Ombre Rosse

Diario del Coronavirus – Giorno 15: Black Lock Down

Ottant’anni fa i napoletani furono i primi, e rimasero poi anche gli unici, a liberare la loro città dalla occupazione militare nazista senza attendere l’arrivo degli Alleati. Le storiche Quattro Giornate di Napoli cominciarono il 27 settembre 1943 e si conclusero il 30, con la Wehrmacht costretta alla fine a ripiegare – per la prima ed unica volta – sul fronte di Anzio e poi di Cassino non da un esercito regolare ma da una sollevazione di popolo.

Ottant’anni dopo, Napoli sceglie di celebrare la ricorrenza con una manifestazione che per il momento si può definire quantomeno suggestiva, ma che potrebbe a sua volta anch’essa passare alla storia.

La rivolta contro il governo Conte, il primo a stabilire di nuovo sul territorio italiano un coprifuoco ed una sorta di legge marziale dai tempi di Kesselring, parte proprio da Napoli. In quattro giorni, tra il primo ed il secondo DPCM con i quali Conte mette di nuovo a sedere l’economia italiana e complica la stessa sopravvivenza a molti dei suoi concittadini, i napoletani in un colpo solo scoprono il bluff governativo e mostrano al mondo intero quanto può essere problematico mantenere un ordine pubblico se e quando è un popolo intero a scendere in piazza.

I media allineati al regime, a cominciare dalla RAI che ormai è diventata l’Ufficio Stampa del governo, parlano ovviamente di disordini fomentati da delinquenti. Si fa il nome della criminalità organizzata (che sicuramente avrà avuto la propria parte, e l’avrà sempre finché lo Stato stesso le consentirà di sopravvivere e prosperare, dimostrando alla fine di non essere migliore) e dei centri sociali (singolare come questi soggetti, gli antagonisti, quando fa comodo vengano eletti dalla sinistra a interessante esperimento sociale, salvo essere scaricati e liquidati quando serve un capro espiatorio, un po’ come accadeva con gli extraparlamentari di quaranta anni fa).

Sta di fatto che la protesta sociale, popolare, si estende a macchia d’olio, pacificamente e con intento e significato chiarissimo, non mistificabile. Il giorno dopo Napoli scende in piazza Roma, quello dopo ancora tocca a Trieste, Torino, Firenze e soprattutto Milano. Nel capoluogo lombardo, i casinisti di sinistra giocano di nuovo la loro parte, ma nessuno crede più ai reportages della stampa allineata.

DISCLAIMER: La presente foto è condivisa dal sito dello psichiatra criminologo Alessandro Meluzzi, e non intende in alcun modo mancare di rispetto alle vittime ed ai sopravvissuti dell'Olocausto. A quello ci pensano a sufficienza gli esponenti del PD che, come l'onorevole Fiano, sfruttano quotidianamente a sproposito l'argomento dell'antisemitismo.

DISCLAIMER: La presente foto è condivisa dal sito dello psichiatra criminologo Alessandro Meluzzi, e non intende in alcun modo mancare di rispetto alle vittime ed ai sopravvissuti dell’Olocausto. A quello ci pensano a sufficienza gli esponenti del PD che, come l’onorevole Emanuele Fiano, sfruttano quotidianamente a sproposito l’argomento dell’antisemitismo.

La gente, quella vera, è in piazza perché di Conte e dei suoi DPCM non ne può più. Come non ne può più della sua classe politica in generale, articolata com’é tra una maggioranza di scappati di casa senza alcuna idea di economia, lavoro, trasporti, sanità e quant’altro serve a governare, ed una opposizione che ha scambiato Facebook ed i selfies per atti parlamentari, manifestazioni di popolo, atti effettivi che preparano una alternativa di governo. Una uscita dalla crisi.

Roma non crede alle statistiche, si potrebbe dire parafrasando un vecchio film. Gli italiani sono stati disciplinati fino alla nausea, ottemperando alle disposizioni di quella sanità for dummies che a primavera ci ha raccontato che l’unico modo per sfuggire alla Morte Nera era chiudersi in casa, mentre intanto il governo preparava la seconda ondata di settembre non facendo in sostanza una beata mazza.

Gli italiani, quelli che non hanno reddito in qualche modo garantito e non possono permettersi il lusso di dissertazioni epidemiologiche un tanto al chilo, hanno speso quel poco che era loro rimasto – mentre intanto casse integrazioni ed interventi straordinari statali e comunitari si perdevano nel vento come una canzone di Bob Dylan – per mettere a norma i loro esercizi commerciali e poter sbarcare il lunario nei mesi estivi e seguenti.

Gli italiani sono riemersi dai lockdown e dagli smartworkings constatando perplessi che intanto i mezzi di trasporto e le strutture sanitarie erano rimasti quelli della primavera, addirittura pressoché invariati dai tempi dei pazzi tagli alla sanità ed alle infrastruture. Sapevamo che prima o poi una qualche emergenza di qualunque tipo ci avrebbe messo in ginocchio, ma abbiamo continuato a mandare al governo nazionale e locale amministratori che hanno preso a gestire la sanità come una torta nuziale. Affetta affetta, ci sono rimasti solo i pupazzetti degli sposini che si mettono in cima. Quelli che non puoi mangiare perché sono indigesti, perfino per i nostri politici.

Le poche terapie intensive rimaste, i pronti soccorsi, i reparti normali e quelli covid di nuova istituzione sono poco più di un secchiello con il quale ci si dispone alla funzione di svuotare il mare. Fuori, intanto, gli italiani devono tornare ad accalcarsi sui pullman per andare al lavoro o dovunque lo richieda l’esistenza in vita, ed altrettanto devono fare i loro figlioli per andare a frequentare una scuola che intanto non sa nemmeno come disporre i banchi in classe.

"Non ti lasciare un uomo solo indietro (vivo)"

“Non ti lasciare un uomo solo indietro (vivo)”

Gli italiani hanno sopportato, anche se come sempre in vario grado. Questo è un paese abitato da un popolo che non riesce proprio al suo interno a sviluppare legami di solidarietà. I francesi, benedetti loro, nel bene e nel male si presentano agli appuntamenti della loro storia sempre come un tutt’uno. Noi ci dividiamo puntualmente in tutte le parti e fazioni possibili e immaginabili, a cominciare da quelle che vedono contrapposto chi sta bene a chi sbarca in qualche modo il lunario.

Quest’estate, c’é chi il mare o la montagna li ha visti solo nelle cartoline mandate dagli amici più fortunati. Quelli che poi si sono presi di bischero perché sono andati in giro per il mondo ed hanno riportato il contagio. Come se fosse una spiegazione ammissibile da un punto di vista appena appena un po’ scientifico. E’ la filosofia cartesiana a rovescio. Esisti, dunque ti ammali. E tra le altre cose: non pensi più. Siamo allo sbando, anche e soprattutto mentalmente. E la nostra reazione tipica è il tutti contro tutti, sempre e comunque. El mio particulare, come lo definiva Francesco Guicciardini.

Ma insomma, in qualche modo abbiamo fatto i bravi, chi più chi meno tenendo le mascherine, lavandoci le mani e rispettando le distanze. Abbiamo sopportato virologi, infettivologi e epidemiologi da talk show che ci hanno rotto i coglioni dall’alba al tramonto ed anche oltre con le loro previsioni millenaristiche (ricordatevi che dovete morire), il loro terrorismo di stato, le loro statistiche addomesticate.

Addomesticate, sì. I dati parlano di una positività al tampone del 16%. Era prevedibile, dopo un anno e passa che questo virus, naturale o artificiale che sia, scorrazza per le nostre lande indisturbato. Come tutti i virus, del resto. A proposito di questi positivi, non c’é virologo degno di questo nome che ormai non diffonda le stesse percentuali: il 95% rimane asintomatico. Vuol dire una cosa sola: non si ammala.

Del 5% che si ammala, l’80% se la caverebbe con qualche linea di febbre, di quella che una volta – quando esistevano ed erano reperibili e disponibili – bastavano a curare i medici di base. Ora non più, ora si va all’ospedale. E l’ospedale, a forza di tagliare, ha pochi posti letto, e organizzati anche male. Ci ricordiamo tutti le scene dei pronti soccorsi in cui sostavano a giornate i visitati in attesa di ricovero. In attesa che in reparto si liberasse un letto. Succedeva ben prima del coronavirus, ed è addirittura peggiorata negli ultimi tempi, grazie alle ultime amministrazioni nazionali e regionali che noi stessi abbiamo eletto. Delle terapie intensive non ne parliamo, erano ridotte a numeri tali che è stato un miracolo che non saltassero per aria già gli anni scorsi, per effetto delle influenze normali, quelle cosiddette di stagione. Che facevano, tanto per essere chiari, gli stessi morti di questo Covid, se non in qualche caso anche di più.

Del 20%, sempre di quel 5%, che arriva realmente ad avere gravi problemi di salute, una cifra prossima al 90% è costituita da anziani con patologie. Il 10% (a stare larghi) che rimane è costituito da giovani e meno giovani anch’essi con patologie. Non che la sorte di queste persone non ci debba preoccupare ed eventualmente addolorare, ma è singolare che si pretenda di violentare la natura (ed il destino che ci ha riservato a tutti) a nostro piacimento e che non si sia poi capaci di prevederne gli effetti, con un minimo di programmazione seria.

Insomma, tutti questi numeri stanno ad esprimere un solo concetto, se vengono letti con onestà e capacità: stiamo chiudendo il mondo, stiamo assassinando l’economia occidentale, stiamo riducendo questo pianeta ad un film di fantascienza di serie B perché non sappiamo o non vogliamo gestire un evento che fa più o meno le stesse vittime dell’influenza.

Siamo governati da un bellicapelli che ha scambiato La vita in diretta per l’ufficio della Presidenza del Consiglio, ed é coadiuvato da ministri il cui esempio più fulgido è quello del titolare della Cultura, talmente preso dalla propria funzione da aver chiuso a zero tutti i musei ed i luoghi alla cultura deputati. Qui, in un paese che senza la cultura non produce più nulla e non sfama più nessuno.

Stiamo parlando di Dario Franceschini, l’uomo che ha dichiarato «Non possiamo stare a sentire tutti, altrimenti non facciamo nulla». Dove con tutti si riferisce ai cittadini italiani.

A Trieste durante la manifestazione di piazza di ieri ad un certo punto la Polizia, compreso che aveva di fronte non dei delinquenti ma dei cittadini giustamente esasperati, ha scelto piuttosto di starli a sentire, e si è tolta il casco in segno eloquente di rispetto, lasciandoli manifestare.

La nostra Polizia dimostra di avere, tra le altre cose, buon sangue. E forse anche di aver capito chiaramente da che parte sta il sangue cattivo.

Trieste, 26 ottobre 2020 (non un anniversario a caso per il capoluogo giuliano). Il cuore della piazza si ferma per un attimo: la Polizia si toglie il casco per rispetto ai cittadini.

Trieste, 26 ottobre 2020 (non un anniversario a caso per il capoluogo giuliano). Il cuore della piazza si ferma per un attimo: la Polizia si toglie il casco per rispetto ai cittadini. Grazie, a nome di tutti grazie.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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