Avvento 2020

Avvento 2020 – Giorno 2

E’ uno dei sogni più antichi dell’umanità. Il più visionario e nello stesso tempo il più socialmente e politicamente impegnato dei filosofi della Grecia Antica, Platone, lo aveva teorizzato come quanto di meglio potesse capitare ad una società umana.

Il governo dei migliori. Gli optimates, secondo i latini. Οι άριστοι, secondo i greci. Il sistema migliore non era quello che portava al governo chiunque, come nella democrazia. Era quello che lo riservava ai più capaci, ai più esperti. Ai nobili, intesi non come di sangue blu, ma in quanto in possesso delle migliori qualità personali.

E’ un sogno che nella storia è sempre rimasto tale, tranne alcune sporadiche ed episodiche eccezioni. Se il popolo ha un minimo di controllo sul potere, cercherà di mandare ad esercitarlo chi gli somiglia di più, ed in tal caso può uscire – ed in genere esce – di tutto. Se il sistema invece è improntato ad una qualunque forma di tirannia o dittatura (anche in questo caso la parola greca e quella latina indicano lo stesso fenomeno), in tal caso siamo assolutamente in balia della sorte. Da Caligola a Marco Aurelio, da Hitler al più illuminato dei riformatori, al popolo tocca soltanto subire senza poter nemmeno tentare di correggere i propri errori la volta seguente.

Il ventunesimo secolo è quello che ha consegnato la nostra razza in mano ai computer. Il governo dei migliori, o presunti tali, si identifica ormai con quello degli algoritmi. Strane creature scaturite dall’antica algebra e dai suoi derivati, che fanno corrispondere automaticamente ad ogni parola un risultato, ad ogni equazione una sorte, e lasciano che a decidere o quantomeno a ratificare l’automatismo sia una macchina. Non è la trama di Terminator, è quanto ci sta succedendo, qui e adesso.

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Quando nel 2004 il nerd americano Mark Zuckerberg pescò il biglietto vincente inventando una specie di book of the year accademico computerizzato, non si immaginava certo di aver realizzato a modo suo il sogno di Platone. O se si preferisce, l’incubo di George Orwell.

Di tutti i social networks così vennero chiamati perché stabilivano una rete di rapporti sociali virtuali (sottinteso: in sostituzione di quella reale che è andata sempre più ripiegandosi su se stessa e rattrappendosi) , Facebook è stato da subito quello che è andato maggiormente incontro alle pulsioni autistiche dei cittadini ed alle esigenze da Grande Fratello dei governanti.

La storia del ragazzotto americano che invece di studiare perdeva tempo a progettare il suo ed il nostro futuro al PC ce l’hanno raccontata in tanti modi. Dal film The social network che narrava i suoi esordi ed i suoi primi (apparenti) scontri con l’establishment, al documentario The social dilemma che spiega adesso quali e quante degenerazioni di portata incalcolabile ha provocato la cosiddetta piattaforma, ed il suo uso sempre più distorto ed inconsapevole, sui nostri comportamenti e sulle nostre strutture sociali; la vera storia di Mark Zuckerberg e di come ha cambiato il mondo più a fondo di quanto riuscì a Gesu Cristo è ormai sotto gli occhi di tutti.

Quella almeno che si può raccontare. Poi c’é quella dietro le quinte. L’anno di nascita di Facebook è il 2004. Si può tranquillamente supporre che già alla fine di quel primo decennio del ventunesimo secolo la sua gestione reale sia stata tolta sostanzialmente di mano al suo creatore ed esercitata di fatto dai governi.

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Immaginiamo le National Security Agency, le Central Intelligence Agency, i Federal Bureau of Investigation – per restare soltanto nell’ambito del paese di nascita di Facebook – convocare il nerd di White Plains e metterlo a sedere ad un tavolino intorno al quale gli viene fatto capire che se vuole rialzarsi a fine riunione ricco ma soprattutto vivo deve mettere a disposizione dei suoi interlocutori il suo immenso ed impareggiabile database. Not negotiable, sorry.

Stessa cosa viene fatta nel resto del mondo dalle agenzie rispettive, magari con ancor meno garbo apparente di quello americano. Altrimenti non ti spieghi come sia possibile che Facebook sia ancora aperta in un posto come la Cina.

Dal momento in cui apriamo un account Facebook, ci mettiamo nelle mani del nostro governo. Che non è, se non ce ne siamo ancora accorti, esattamente il governo dei migliori. Che non governa al meglio, né direttamente né per l’interposta persona del ragazzotto, nel frattempo diventato uno dei dieci uomini più ricchi e potenti del mondo. E a questo punto, anche uno di quelli che contano meno.

Facebook permette di indirizzare il consenso, annullare il dissenso e mettere una ipoteca sul destino di tutti coloro che non si adeguano, che non si conformano, che dicono cose su cui altri non mettono mi piace ma piuttosto fanno partire una segnalazione. Credendo di fare cosa buona e giusta.

Mark Zuckerberg: il cervello è un insieme di algoritmi

Mark Zuckerberg: il cervello è un insieme di algoritmi

Una volta segnalato, posto all’indice, l’eretico del ventunesimo secolo non viene più bruciato sul rogo. Semplicemente gli si limita o gli si chiude l’account. Si cancella dal mondo virtuale, che nel frattempo è diventato quello reale.

Decide l’algoritmo, che in tribunale non ci può andare (anche se la storia degli standards comunitari decisi unilateralmente da un soggetto privato nel pieno delle sue prerogative è una bufala giuridica, da quando gestisce bene o male un servizio di comunicazione essenziale Facebook dovrebbe essere trattata come concessionaria di pubblico servizio, e quindi ricadere in pieno nei codici civile e penale). Ma diciamocelo francamente: se anche ci andasse, in questi giorni chi ci trova?

Forse varrebbe la pena un atteggiamento alla francese, a costo di prendere qualche manganellata dalla polizia, come succede a Parigi. Quelle che ci sta tirando Zuckerberg (o chi per lui) sono manganellate virtuali, sembra che non facciano male. Ne riparliamo tra qualche tempo, intanto guai a parlar male dei vaccini su FB, o a dire che un governo è indegno, oppressivo e dovrebbe essere rovesciato.

Meditate, gente, meditate.

E mettete mi piace.

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Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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