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Er Più

29 luglio, data storica. Nel 1971, questo film apparentemente poteva sembrare uno dei tanti musicarelli dell’epoca. In realtà, vuoi per il soggetto, vuoi per la regia di Sergio Corbucci (non l’ultimo arrivato), vuoi per l’interpretazione di Adriano Celentano per una volta di grande spessore, fu un bel film, che narrava tra l’altro con accurata ricostruzione storica vicende realmente avvenute e di portata drammatica.
Prima che il Fascismo lo demolisse per costruire la Via della Conciliazione dopo i Patti Lateranensi del 1929, quello di Borgo era uno dei quartieri più antichi di Roma, risaliva al Medioevo. Come nel resto della città, il potere tra il popolo era esercitato da una figura non istituzionale, un sindaco di fatto. Er Più.
La storia d’amore e de cortello di Corbucci narra la vicenda di Romeo Ottaviani, nel film Nino (Celentano) detto er Più de Borgo. L’uomo che con le buone o le cattive comandava allora nei quartieri dove la polizia papalina prima e quella regia poi avevano spesso paura ad entrare.
A Nino tutti portano rispetto, perfino li Più dell’altri quartieri, perfino quando sono costretti a sfidarlo a duello con il coltello. Perché la cosa più importante è l’onore: per quella ce se vive, per quella se more.
A Nino, una zingara cartomante ha predetto un destino luminoso: la sua vita sarà fulgida e scorrera’ di pari passo con quella del re vero: quello d’Italia.
Il 29 luglio del 1900, quando sembra che sulla strada di Nino er Più de Borgo non ci siano più ostacoli, ecco che gli si para davanti er Cinese, individuo abbietto (interpretato nel film da un grande Vittorio Caprioli) da lui più volte umiliato pubblicamente, che in quel momento trova il coraggio di vendicarsi spianandogli contro una pistola.
Il film si conclude sull’eco degli spari. Sono gli stessi che riecheggiano a diversi chilometri di distanza, nel Parco Reale di Monza, dove Sua Maestà Umberto I di Savoia e la Regina Margherita stanno transitando sulla loro carrozza. Tra la folla festante si nasconde l’anarchico venuto dall’America, Gaetano Bresci. La sua missione è vendicare i compagni presi a cannonate due anni prima a Milano dal generale Bava Beccaris, il macellaio insignito di onorificenza del Regno da Re Umberto.
La mano di Bresci è armata, e non trema, come non tremera’ quella del serbo Gavrilo Princip a Sarajevo, 14 anni dopo. Per il re non c’è scampo, e se la cartomante ha detto il vero e il Cinese non ha sbagliato mira, non ce n’è stato a Roma nemmeno per l’uomo che volle farsi re. Ninetto, detto er Più.
Pochi anni dopo, nel luogo dove il re d’Italia era caduto, fu eretto un monumento commemorativo, sul quale una mano ignota poco dopo scrisse la frase irriverente e sovversiva: monumento a Gaetano Bresci.
Si ritiene da parte di diversi storici che quella mano appartenesse a Benito Mussolini.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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