Ombre Rosse

Diciotti, No Way

Il secondo viaggio della Diciotti rischia di terminare come l’ultimo di Ulisse: senza ritorno. Stavolta le Colonne d’Ercole sono le passerelle di sbarco verso il molo di Catania, presso il quale la motonave sosta da giorni mettendo a dura prova i nervi – e non solo quelli – di un intero paese.

Un mese fa, la Diciotti l’ebbe vinta per l’intervento del Quirinale presso Palazzo Chigi. Mattarella seguiva attentamente la situazione, e il premier Conte fu costretto a sorbirsi una telefonata tramite cui l’Europa una volta di più chiedeva, e dovette rispondere sconfessando di fatto il proprio ministro dell’Interno, e di fatto cedendo.

Stavolta la crisi arriva preceduta da un escalation politico-mediatico-giudiziaria forse senza precedenti nella storia repubblicana. L’Italia che assiste al secondo tentativo di sbarco degli illegali della Diciotti è un paese provato non soltanto dalle calamità naturali e da tante altre congiunture sfavorevoli (alcune delle quali messe in convenzione dai passati governi di centrosinistra), ma anche dalla guerriglia senza quartiere scatenata da una forza politica – il partito democratico – che non c’é stato a perdere, e non ci sta a mollare definitivamente il potere. Le cui posizioni essenziali aveva badato bene peraltro di occupare negli ultimi tempi dell’ultimo governo, affinché servissero alla bisogna attuale.

Il Gentiloni che promulgava leggi e decreti e operava nomine in fretta e furia, come la Gladio tra la fine della seconda guerra mondiale ed il varo della NATO, ha creato una struttura che adesso dovrebbe servire a rendere la vita difficile al nuovo esecutivo, fino a fargli saltare i nervi provocando una crisi di governo per la quale probabilmente in vetta al Colle più alto di Roma è già pronta la soluzione. Cottarelli è sempre sui fornelli, a fuoco basso.

Diciotti180824-001Non esiste tuttavia organo di informazione tra quelli – quasi tutti – in quota alla sinistra che in queste ore non stia fornendo una narrazione dei fatti completamente stravolta, dipingendo l’immagine di un governo da «deriva fascista» che tiene «sequestrate illegittimamente delle persone sul proprio suolo» (la motonave appartiene alla guardia costiera italiana, anche se ultimamente lavora da traghetto privato). Il comandante della Diciotti, che comincia forse a sentire odore di bruciato circa la sua posizione, fa sapere che «a bordo stanno tutti bene», smentendo così medici senza mai frontiere (nemmeno quelle del buon senso e della misura) e leader della sinistra precipitatisi a Catania per organizzare quella kermesse da Corte dei Miracoli a cui stiamo assistendo da giorni.

Sul molo, gli indignados della vecchia casta e quelli della base si alternano nelle manifestazioni con cui vorrebbero accreditare la vicenda Diciotti come #vergognanazionale. La vergogna è che un ammiraglio nominato in fretta e furia al comando della guardia costiera, Giovanni Pettorino, in spregio a qualunque codice militare di pace si possa ribellare alle direttive del legittimo governo italiano dichiarando di «rispondere soltanto alla propria coscienza» ed «all’obbligo morale di salvare tutti». E che in base al sistema giudiziario distorto che si è creato nel nostro paese costui sia ancora al suo posto anziché davanti ad una corte – marziale o civile – a rispondere delle sue azioni e della sua insubordinazione. Più sfumata la posizione di comandante ed equipaggio della Diciotti, il fatto è che la manfrina delle acque territoriali libiche, maltesi e italiane dovrebbe semplicemente finire, semplificando la vita a tutti i cittadini e complicandola solo a chi pesca nel torbido.

Diciotti180824-003Nel frattempo, scende in campo la magistratura che a Genova, per il crollo del ponte Morandi, non ha ancora trovato non diciamo colpevoli ma nemmeno indagati, a fronte di 50 morti e di un disastro umano e ambientale con pochissimi precedenti. A Catania invece – di fronte a una situazione che fino a prova contraria coinvolge prima di tutto il legittimo diritto di uno stato sovrano a difendere se stesso, i propri confini, i propri cittadini, e poi in via del tutto secondaria lo status di persone che risultano essersi presentate alle patrie frontiere come irregolari, clandestini non aventi titolo a richiedere asilo – il procuratore di Agrigento quando arriva al porto con tanto di mascherina e guanti per salire a bordo in eurovisione è accreditato dalla stampa che inneggia a gran voce al suo intervento di recare con sé provvedimenti penalmente sanzionatori nientemeno che nei confronti del ministro Salvini. Fake news, ovviamente, si derubrica quasi subito a indagine contro ignoti per traffico di esseri umani con finalità di criminalità organizzata, ma intanto il ministro deve perdere più di mezza giornata a discolparsi non si sa bene di cosa, e ad invitare le coscienze dei cittadini al sostegno al governo che hanno a maggioranza votato.

La "manifestazione dell'arancino"

La “manifestazione dell’arancino”

Governo che é sotto costante attacco per il tradimento dell’Unione Europea (il premier Conte, a cui gli alleati avevano garantito una equa distribuzione dei migranti, salvo ringambare in ogni circostanza), per la revoca della concessione delle autostrade (il ministro Toninelli, che a sentire certa stampa sembra diventato il principale responsabile del dissesto autostradale, manco fosse lui il concessionario e non la famiglia Benetton grazie ai buoni uffici di lunga data del duo Prodi – Di Pietro), per la grana dell’ILVA (Calenda aggiudica agli indiani una gara viziata di illegittimità, ma la colpa ovviamente è di Di Maio che si trova in condizione di non poterla annullare senza danno erariale). Ma per fortuna trova il tempo ed il coraggio di resistere alle pressioni da parte di tutti i colli romani confermando la solidarietà ed il sostegno concreto a Matteo Salvini. Luigi Di Maio al pari del collega non molla, ed afferma: «o la UE fa quanto stabilito prendendosi i suoi migranti pro quota, o l’Italia non le paga più i suoi contributi». Palla a Bruxelles, stiamo a vedere.

L'intellighenzia europea (in questo caso francese) che ci ride dietro

L’intellighenzia europea (in questo caso francese) che ci ride dietro

A Catania oggi sono attesi saltimbanchi di ogni ordine, grado, ruolo e ispirazione, meno che filogovernativa e filogiurisprudenziale. Sarà un’altra giornata lunga, non per i migranti o i marinai della Diciotti, ma per tutti gli italiani che credono nel diritto acquisito da questo governo di attuare il suo programma votato a maggioranza dagli elettori, e si aspettavano di conseguenza un fair play democratico che il partito che democratico appunto si chiama non ha nelle sue corde. Non lo ha mai avuto. Non lo avrà mai, irriformabile come l’Unione Sovietica di Gorbacev.

Il fatto è che il PD ha capito, confusamente ma ha capito, che sulla vicenda di Catania si gioca probabilmente una partita decisiva per il futuro del governo in carica e del paese. I 150 della Diciotti – sbarcatis sbarcandis – sono diventati come i 500 milioni della Begum, per chi ha letto Verne. Promettono una cospicua eredità politica a chi vince il braccio di ferro in corso sul molo catanese. Il loro valore va ben oltre il discorso umanitario – in ordine al quale, tra l’altro, vorremmo vedere gli stessi indignados manifestare uguale empatia per tutti quei connazionali che sbarcano il lunario anche peggio dei migranti che vengono accompagnati e scortati con tutti gli onori sul nostro suolo.

Il "filosofo" Massimo Cacciari

Il “filosofo” Massimo Cacciari

Massimo Cacciari può permettersi di andare in televisione a definire «pezzo di merda» chi non si indigna per le tragedie del Mediterraneo. Non lo abbiamo comunque mai sentito proferire mezza parola, magari più forbita, per le tragedie a cui lui come tutti noi ha assistito sul territorio italiano, a spese di italiani. Stesso discorso per Fabio Fazio, tornato trafelato dalle vacanze per precipitarsi alla kermesse catanese a far danni (al governo ed al diritto), e per un sorprendente Mauro Corona che si scopre buonista in vecchiaia dopo aver mandato a quel paese il prossimo per tutta una vita.

Facciano ciò che credono, sono pagati da editori di sinistra, è giusto che leghino l’asino dove vuole il loro padrone. Ma che sia chiaro che di asini si tratta. La libera informazione in Italia è come il diritto: ognuno lo tira dalla sua parte, e trattandosi di materia cedevole, ha buon gioco a farlo andare da quella parte che vuole, con le buone o con le cattive.

Anche il governo ha chiaro il fatto che sulla Diciotti si gioca faccia, programma, futuro. Matteo Salvini, incassata la solidarietà compatta dei colleghi, rilancia la proposta del No Way australiano: non ti faccio nemmeno arrivare, ti fermo prima, molto prima. Sbraitano i corifei PD: in Italia non si può applicare!!! le leggi lo vietano, l’Europa lo vieta!!! L’umanità lo vieta!!!

La campagna NO WAY del governo australiano

La campagna NO WAY del governo australiano

Lasciando perdere Europa ed umanità, che sono categorie ad usum Delphini (*), le leggi si cambiano, come quella sui minori non accompagnati (che infatti non mancano mai sulle navi che entrano nelle nostre acque, gli scafisti sono svegli ed in ogni tratta mettono dei trojans), o quella che impone alle nostre navi militari di funzionare da traghetti, o quella generale che impone al nostro Stato di finanziare una Unione Europea che poi usa i nostri soldi per farci a pezzi nel nostro stesso paese.

Le leggi si cambiano, le convenzioni si revocano, le cariche dello Stato si affidano a persone più degne, o quantomeno con le idee più chiare circa il proprio ruolo nel nostro ordinamento di quanto le prime tre cariche dello Stato stesso abbiano – allo stato dei fatti –  dimostrato di avere finora. Serve tempo, e magari non poco. E che i nostri governanti non debbano trascorrere gran parte delle loro giornate a rispondere agli attacchi di una opposizione che, come Romolo Augustolo l’ultimo imperatore romano, sente venuta la sua ora e le tenta tutte, trincerandosi come un’Ultima Legione attorniata dalla sua rete di amicizie interessate.

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini (S) con il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, in aula del Senato durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del  28 e 29 giugno, Roma 27 giugno 2018. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

(*) Locuzione latina che significa «per uso del Delfino» ed era presente nei frontespizi dei testi adattati per il primogenito del re Luigi XIV di Francia. Si dice dei discorsi politici rimaneggiati con tagli e aggiunte in modo da essere strumentalizzati da una determinata parte politica.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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