mai stata, e che si portava dietro ordinamenti giuridici e abitudini culturali i più disparati l’uno rispetto all’altro. Nella Sinistra, intanto, personalità all’apparenza più carismatiche come quella di Francesco Crispi e Giovanni Nicotera facevano sembrare il giovane Depretis il meno probabile dei leader dello schieramento, quando fosse venuto il suo momento di governare.

Ma come aveva detto Massimo D’Azeglio, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani, e ben presto il paese cominciò a reclamare riforme sociali radicali, che facevano apparire il liberalismo classico della vecchia guardia già superato. Per sbarrare la strada agli anarchici ed ai comunisti il cui spettro cominciava ad aggirarsi per l’Europa, Italia compresa, la Sinistra storica doveva attrezzarsi ideologicamente senza tuttavia spaventare il fronte conservatore.

Servivano un partito ed una leadership moderati, per quanto progressisti. Quello era il momento di Depretis, che a Stradella annunciò il suo programma senza immaginarsi che in realtà stava annunciando quello che sarebbe stato il programma – per meglio dire la filosofia ed il modus operandi – di centocinquant’anni di governi italiani a venire.

A Stradella, Depretis disse senza mezzi termini che Destra e Sinistra come le aveva conosciute l’ormai quasi concluso Risorgimento erano da ritenersi superate. Servivano nuovi soggetti con nuovi programmi e nuove strategie politiche (anche spregiudicate). Questa fu tuttavia l’affermazione più radicale da lui pronunciata quel giorno, perché il programma di governo proposto al regno d’Italia dal deputato pavese di radicale aveva assai poco.

Combattere il clericalismo in quel momento infatti voleva dire poco o nulla. Era infatti il Vaticano a combattere il nuovo stato italiano, da quando gli aveva sottratto la sua capitale, Roma. Sui cattolici pesava l’anatema di Pio IX, che proibiva loro la partecipazione alla vita politica del nuovo stato, ma il massone Depretis non si sarebbe mai spinto agli eccessi del massone Crispi, suo successore nel governo il quale avrebbe volentieri posto la statua commemorativa di Giordano Bruno in Piazza San Pietro. C’era bisogno semmai in quel momento di riaprire un dialogo con l’altra sponda del Tevere, non di rinfocolare la Breccia di Porta Pia.

1876: la Sinistra storica al governo, il primo governo Depretis

1876: la Sinistra storica al governo, il primo governo Depretis

Molto più effettiva era l’affermazione in favore dell’estensione del suffragio, in questo Depretis anticipava Giolitti che avrebbe visto il voto popolare come antidoto alla consegna del popolo ai partiti ed ai movimenti eversivi di ultrasinistra e come mezzo di recupero dei cattolici a cui il divieto di Papa Pio IX andava ormai stretto. La riforma di Depretis avrebbe portato il diritto di voto a interessare tutti gli uomini di almeno 21 anni che avevano frequentato almeno i primi due anni della scuola elementare o che contribuivano per un’imposta annua non inferiore alle 19,80 lire. Era a ben vedere una goccia nell’Oceano, si passava dal 2% al 7% dei sudditi del regno d’Italia. Ma era l’inizio di un percorso, che in perfetto stile moderato indirizzava a tempi lunghi verso il suffragio universale, ritenuto tuttavia in quel momento non possibile, prematuro.

Altra riforma innovativa fu quella della pubblica istruzione. La cosiddetta Legge Coppino, dal nome del Ministro competente, istituì l’obbligo scolastico. La norma introdusse l’istruzione elementare obbligatoria, laica e gratuita per i bambini dai sei ai nove anni. Le intenzioni erano buonissime, la realizzazione immediata era problematica. Le donne anche qui erano per il momento escluse, e portare a scuola i bambini delle spesso miserabili campagne italiane era più facile a dirsi che a farsi. Ma il principio che un popolo ignorante come quello italiano post-unitario non serviva a nessuno ormai era affermato.

Depretis fu il primo a fare una politica dei redditi in Italia, con una imposta personale e mobiliare che tassava sia il reddito da lavoro che quello derivante da proprietà, con esenzioni per le fasce al di sotto delle 800 lire annue e sgravi per i redditi industriali (da reinvestire). Il regime fiscale presupponeva la dotazione del Ministero delle Finanze di un moderno sistema di accertamento dei redditi e di un sistema catastale affidabile: come si vede, era un punto di partenza, dove su quello di arrivo si discute ancor oggi. L’imposta Depretis sarebbe rimasta sostanzialmente in vigore (pur con ovvi adeguamenti) fino al 1973, quando fu sostituita dall’IRPEF.

Il richiamo inoltre alla necessità di superamento della cosiddetta questione meridionale e di misure palesemente inique come la tassa sul macinato (o sulla povertà, come veniva definita da molti) era nell’ordine delle cose in quel momento, segnato anche dall’attualità che vedeva la Destra governativa dilaniarsi proprio su queste questioni.

AgostinoDepretis191010-002In politica estera, si ebbero forse le innovazioni più vistose. L’Italia si svincolò di fatto dalla tradizionale alleanza con la Francia che aveva permesso l’Unità d’Italia (pur con qualche dissidio legato alla questione di Roma) e si rivolse verso nuove alleanze contingenti, per quanto vissute come improbabili dall’opinione pubblica. Firmare la Triplice Alleanza con Austria e Germania a pochi anni di distanza dall’ultima volta in cui Italia e Impero Austro-Ungarico si erano affrontati sui sanguinosi campi di battaglia del Risorgimento parve a molti quasi un abominio. La ragione risiedeva nella politica coloniale che metteva contro italiani e francesi in Nordafrica, nel 1882 all’atto della stipula della Triplice si era a breve distanza dall’occupazione di Tunisi da parte dei transalpini. Ma pochi mesi dopo quella firma, l’esecuzione del patriota triestino Guglielmo Oberdan da parte dell’inflessibile e poco accorto Francesco Giuseppe dette la misura esatta dell’inopportunità della scelta operata, e di fatto la vanificò. Sarebbe rimasta in eredità allo Stato italiano tuttavia una certa disinvoltura nelle alleanze internazionali che è arrivata fino ai nostri giorni.

In generale, Depretis dettò al paese alcuni filoni a cui la politica dei suoi successori si sarebbe volentieri attenuta, pur tra difficoltà sottovalutate e inciampi anche rovinosi. Ma soprattutto dettò, come si è detto, un modo di pensare ed un modus operandi che si è dimostrato congeniale ai governi ed al popolo italiano in questi ultimi 150 anni. Il moderatismo non è una categoria astratta quando si parla del comune sentire degli elettorati nazionali, sia al tempo del Regno che a quello della Repubblica.

AgostinoDepretis191010-005Ma soprattutto si è dimostrato a noi italiani congeniale l’altro cardine del pensiero e del comportamento affermati a Stradella: il cosiddetto trasformismo. Anche se accusare Depretis del brevetto di questo atteggiamento (che ormai ci siamo abituati a giudicare come deleterio, anche se non siamo disposti culturalmente a metterlo da parte, come dimostrano le vicende governative e parlamentari anche recenti) è un po’ ingeneroso. Non fu Agostino Depretis ad inventare il trasformismo, accettando da Vittorio Emanuele II l’incarico di formare il suo primo governo nel 1876 con una maggioranza comprendente la Sinistra ed una parte della Destra spaccatasi in due. Era il sistema che era stato più o meno consapevolmente congegnato per funzionare così, e così è rimasto dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica italiana.

L’assenza di vincolo di mandato per il parlamentare eletto è sempre stata concepita come libertà di comportarsi come gli pare. Una volta entrato in Parlamento, il deputato o il senatore non rispondono più al popolo che ce li ha mandati, e chi dice il contrario mente sapendo di farlo.

Quando si sente dire che la nostra è una democrazia parlamentare, si dovrebbe mentalmente tradurre con la nostra è una democrazia trasformista, una democrazia non rappresentativa né più e né meno di quanto lo fosse il vecchio regime liberale dell’Italia postrisorgimentale.

Chissà se Agostino Depretis sarebbe contento del brevetto attribuitogli. Crediamo che all’ex garibaldino questa onorificenza sarebbe andata un po’ stretta. Ma del resto, di rivoluzionari passati al trasformismo dopo di lui è piena la Storia d’Italia.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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