Ombre Rosse

Coronavirus: Un anno vissuto pericolosamente

Parla Londra. Trasmissione destinata alle forze combattenti nelle zone occupate.

Alcuni messaggi in codice:

La paura della peste distrusse Atene, non la peste

(Tucidide, La guerra del Peloponneso)

La premura era ben lontana da uguagliare l’urgenza

(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)

La peste sfidava ogni medicina, gli stessi medici che se ne occupavano e gli uomini che prescrivevano agli altri cosa fare cadevano morti, distrutti proprio dal nemico che dicevano agli altri di combattere.

(Daniel Defoe, History of the Plague in London)

Nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi a un fine tiravano assai crudele, ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e così facendo, si credeva ciascuno medesimo salute acquistare.

(Giovanni Boccaccio, Decameron)

La peste. La parola non conteneva soltanto quello che la scienza ci voleva mettere, ma anche una lunga serie d’immagini straordinarie.

(Albert Camus, La peste)

(*) Il titolo dell’articolo è preso a prestito dal film omonimo di Peter Weir del 1982)

Harold Stevens, il colonnello Buonasera

Harold Stevens, il colonnello Buonasera

E’ il vostro colonnello Stevens che vi parla. E’ passato un anno, giorno più, giorno meno. Un anno fa questi erano i giorni in cui era tutto sotto controllo, mentre le strutture sanitarie lasciate allo sbando come il Regio Esercito l’8 settembre del 1943 isolavano il paziente zero e dichiaravano nel contempo aperta la rotta di Caporetto.

E’ passato un anno da quando il Coronavirus di cui si era da settimane vociferato come dell’ennesima cineseria diventò realtà anche in terra d’Europa, fu battezzato Covid19 (Corona Virus Disease anno 2019, e questo nome di battesimo avrebbe dovuto far riflettere da subito, nei confronti di autorità politiche e sanitarie che ancora alla fine di febbraio 2020 si comportavano come le famose tre scimmiette: non ho visto, non ho sentito, non dico nulla) e assegnò all’Italia il triste primato di quel paziente zero al principio frettolosamente etichettato come il solito italiano di ritorno da turismo di varia natura nel sudest asiatico.

Com’é andata lo sanno anche i muri, nel frattempo diventati i nostri principali punti di riferimento esistenziali. E’ il perché è andata così che stenta ancora ad esere messo a fuoco, soprattutto da media che si comportano come un Giornale Unico del Virus, secondo la felice definizione di Nicola Porro. Ed a senso unico, perché diffondono – come gli altoparlanti di certe nostre spiagge di un tempo, quando ci si poteva andare liberamente, o come gli altoparlanti di certe Coree di nostra conoscenza – la stessa verità ufficiale: c’é una pandemia mortale (anche se i numeri sono gli stessi delle influenze di stagione degli anni precedenti al 2019, dati del Ministero della Salute alla mano), stare in casa prima e vaccinarsi poi è un dovere sociale (anche se ha la stessa utilità della camicia quando non arriva a coprire il fondoschena, come dicevano i nostri vecchi).

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E’ passato un anno da quando cominciammo a redigere il Diario del Coronavirus, poi confluito nei testi di questa trasmissione di Radio Londra. Le cose come stanno – a nostro parere non di accademici ma di cittadini che ascoltano anche gli accademici, ma non solo – abbiamo cercato di raccontarvele nel modo più sdrammatizzante possibile. Non ci illudiamo né tantomento pretendiamo di essere seguiti né tantomeno ascoltati, in un paese dove vige ancora l’ecclesiastico principio di autorità (Ipse dixit, dove ipse sta per Aristotele, il Papa, il Re e chiunque sia investito di autorità dal diritto divino, che quelli naturale e positivo non li abbiamo ancora metabolizzati, dal 1945 ad oggi) a cui spesso si accompagna il principio di opportunità (parente prossima dell’opportunismo).

Propongo oggi due contributi sicuramente più autorevoli. Il primo è quello di una dottoressa appartenente alla Medicina di Base, categoria di cui da un anno a questa parte si favoleggia più che discorrere con dati certi alla mano. La dottoressa in questione ha raccontato questo, sul suo profilo Facebook, facendo luce su cosa poteva essere fatto, piuttosto che su quello che si è fatto effettivamente.

Il Medico della Peste, stampa, metà Seicento (Hulton Archive/Getty Images)

Il Medico della Peste, stampa, metà Seicento (Hulton Archive/Getty Images)

«Noi medici di medicina generale, tutti gli anni, generalmente da ottobre a marzo, vediamo polmoniti interstiziali, polmoniti atipiche. E tutti gli anni le trattiamo con antibiotico.

Si tratta di pazienti che vengono in ambulatorio con sintomi simil-influenzali – tosse, febbre, poi compare senso di affanno – che non si esauriscono nell’arco di qualche giorno.

La valutazione del paziente e l’evoluzione clinica depongono per forme batteriche; si dà loro un antibiotico macrolide (e nei casi più complicati del cortisone) e, nell’arco di qualche giorno, si riprendono egregiamente con completa risoluzione dei sintomi.

AlessandroManzoni210226-001Quest’anno non è andata così. Il 22 febbraio di quest’anno (2020, ndr) è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia. La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico.

Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo.

Ma c’è una cosa più grave. Nella circolare ministeriale, il Ministro della Salute ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI, disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale. Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva.

Tutti i pazienti lamentavano che non rispondeva nessuno; io stessa ho provato a chiamare il 1500 senza successo. Un ministro della salute che si accinge ad affrontare una emergenza sanitaria prevede che i numeri di pubblica utilità non rispondano?

Un disastro. In sintesi: le polmoniti atipiche non sono state più trattate con antibiotico, i pazienti lasciati soli, abbandonati a se stessi a domicilio. Ovviamente dopo 7-10 giorni, con la cascata di citochine e l’amplificazione del processo infiammatorio, arrivavano in ospedale in fin di vita.

Poi, la ventilazione meccanica ha fatto il resto.

GiovanniBoccaccio210225-001

Giovanni Boccaccio, Decameron

Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, rischiando anche denunce per epidemia colposa, e non ho avuto né un decesso, né un rcovero in terapia intensiva.

Ho parlato con una collega di Bergamo ed un altro collega di Bologna, che hanno continuato a lavorare nel medesimo modo, e nessuno di noi ha avuto decessi e ricoveri in terapia intensiva.

Anche l’OMS ha dato indicazioni problematiche: nelle prime fasi della malattia ha previsto solo l’isolamento domiciliare, nella seconda e terza fase, quindi condizioni di gravità moderata e severa, l’unico approccio terapeutico previsto doveva essere l’ossigenoterapia e la ventilazione meccanica.

A mio modo di vedere c’è una responsabilità anche dell’OMS, perché non ha dato facoltà al medico di valutare clinicamente il paziente.»

(Dott.ssa Grazia Dondini – Medico di base in provincia di Bologna).

Ecco quanto. Non conosciamo la sorte della coraggiosa dottoressa, che probabilmente in queste ore sta passando come molti altri suoi colleghi il suo brutto quarto d’ora alle prese con il proprio Ordine professionale. Ma una cosa è certa, quello che racconta la dice lunga sulle ragioni del dovere sociale da parte di cittadini a cui è stato sospeso -senza motivo, se ciò che dice la dottoressa Dondini è vero – ogni diritto costituzionale da circa un anno a questa parte. Condizione che tra l’altro, malgrado il recente cambio di governo, non sembra destinata a variare sostanzialmente in un prossimo futuro, con buona pace di Draghi e loro cacciatori. Magari giova ricordare che fine fece e che scopo ebbe in circostanza del tutto diversa – almeno è da sperare in prospettiva – ciò che fu sentito allora come altrettanto incombente dovere sociale: la consegna allo Stato delle fedi nuziali e degli altri gioielli d’oro di famiglia.

Se qualcuno ritiene non sufficientemente autorevole il parere della dottoressa di base (non tale almeno da inficiare l’atteggiamento millenarista che si è impadronito di molti nostri concittadini, in attesa della fine del mondo ed insieme del reddito di cittadinanza compostamente seduti sui loro divani di casa sempre da circa un anno a questa parte, nonché pronti a considerare e a linciare come pericoloso untore chiunque non si conformi), aggiungiamo quello di un medico che ha raggiunto il vertice, sfiorando un Premio Nobel dopo essersi formato alla scuola di uno che il Nobel l’ha vinto davvero.

Ecco Giulio Tarro, medico virologo e primario emerito dell’Ospedale D. Cotugno di Napoli, allievo in gioventù di Albert Sabin (non propriamente un no-vax negazionista).

«Sono felice di ritrovarvi qui, Alla Ricerca della Verità insieme a me. Oggi ci andremo ad occupare di immunità di gregge, alla luce del numero sempre crescente di vaccini e vaccinati.

Ho inserito una frase scherzosa nell’oggetto di questa newsletter, perché come spiegherò in seguito, con questa campagna vaccinale e questo specifico tipo di vaccini (Pfizer e Moderna) non abbiamo nessuna possibilità di raggiungere la tanto desiderata immunità di gregge.

DanielDeFoe210226-001Quello che possiamo fare, al massimo, è diventare un gregge di pecoroni, che eseguono senza pensare ciò che gli viene impartito.

Al di là dell’ilarità di questa battuta, la vaccinazione di massa è stata presentata come unica speranza per scampare da una morte certa e oggi vengono presentati come sicuri ed efficaci vaccini realizzati in pochi mesi, addirittura senza nemmeno aver completato il percorso di sperimentazione (che per i vaccini, mediamente, dura otto anni).

Questi vaccini, che in realtà sono terapie geniche, addirittura garantiscono un periodo di immunità stimato in mesi!

Significa quindi che un vaccinato non è al sicuro per quanto riguarda la trasmissione dell’infezione.

A questo punto mi chiedo: Perché la vaccinazione a tappeto?

E ancora: Perché vaccinare anche i bambini?

Il tasso di mortalità negli infanti per Sars-Cov-2 è pari a zero.

Non credo che ci sia bisogno di dirlo, ma la motivazione è economica, come è economica la scelta di una terapia genica anziché un vaccino!

Tutto ciò, ben si sposa con la natura politica del virus.

Non manipolando virus o microrganismi patogeni, ma solo mRNA, gli impianti per la produzione di questi vaccini, non necessitano di costose misure di bio-contenimento e bio-protezione.

Spencer Tracy è mr. Hyde nel film di Victor Fleming del 1941

Spencer Tracy è mr. Hyde nel film di Victor Fleming del 1941

Sono quindi, per i produttori, molto più economici di quelli finora usati per i classici vaccini ma, soprattutto, ben si prestano a riconvertirsi per produrre rapidamente qualsiasi tipo di vaccino.

Qualora vi fosse una nuova variante di Sars-Cov-2, in men che non si dica avrebbero pronto un nuovo vaccino, temporaneo esattamente come quello distribuito oggi.

Non credo che la salute di interi popoli debba passare per la speculazione economica, e ritengo la manipolazione dei numeri e dei dati un fatto terribile, antiscientifico.

Un anno fa, il Sars-Cov-2 aveva già infettato decine di milioni di italiani, ma era una notizia da far passare inosservata, perché con i numeri reali il lockdown dell’intero Paese non avrebbe avuto senso.

In realtà, si tratta di un virus estremamente contagioso, che, al pari di quello della Varicella – presente nei gangli delle radici nervose spinali di noi tutti, o di quattro coronavirus (229E, NL63, OC43, HKU1) che oggi ci infettano – non producendo una immunità stabile, periodicamente si ridesta permettendo così ad eventuali test di intercettarli.

AlbertCamus210226-001Questo loro ridestarsi quasi mai produce sintomi.

È quella che si chiama una infezione endemica.

Che non è possibile schiodare dalla popolazione con mascherine, lockdown o chiusure.

E, a quanto pare, nemmeno con vaccini realizzati in pochi mesi come il Pfizer-BioNTech che ora, addirittura si pensa di miscelare con il vaccino Astrazeneca: una cosa mai vista nella storia della Medicina.

Grazie di essere qui, e grazie del tuo rispetto per la Verità, che prima o poi verrà a galla, anche con il nostro contributo.

A presto

Prof. Giulio Tarro»

Per oggi credo sia sufficiente così. Meditate, italiani, meditate. Aristotele, la vostra auctoritas, era un uomo del tempo in cui non era la peste a distruggere le città e le nazioni, ma piuttosto la paura di essa. E se le cose duemilaquattrocento anni dopo non sono sostanzialmente cambiate, lo dobbiamo anche a lui.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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