Ombre Rosse

Diario del coronavirus – Giorno 8

Non andrà tutto bene, proprio per niente. Alla terza settimana gli hashtag mi escono dalle orecchie. Come quel #iorestoacasa che troneggia sugli schermi televisivi dalla mattina alla sera, h24, come la foto di Kim Jong-un alla televisione coreana (del nord, in quella del sud in compenso di coronavirus non ne parlano più, hanno risolto il problema in quattro balletti usando – pare – una app dei cellulari).

Alla terza settimana di arresti domiciliari è chiaro che il cervello o ce lo siamo già fulminato o stiamo per. La prima è trascorsa tutto sommato bene, era una novità, e poi c’era da organizzare lo smartworking (si chiama così adesso il telelavoro, i nostri esperti vengono tutti dalla Bocconi e dai master a Londra, l’italiano per loro è un idioma poco forbito). Qualunque sia la vostra azienda, il vostro paese è in ogni caso quello che dagli anni novanta non ha ammodernato una linea telefonica o una struttura di comunicazione digitale che una, al di fuori delle metropoli. Se state un po’ fuori, come il sottoscritto, provate un po’ a far funzionare due workstations facenti capo a server diversi per il tramite dello stesso doppino (scusate la parola volgarmente italiana). La compagnia telefonica insiste nel sostenere di aver cablato con le fibre ottiche anche le vette montuose più alte. Di fatto, è già tanto se a casa mia si riesce a scaricare la posta elettronica aziendale.

La prima settimana passa, la seconda te la fai passare in qualche modo. Nel frattempo accendi la televisione a tuo rischio e pericolo. Angelo Borrelli è lì in agguato, tutte le sere, con i numeri al lotto della Protezione Civile. Dati sciorinati in stile certame di matematica, senza alcuna chiave di lettura e soprattutto senza sapere quale sia il reale denominatore alla base del rapporto tra contagiati, defunti e popolazione sana.

AngeloBorrelli200408-001Borrelli sembra la versione odiosa di Martufello. Un Franco Califano indisponente, direi, se non avessi timore di offendere la simpatica memoria del grande Califfo. Ma mai indisponente quanto la categoria dei giornalisti italiani nel suo complesso. Si comincia alle sei di mattina con il #ricordatichedevimorire, così come una volta apriva le trasmissioni il monoscopio RAI che saliva in cielo. Non si parla d’altro che di coronavirus, non abbiamo avuto mai un cervello così lavato, candeggiato con ACE. Analisti a contratto giornaliero spiegano i perché e i percome, salvo ripetere ogni cinque minuti, confortati dai virologi bypartisan, che sostanzialmente di questo coronavirus non sappiamo una mazza. L’unica è stare a casa. #iopiùcheacasastoavède, come dicono a Roma.

Ma siccome è il refrain che ripetono tutti, da Fiorello a Carlo Conti a Giuseppe Conte (l’uomo che non deve chiedere mai, men che meno il voto al Parlamento, che ha chiuso i battenti per primo e senza tanti complimenti), tutti si mettono comodi sul divano. Del resto, sono cinquant’anni che pendiamo dalle labbra di una televisione che almeno negli ultimi trenta forse si è limitata essenzialmente a friggerci il cervello, e quindi stare a casa è un riflesso condizionato. Non quel dovere civico ragionato e supportato da dati scientifici concreti come dovrebbe essere. Borrelli & c. permettendo.

coronavirus200408-001Intanto, la Spagna con una remuntada senza precedenti ci tallona da vicino per guadagnare il primo posto nella speciale classifica dei pirla che hanno dato retta all’Unione Europea ed alla propria classe politica di cialtroni tagliando posti letto e strutture sanitarie a go-go. Nella penisola iberica è una ecatombe come da noi, ma più distribuita. Qui permane il mistero dell’epicentro situato nella bergamasca e nell’hinterland milanese. Con consistenti propaggini in Veneto e in quell’Emilia di cui dopo l’epico match Bonaccini – Borgonzoni non parla più nessuno. Malgrado il fuggi fuggi dalla stazione centrale di Milano la notte della prima ordinanza estensiva della zona rossa, il contagio nel resto d’Italia stenta – grazie a Dio – a prendere quota. Considerate anche le modalità con cui, in certi casi per forza di cose e per mancanza di mascherine, chi non può stare a casa attua le prescrizioni di comportamento in luogo pubblico, forse quel Dio di cui abbiamo così tanto dubitato qualche miracolo lo sta facendo.

L'ospedale allestito da Emergency a Bergamo

L’ospedale allestito da Emergency a Bergamo

La Ferrari annuncia che si riconvertirà alla produzione di ventilatori da terapia intensiva Covid19. Giorgio Armani si metterà a produrre camici ed altri presidi sanitari per il personale ospedaliero di prima linea. Altri più o meno noti lo seguiranno riconvertendosi alla produzione di mascherine. Carlo Cracco si presta personalmente alla distribuzione dei pasti ai lavoratori che stanno allestendo a tempo record l’ospedale ricavato dal governatore Fontana e dall’ex capo della Protezione Civile Bertolaso alla Fiera di Milano. Non è proprio tutto da buttare questo paese. Eccellenze italiane che vengono fuori (senza la solita indisponente retorica) nel momento più difficile e nel modo più sorprendente. Ma del resto noi italiani quando siamo con le spalle al muro siamo capaci regolarmente di sorprendere tutti. A cominciare da noi stessi.

Prende piede il collezionismo. Se negli anni trenta aveva spopolato la raccolta di figurine Buitoni-Perugina con la caccia all’introvabile Feroce Saladino, in questo inizio di anni venti del ventunesimo secolo spopola invece la raccolta delle ordinanze di Giuseppe Conte, con la caccia a quella in cui ci si capirà finalmente qualcosa. Non ci sono infatti due categorie di lavoratori o due tipologie di cittadini che siano trattati allo stesso modo. L’unica cosa certa sono le sanzioni, se ti beccano fuori dell’area tecnica (non sempre tracciata con vernice brillante e durevole) le sanzioni pecuniarie, per la gioia dei Comuni a cassa corta, sono salatissime.

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Christine Lagarde, maman a fait les gnocchis (mamma ha fatto gnocchi)

Prende piede lo sciovinismo. Parte del quale è giustificato. L’Unione Europea non è mai stata un granché, dai tempi in cui Prodi voleva convincerci che avremmo lavorato di meno e guadagnato di più. Ora in compenso fa proprio schifo, ed è grassa se alla Lagarde o alla Von der Leyen non scappa un «sono cazzi vostri» quando la discussione verte sull’argomento aiuti.

Altra parte dell’insorgente nazionalismo ce la potremmo risparmiare. Quando si sparge la voce che Boris Johnson è malato, ci manca l’applauso generale e – a seconda delle usanze regionali – la fila di pernacchie. Il premier inglese era accusato di aver detto in maniera molto inglese che il suo paese, come già altre volte, non si sarebbe fermato, business as usual. Piangeremo i nostri morti e ci rialzeremo quanto prima. E’ la filosofia diametralmente opposta al nostro tutti a casa, e – non da oggi – quella che ci separa dagli inglesi in maniera forse inconciliabile.

Pandemie a confronto: Spagnola 1918

Pandemie a confronto: Spagnola 1918

Noi siamo stati i primi in Europa ad infilarci in questo casino, e se tanto dà tanto, ci sta che saremo gli ultimi a venirne fuori. Non varrebbe piuttosto la pena di chiedersi se il nostro è l’unico approccio possibile? Oltre a quello britannico, messo oggettivamente in crisi dalle dimensioni di Londra, città enormemente metropolitana e quindi sostanzialmente incontrollabile al pari di quella New York che la seguirà di lì a poco, c’é il modello israeliano: in casa ci restano solo gli anziani, monitorati, gli altri lavorano, producono e proteggono come sempre (anche perché degli arabi lì attorno vati a fidare….). C’é il mistero per cui in Germania si ammalano e muoiono molto meno che da noi (c’entrerà l’età media della popolazione meno anziana della nostra, oltre al welfare state che loro non hanno tagliato come chiedevano di fare a noi?). C’é la Francia che viaggia per conto suo, come sempre. C’é tutto un mondo là fuori, a cominciare dai cinesi che stanno meglio e adesso possono venire qui a dare una mano. O dai russi che – a detta di Putin – non la prendono, e possono venire qui ad aiutare anche loro. O dagli americani che malgrado siano il prossimo atteso fronte del contagio hanno risorse da spendere negli aiuti all’Italia anche loro.

coronavirus200408-002Tutto il mondo si tinge di bianco, rosso e verde, tutto il mondo intona forza Italia. Tutti si stringono a coorte e cantano da balconi l’Inno di Mameli e altre melodie patriottiche. Tutto bello, tutto lascia ben sperare che davvero #andràtuttobene.

E allora perché, alla terza settimana cominciano a girare impetuosamente le scatole? Forse perché in mezzo a questo marasma di dati sanitari (per ora poco confermati) sul coronavirus forse era il caso di prendere in considerazione anche qualche dato economico, macro e micro?

Morire di collasso polmonare no, ma neanche di stomaco vuoto. Non ci vuole il master alla Bocconi per capire che con le aziende chiuse ed i ritardi endemici della P.A. nella erogazione della cassa integrazione, il 27 marzo che si avvicina sarà una resa dei conti pericolosissima. In un paese in cui non si riesce a mettere da parte più un centesimo, arrivare da un 27 all’altro con poco o nessuno stipendio è impresa impossibile, e pericolosissima. Dal facciale e labiale di Conte e Gualtieri, non pare proprio che se ne siano dati per inteso.

ConteGualtieri200408-001Il Conte che si presenta in parlamento dopo la metà del mese (passava di lì?) sembra un uomo non soltanto stanco (all’università evidentemente i suoi carichi di lavoro non erano questi), ma anche in stato di disagio mentale. A Giorgia Meloni che lo fa morbido dai banchi dell’opposizione rivolge sguardi tipo: sig.ra, ma io e lei ci conosciamo? dove ci siamo visti?

Oltre al picco del massimo contagio si avvicina a grandi passi anche quello del minimo reddito disponibile. I supermercati sono riforniti, ma le code fuori sono chilometriche e le tasche dei cittadini sono sguarnite.

coronavirus200408-004Quassù, semmai, abbiamo il problema opposto. Poca gente, contagio zero (siamo a due passi dal confine con la zona rossa originaria, gli dèi dell’Appennino fanno evidentemente buona guardia). Economia essenziale ma funzionale, un po’ come prima del boom economico. Ci si rompe molto le scatole, questo sì, e se hai mamma o figliolo distanti devi pregare che vada loro tutto bene. Perché te da loro non ci puoi andare, e lo Stato… beh, lasciamo perdere lo Stato. E’ già tanto se non fa altri danni.

A due mesi dall’inizio della crisi che lui stesso aveva liquidato con poche mal riuscite battute di spirito e ingenti spedizioni di presidi sanitari all’estero, l’estemporaneo governatore della Toscana ha deciso che di casa non si esce più senza mascherina, nemmeno per le funzioni essenziali. Le mascherine, quando ci sono, sono peraltro simili a quelle che si usano per verniciare in casa. Perlopiù servono nelle giornate di tramontana.

coronavirus200408-005E’ un mondo strano, e qualcosa mi dice che riabituarsi ad un mondo normale sarà un bel problema. Roba da sostegno psicologico di massa per il superamento di stress post – traumatico. Ci mancherebbe solo questa, dover reinserire i cittadini nella vita normale. A differenza dei reduci di guerra, stavolta si tratta di tutti quanti. A qualcuno, a quello che capisco, dovranno ripeterlo con insistenza: guarda che puoi uscire, è tutto vero, fai ‘sto passo fuori della soglia, esci!

Magari qualcuno dei sindaci che hanno fatto vergognare un intero paese disarticolando l’#iorestoacasa in idiomi più o meno incomprensibili (il video è stato assemblato dal New York Times e gira il mondo, bella figura, bello spot per l’Italia), adesso dovranno girare la versione al contrario: #tenevoiuscì????

Voglio cominciare a tenere un diario, come Robinson Crusoe. Comincio domani, oggi si è fatto tardi. E’ già l’ora di Borrelli, e chi se lo perde? Era dai tempi di Quelli della notte che non ci si divertiva così.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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