Calendario dell'Avvento

Avvento 2018 – Giorno 13: Partito Democratico

Chi di congresso ferisce, di congresso perisce. Era il 15 gennaio 1921 quando da una scissione maturata in seno al congresso socialista a Livorno nacque la cosa rossa. Allora si chiamò Partito Comunista d’Italia, poi ha cambiato tanti nomi, per rimanere sostanzialmente lo stesso: un fattore di blocco della politica italiana, anziché di progresso com’era nelle sue intenzioni. La maggioranza degli italiani lo ha sempre percepito come lo percepiva la NATO, un qualcosa da mandare al potere il più tardi possibile, se non mai. Avrebbe fatto solo danni, come poi è successo.

Sembra proprio che il prossimo congresso del Partito Democratico, adesso si chiama così, abbia ad essere l’ultimo. E non farà neanche cifra tonda, come successe al Partito Socialista, che si sciolse poco dopo aver celebrato il suo centenario. E che terminò la sua storia in modo assai più drammatico, per la verità (erano i giorni di Mani Pulite), mentre la cifra stilistica del crepuscolo del PD sembra piuttosto quella della commedia all’italiana, per non dire della farsa.

La gioiosa macchina da guerra di Occhetto, che aveva disceso orgogliosamente le valli del potere nostrano occupandolo, adesso è chiusa in un angolo. Gli uomini che dovrebbero tirarla fuori da quell’angolo si chiamano Zingaretti, Martina, Minniti. La storia che era cominciata con Gramsci e Bordiga finisce con comprimari decisamente non all’altezza. I fratelli De Rege, diremmo, se non temessimo di offendere la memoria di Carlo Campanini e Walter Chiari.

Poi c’è lui. Gira voce che Matteo Renzi si voglia ricandidare, per favorire la spaccatura che dovrebbe consentirgli di fondare il suo movimento, una macronata all’italiana. La colpa della scissione sarebbe di altri, tutti coloro che lo manderebbero a quel paese per il solo fatto di rivederne la faccia in pubblico. Probabilmente è fuori tempo massimo, oltre che troppo screditato. E’ l’unico capace di mettere d’accordo destra e sinistra. Nel disprezzo e nell’esecrazione.

Si tratta di un piano talmente raffinato e intelligente da farci ritenere impossibile che l’abbia escogitato lui. Farina del sacco di Berlusconi? Di papà Tiziano? Di qualche circolo di potere disposto a ritentare la sorte prima che – come ormai sembra – gli vada in malora la globalizzazione?

Da Gramsci a Renzi. Per quanto l’abbiamo detestato e temuto, il P.C.I. era una cosa seria. Non meritava di finire così. In una festa della Rificolona fuori stagione.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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