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Glory (Selma)

A quell’epoca si mettevano in discussione molte cose, ma non i Premi Nobel. Di sicuro non quello del 1964. Il 14 ottobre di quell’anno la Reale Accademia di Stoccolma annunciò la sua decisione in merito al Premio per la Pace. Il vincitore, il più giovane di sempre, era un pastore battista afroamericano che di nome faceva Martin Luther jr. e di cognome King. La motivazione: «per la sua guida della resistenza non-violenta che combatte il pregiudizio razziale negli USA».

La sua storia ormai la conoscono tutti. Cominciata ad Atlanta dov’era nato nel 1929, proseguita a Montgomery dove scese in campo a fianco di Rosa Parks e per il diritto dei neri d’America non solo a sedersi sugli autobus pubblici, culminata a Washington al Lincoln Memorial nell’agosto 1963 («I have a dream»), beatificata a Stoccolma nel 1964 ed arrivata al tragico capolinea a Memphis nel 1968.

Nella leggenda c’era entrato a Selma, da dove aveva preso il via la sua marcia forse più famosa, più decisiva, quella che lo riportò dove tutto era cominciato, a Montgomery in Alabama, traversando l’America segregazionista che non si arrendeva, malgrado il sostegno dei Kennedy (di cui avrebbe condiviso il destino), il Premio Nobel ed il favore di una opinione pubblica che ormai stravedeva per lui e per la sua causa.

Il film di Ava DuVernay, cinquant’anni dopo, ha avuto il pregio di restituire esattamente quell’atmosfera e quell’epopea senza bisogno di romanzarla, come troppo spesso avviene oggi.

Poi c’é la musica. John Legend il pianista e Common il rapper ebbero la nomination al Golden Globe per questa Glory, che mette i brividi e si merita ampiamente la nostra nomination come brano del giorno di oggi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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