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Avvento 2018 – Giorno 19: Woody Allen

Star system. Lui ne era fuori, ne eravamo convinti. E soprattutto era colui che ci aveva convinti che fosse giusto starne fuori. Certo, il cinema era Paul Newman, Robert Redford, Clint Eastwood, ci sarebbe mancato altro. Ma la sua ironia, la sua intelligenza, la sua iconoclastia, la sua verve scenica ci facevano uscire dalla sala cinematografica e rituffare nel mondo reale sempre più convinti che in esso ci fosse veramente poco in cui valeva la pena di credere ad occhi chiusi. E per fortuna.

«Se viene fuori che c’è un dio, io non credo che sia cattivo, credo che il peggio che si possa dire di lui è che fondamentalmente è un disadattato». Come fai a non ridere di una battuta così, buttata lì con nonchalance al termine dell’ennesimo capolavoro cinematografico, mentre già le luci di sala si riaccendono e tu stai per uscire a riprendere una vita di cui forse il suo umorismo yiddish newyorkese è una delle poche cose capaci di darti ormai un senso, delle coordinate?

Allan Stewart Königsberg, poi ribattezzatosi Heywood Allen per prendere le distanze soprattutto psicologiche dalle sue origini ebraiche, poi ribattezzatosi ancora Woody Allen in onore del suo jazzista preferito Woody Herman (lui che suona il sassofono con la stessa dimestichezza con cui ti fulmina con i suoi aforismi), ha insegnato a più di una generazione a ridere dei propri pesanti bagagli culturali, così come delle tragedie pubbliche e private che la propria esistenza dispensava, e dispensa, in quantità.

I suoi film esilaranti del primo periodo e quelli più riflessivi e malinconici della maturità sono stati il paradigma della nostra cultura giovanile. Attraverso le sue gags e la sua mimica facciale indescrivibile a parole, abbiamo imparato a non prendere troppo sul serio la follia di un mondo sempre più folle come quello che ci circondava.

Come ogni icona dello spettacolo, i suoi fan presero ben presto ad appassionarsi e a conoscere ogni aspetto della sua vita privata. Si divisero tra fautori di Diane Keaton – la sua prima musa ispiratrice – e supporters di Mia Farrow, così come per John Lennon si erano divisi tra nostalgici di Cynthia Powell (ma soprattutto dei Beatles) e entusiasti di Yoko Ono. Arrivarono perfino a catalogare la sua produzione cinematografica, suddividendola appunto tra quella in cui aveva travolto tutto e tutti con un umorismo di cui la Keaton era riuscita a stare perfettamente al passo e quella in cui una satira più intimista si era sposata bene con i tratti vagamente malinconici e sottotraccia della Farrow.

Poi accadde qualcosa. Il giocattolo in qualche modo si ruppe. «Fino all’anno scorso avevo un solo difetto: ero presuntuoso», fa dire colui che nel frattempo una parte del pubblico ha preso a idolatrare come il Maestro al suo personaggio alter-ego Boris Yellnikoff in Basta che funzioni, ad oggi il suo ultimo successo. Non è vero, nel frattempo il pubblico ha avuto modo di accorgersi di un altro dei suoi difetti, che con il tempo ha acquistato le proporzioni della valanga.

Dallo scandalo del suo rapporto clandestino con Soon-Yi, la figlia adottiva di Mia Farrow e del suo primo marito André Previn, alle accuse di pedofilia rivoltegli dalla figlia adottiva Dylan Farrow, cinefili e non hanno continuato ad appassionarsi alle sue storie di celluloide ma nello stesso tempo – in un mondo che ancora a volte riesce a scandalizzarsi di qualcosa – hanno avuto sentore, se non convinzione, che qualcosa nel registro morale del Maestro – quel registro su cui ha ironizzato lui stesso in prima persona tante, tantissime volte – non funziona correttamente, o perlomeno secondo la cosiddetta morale corrente.

Ecco adesso, a 83 anni di Allen appena suonati, le nuove rivelazioni di Babi Christina Engelhardt, che a 59 dei propri, di anni, fa il bilancio della sua vita di ex modella squarciando tra l’altro il velo su cosa successe quando ne aveva 16 tra lei ed il regista che all’epoca aveva finito di girare Io e Annie.

In epoca di #metoo, qualcuno può certamente appassionarsi al dibattito su è-stato-lui-è-stata-lei. Fatto sta che la sventurata (si fa per dire, manzonianamente parlando) quella volta più che rispondere prese addirittura l’iniziativa. Ed a rispondere fu semmai il maturo ed affermato satiro, allora peraltro ancora decisamente distante dall’attenuante della proverbiale crisi di mezza età.

Fu una storia della durata di otto anni, stando alla Engelhardt. A cavallo cioé tra quelle ufficiali con Keaton e Farrow che dividevano cinefili e fan di Woody Allen all’epoca. E a quanto la butta lì la modella, pare che addirittura Allen fu lasciato per Fellini: il Maestro lasciato per il Maestro del Maestro, praticamente. «Meraviglioso!», pare che commentasse un Allen in cui il senso della finzione cinematografica aveva evidentemente preso ormai il posto di quello della realtà vera.

Storie che fanno impallidire quelle vere o presunte raccontate su Weinstein, Argento, e compagnia bella dai cronisti di #metoo. Storie che fanno riflettere sul commento sprezzante di Claudia Cardinale rivolto alle più giovani colleghe sedicenti coinvolte, ed in cerca di comprensione femminile e femminista: «il mondo del cinema è sempre stato così, di cosa stiamo parlando?».

Storie che ci fanno ricordare che è vero, che abbiamo sempre saputo che il mondo del cinema era un mondo di eccessi che più distanti dalla nostra vita reale non si poteva.

Ma credevamo che lui, il Maestro, avesse avuto l’intelligenza – oltre che l’ironia – per rimanerne fuori. E invece scopriamo adesso che aveva addirittura i requisiti per andare in galera, in quel 1976 in cui alla sua partner mancava ancora un anno a raggiungere l’età legale per avere rapporti sessuali.

Non c’é più niente da ridere.

«Il sesso è stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere». (Allan Stewart Königsberg Heywood Allen, per gli amici, ma a questo punto soprattutto le amiche, Woody)

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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