Ombre Rosse

Amici, sì. Del PD.

Ma ve le immaginate Whitney Houston o Celine Dion che steccano Star-Spangled Banner, l’inno nazionale americano alle celebrazioni del 4 di luglio o prima della finale del Superbowl? Avrebbero preferito steccare ad un concerto dei loro, piuttosto che in una occasione del genere. Anche perché poi, se fosse successo davvero, almeno negli U.S.A. avrebbero chiuso.

Il povero José Feliciano, top singer degli anni 70, propose al Superbowl una sua versione dell’inno americano in chiave blues, e la pagò con il boicottaggio per diversi anni da parte di tutte le radio statunitensi. E non aveva steccato una nota, si badi bene.

All’Olimpico di Roma non bastava la cialtronata della Federcalcio che, unica tra le nostre federazioni sportive, non ha ritenuto doveroso dichiarare chiusa la stagione agonistica il giorno in cui è stata dichiarata la pandemia Covid19. No, figuriamoci se il calcio poteva stare senza assegnare i suoi titoli, o incassare i suoi proventi da parte di televisioni che andrebbero a questo punto chiuse per decenza, prima che con i loro soldi a pioggia finiscano di ridurre la nostra vita completamente ad un letamaio.

Ecco dunque la Juventus ed il Napoli a disputarsi una Coppa Italia ridicola, dopo quattro mesi di mancati allenamenti. Ma ancora niente a confronto di quell’inno nazionale cantato prima della partita da tale Sergio Sylvestre, non Pino, che ci dicono essere l’ultimo prodotto di quella talent scout a nome Maria De Filippi. Il cantante italo-americano canta male, sbaglia le parole e conclude in bellezza con quel pugno chiuso che vorrebbe fare tanto Tommy Smith a Mexico City 1968. A suo dire è un omaggio a George Floyd, discutibile recentissima icona del ribellismo di qua e di là dell’Atlantico, pace all’anima sua. A suo dire il Sylvestre era anche emozionato, di cosa non è dato sapere.

A nostro dire, può ringraziare le porte chiuse stabilite compromissoriamente dalle autorità italiane politiche e sportive, altrimenti la salva di fischi dell’Olmpico l’avrebbe probabilmente fatto sbiancare (absit iniuria verbis).

Non c’era a disposizione un cantante italiano degno di questo nome, evidentemente. Né per vincere Amici, né per cantare l’inno, il nostro inno, all’Olimpico. Non c’era, a giudizio delle forze che ci governano e che oltraggiosamente si inginocchiano nel nostro Parlamento a tutti meno che ai nostri concittadini in difficoltà.

Non chiediamo il boicottaggio del Sylvestre da parte delle radio italiane (sarebbe tra l’altro come paragonarlo in qualche modo ad un cantante vero, come l’indimenticato José Feliciano), né pretendiamo che il nostro senso della Patria e dello Stato diventi mai paragonabile a quello degli americani. Chiediamo semmai, neanche tanto sommessamente, che chi ci governa la finisca di tirare una corda ormai usurata allo spasimo. Di certe cialtronerie, patrocinate oltretutto dalle nostre istituzioni, ne abbiamo abbastanza.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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