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Berrettini, scacco alla Regina

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LONDRA – Ho dovuto andare di corsa a ricercare i vecchi almanacchi del tennis. La mia memoria non è più quella di una volta. Quella di Matteo Berrettini non è la prima vittoria in assoluto sull’erba di un tennista italiano, ma è pur vero che ce ne sono state pochissime in precedenza. Talmente poche da contarsi sulle dita di una mano.

Il problema è ricordarsi quante. Soltanto considerando l’era ATP, cioé da quando risultati e statistiche sono computerizzate dalla celebre associazione dei giocatori professionisti del tennis, si parla di cinquant’anni. Troppi anche per una memoria meno attempata di quella del sottoscritto.

Ecco qua. La prima volta fu di Andreas Seppi ad Eastbourne nel 2011, dopo che per quarant’anni campioni e campionissimi azzurri si erano dannati l’anima inutilmente sull’erba di Londra e dintorni, arrivando soltanto un paio di volte (con Pietrangeli nel 1961 e con Panatta nel 1979) sul limitare del sogno.

Il fatto è che i nostri tennisti nascono da sempre sulla terra rossa, o al limite sul veloce dei campi coperti. Paolo Bertolucci aveva risolto la questione erba una volta per tutte ai suoi tempi con una frase lapidaria rimasta storica: «E’ buona soltanto per le mucche».

Ci vollero due graziose e gentili (con tutti meno che con gli avversari sul campo) signore a nome Roberta Vinci e Sara Errani per far cambiare giudizio ad un intero paese. Il green court divenne bellissimo, stupendo, meraviglioso, il giorno che le due azzurre batterono in finale a Wimbledon l’ungherese Timea Baboos e la francese Kiki Mladenovic alzando quella coppa d’argento che fino a quel momento avevamo visto soltanto da lontano, e sempre in mano altrui.

Era il 2014, e per arrivare al terzo successo ci sarebbero voluti altri cinque anni. Per mano di un predestinato, di nome appunto Matteo Berrettini. Sono pochi i campi in erba rimasti al mondo, la Germania ne ha alcuni, tenuti intelligentemente in gran conto perché preparano a Wimbledon. A Stoccarda ce n’é uno, e lì trionfò il nostro eroe nel 2019, eguagliato una settimana dopo dal compagno di Davis Lorenzo Sonego, capace di vincere sul campo in erba di Adalia, Turkish Airlines Antalya Open.

Il resto è storia di oggi. Al Queen’s, il circolo di Sua Maestà la Regina, vincere (per di più contro un enfant du pays come il britannico Cameron Norrie) è sempre un qualcosa che dà prestigio. Anche se leggenda vuole che chi vince qui poi non si ripete mai a Wimbledon, sul green più importante di tutti.

Ma insomma, da ieri Matteo Berrettini è uno dei soci del club più esclusivo che esista, dopo l’All England Lawn Tennis di Wimbledon. Il ragazzo romano sembra avere i colpi giusti per continuare a vincere sull’erba, quanto e più di quel suo concittadino predecessore, Adriano Panatta, che a detta di molti avrebbe dovuto ottenere di più dal proprio talento, anche sull’erba. Il servizio slice, il gran dritto ed i colpi al volo sono passati in eredità al giovane Berrettini, che se lavora a dovere sulla risposta dovrebbe diventare decisamente un erbivoro. Come si chiamano coloro che vanno a Wimbledon da favoriti.

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Primo turno:

Berrettini (ITA) – Travaglia (ITA) 7-6 7-6

Secondo turno:

Berrettini (ITA) – Murray (GB) 6-3 6-3

Quarti di finale:

Berrettini (ITA) – Evans (GB) 7-6 6-3

Semifinale:

Berrettini (ITA) – De Minaur 6-4 6-4

Finale:

Berrettini (ITA) – Norrie (GB) 6-4 6-7 6-3

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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