(oggi) L’anziano signore è irrequieto, va avanti e indietro, in qua e in là, vanificando quella parvenza di fila che anche quassù, ai confini del mondo, cerchiamo di mantenere fuori della bottega alimentare. Da quando è cominciata #iorestoacasa, la bottega del mio paese è diventata tutto il mio mondo, o quasi. Già a tentare di raggiungere il capoluogo, per un qualsiasi motivo di quelli previsti nelle tante versioni delle autocertificazioni governative, si rischia di imbattersi nei Vopos. Dice che non è una bella esperienza, multano anche vecchiette che portano aiuto e sostegno economico a figli rimasti disoccupati per effetto del #chiudere tutto. E sono multe salate. In cima al monte sopra casa mia, più di milleduecento metri di altezza, la Forestale ha fermato dei miei conoscenti. Chi siete, dove andate, ecc…. ecc….. Si rideva quando era una battuta di Benigni e Troisi, adesso non ha voglia di ridere più nessuno.
L’anziano signore non ha la mascherina, non ha i guanti, non ha fermezza. E credo interpreti i miei tentativi di mantenere il metro di distanza governativo (insieme ad una geometria euclidea secondo cui la fila – come la retta – è la via più breve, e più ordinata e salubre, tra due punti) come un segno di cedevolezza. L’anziano in coda, se è un anziano che si rispetti, se appena può ti passa avanti. Con nonchalance. E’ segno di salute, sotto un certo punto di vista. Passo laterale mio, passo avanti suo, sembra di giocare a un, due, tre stella.
Non vale nemmeno sbuffare, o la classica occhiataccia. Macché. Mi prende il nervoso, vorrei dirgli a male parole: «Guarda che tutta questa rottura di coglioni me la sto sobbarcando prima di tutto per te. Sto a casa per te, sto in coda (vestito come quelli di Cassandra Crossing) per te, mi sto esaurendo il sistema nervoso per te, stando attento quasi a non respirare. Per te, vecchio malvissuto (come avrebbe detto il già citato Manzoni) che non hai neanche il garbo di rinunciare alle tue abitudini (Conte dixit) neanche adesso che per te è questione di vita o di morte».
Sto per sbottare, ma come un protocollo sanitario mi viene in soccorso l’educazione di tutta una vita. La mia mamma, che ormai ha l’età di questo signore, mi ha insegnato fin da piccolo che alle persone più grandi di età ci si rivolge sempre con rispetto, a costo di passare da bischeri. Un anziano è un soggetto da rispettare sempre e comunque, perché è quello che sarò un giorno anch’io, mentre lui è stato quello che adesso sono io, e sa già tra l’altro dove andremo a parare, sia lui che io. E se non lo sa, pazienza. Non glielo faccio capire certo mancandogli di rispetto ed educazione.
Tranquillizzatomi, mi consento considerazioni più filosofiche. Chissà quante ne ha viste, questo signore, come tutti quelli della sua età. Nato poco dopo la spagnola, infanzia durante la seconda guerra mondiale, e poi via, asiatica, colera, diossina, targhe alterne per l’austerity, Chernobyl.
Mettiti nei suoi panni, Simone….. è almeno la decima emergenza planetaria che vede nella sua vita, che effetto vuoi che gli faccia? Gli ultimi tempi di questa sua vita, pochi o tanti che il destino gli riservi ancora, magari non vuole – giustamente – neanche passarli chiuso in casa, ad aspettare sorella Morte fissando il muro di fronte a sé. Con un pensiero fisso, di non sapere se rivedrà o meno quel sole che l’estate scorsa dava così tanto fastidio, per quanto e come durò. E che adesso sarebbe una manna dal cielo, se solo si riaffacciasse almeno per un attimo tra queste nuvole che chiudono il cielo, prolungando l’inverno di questo nostro mondo.
Nella bottega in cui aspetto di entrare, la generazione più anziana della famiglia dei proprietari è rappresentata da G., la signora che ha visto 96 primavere, e le porta addosso così bene da farti dire il fatidico «ci metterei la firma». Ancora lavora in bottega, dà una mano ai più giovani senza risparmiarsi, ed in questo frangente prende tutto sommato minime precauzioni. La signora G., quando la prendi nel momento giusto, è capace di tenerti una serata intera a raccontarti la seconda guerra mondiale vista dalla parte del popolo, e te stai lì a sentirla a bocca aperta, e vorresti che non finisse mai. Siamo sulla Linea Gotica, quassù, e lei si ricorda come fosse oggi di quell’inverno del 1944-45 che sembrava non finisse mai. Da una parte i tedeschi, disperati, dall’altra gli americani, che se la prendevano comoda, ma intanto le fucilate arrivavano da tutte e due le parti. Loro, gli abitanti di allora compresa una giovane G., erano su ai rifugi, insieme ai partigiani. Scendevano giù, a casa, a bottega, solo quando non ne potevano fare a meno.
Cosa vuoi che gli possa fare il coronavirus a questi anziani che hanno sconfitto il destino già un bel po’ di tempo prima che noi nascessimo? Non dicono niente, lavorano a testa bassa come formiche industriose, chi ancora ce la fa. Io sarei proprio curioso di sapere cosa pensano di queste cicale impazzite che siamo noi giovani. Andati nel pallone, nel panico, nel delirio alla prima vera difficoltà della nostra esistenza.
Arrivati ad un punto che non ci riconosciamo più neanche da noi stessi. Ammesso che ci siamo mai conosciuti davvero.
(quindici giorni, una vita fà…) Quando il governo Conte chiude Lombardia e buona parte di Veneto ed Emilia, a guardare la cartina d’Italia vengono in mente quelle dei libri di scuola, l’Europa del 1939 con il corridoio di Danzica, quella del 1948 con il corridoio aereo che riforniva Berlino. Lo vedi subito, a colpo d’occhio, che non può durare. Dura minga, come diceva quel Carosello. Per andare dal centro-sud dove ancora si parla del coronavirus come di un’ipotesi a quel nord dove i Governatori ormai lamentano a scena aperta il probabile e vicino collasso delle strutture sanitarie ed un primo accumularsi di cadaveri che ancora statisticamente non è significativo ma lo diventa visivamente (una fila di bare fa sempre più effetto di un foglio excel), non rimane altro che una striscia di terra che ha una ragione evidentemente politica, piuttosto che sanitaria. Tagliare in due il paese significa ritornare al 1943, quando ancora non si sa bene contro cosa si sta combattendo. Ovverosia, si saprà in seguito che al governo le informative corrette le hanno avute già a fine gennaio, ma un conto sono le informative ed un conto – almeno per la nostra classe dirigente mai previdente – è vederle realizzarsi.
Il gabinetto Conte, per dirla all’inglese e senza ingiuria contenuta nelle parole, comincia a realizzare che pesci deve pigliare, ma non si risolve a prenderli. Ai primi di marzo è evidente che la Linea Gotica è tornata in funzione. Il Covid19 ci ha messo molto meno di Hitler, quindici giorni. Ma chiudere tutto, come chiedono a gran voce autorità sanitarie ed opposizione politica, sembra ancora una follia.
La serrata generale parte come una iniziativa volontaria, ed accelera quando si diffonde la paura generata da quel fuggi fuggi che a Milano Stazione ha vanificato probabilmente qualsiasi misura di contenimento. Nel frattempo, l’Italia sta passando dalle zone di centroclassifica a quelle di vertice nel campionato dei più contagiati. Mentre il campionato ufficiale, quello di calcio, affonda nel ridicolo con Juventus, Inter e FIGC che si affannano a trovare tutte le soluzioni più convenienti per loro meno che l’unica seria per tutti, interrompere, tocca al governatore del Friuli Venezia Giulia Fedriga dare la spinta decisiva agli eventi. Chiede al governo ufficialmente e platealmente di essere inserito nella nuova zona rossa interregionale. C’entra sicuramente il discorso dei finanziamenti straordinari, che notoriamente vanno solo alle zone dichiarate in maxiemergenza (la pubblica amministrazione in Italia ragiona così), ma c’entra anche la consapevolezza che la stalla o la si chiude tutta o altrimenti tanto vale che governino i buoi. Il virus non riconosce né statuti speciali né confini amministrativi.
Fedriga non fa a tempo a finire la sua pubblica dichiarazione che Conte lo anticipa. La sera del 6 marzo si diffonde la voce che il governo intende #chiuderetutto per davvero. Ma tutto tutto. La zona rossa verrà estesa a tutto il territorio nazionale. Come al solito, prima si parla con i giornalisti poi si promulga il decreto, così che tra la popolazione chi ha voglia di far casino ne ha tempo e modo abbondanti.
Alla fine, il decreto arriva. Nella notte, l’Italia compie un salto indietro di oltre 70 anni. Una specie di coprifuoco dapprima morale e poi sempre più armato si estende su tutto il paese. Non è più possibile per i cittadini italiani uscire da casa propria se non per comprovati motivi (lavoro, spesa, sanità e pochisismo altro) e parte il gioco delle autocertificazioni che ben presto diventano una specie di Pictionary.
Scherzi a parte, c’è poco da scherzare. La paura del virus è diventata psicosi, terrore di massa, prima ancora che arrivino alla ribalta i numeri che in qualche modo la sostanziano. Quello su cui nessuno sembra riflettere, anche perché con il terrore non si riflette, è che da quella notte il governo italiano dichiara altre due emergenze: quella economica, perché con il progressivo #tuttiacasa nel giro di pochi giorni anche l’assetto produttivo ed occupazionale del nostro paese sarà azzerato, al pari della presenza di esseri umani a giro per le strade; e quella politica, perché con l’entrata in vigore del coprifuoco h24 (qualcuno chiede addirittura la legge marziale, sul modello cinese) in virtù di un semplice DPCM e sulla base di poteri emergenziali i cui confini non sono stati adeguatamente discussi da nessuno, men che meno da un Parlamento che è il primo luogo pubblico a chiudere, di fatto nella notte tra il 6 ed il 7 marzo 2020 la Costituzione della Repubblica Italiana cessa di avere vigore su tutto il territorio nazionale.
I cittadini si chiudono in casa, diligentemente. I sanitari continuano la loro battaglia di prima linea scontando la proverbiale carenza di attrezzature (mascherine, ventilatori, presidi sanitari vari) che una volta già ci aveva fatto credere possibile spedire in Russia pochi mesi prima dell’inverno i nostri soldati con ai piedi scarpe che erano poco più che cartone. I virologi cominciano a dividersi tra virologi ottimisti e virologi pessimisti. E come spesso succede, l’OMS con i suoi dati grezzi offerti senza nessuna istruzione sul come leggerli ed il ritardo nella dichiarazione di pandemia offre sponda ad entrambe le letture. I politici, quei pochi rimasti in servizio oltre all’uomo sempre più solo e sempre più al comando, si scontrano sulla necessità di stanziare in Italia e far stanziare all’Europa fondi straordinari. Le due signore della UE intanto, Ursula Von der Leyen e Christine Lagarde fanno a gara a chi dice la cosa più inopportuna rilasciando dichiarazioni che sono, pardon, come rutti ad un pranzo di gala.
Dilaga il terrore, e quel di doman non v’è certezza che Lorenzo il Magnifico aveva declamato con ben altro spirito. E nella notte che si stende sull’Italia mentre il sole di quel 6 marzo tramonta, si possono udire forti i latrati dei cani ed i miagolii dei gatti abbandonati da padroni convinti improvvisamente da qualche fake brain di internet che siano loro gli untori.
Quasi settecento anni dopo la Peste Nera, siamo rimasti lo stesso sgraziato impasto di superstizione ed ignoranza. E adesso non ci sono più neanche le chiese per rifugiarvisi ed aggrapparsi all’unico presidio mentale (anche nel 2020) a cui molte coscienze sembrano disposte a dare credito, la religione. Le chiese sono state le prime a chiudere. Chi cerca ancora un Dio in tutto quello che sta succedendo, sarà bene che lo cerchi per strada. Anzi, no, perché per strada non ci si può andare più.
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