Ombre Rosse

In morte (politica) di M.S.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ovvero: Che c’entriamo noi con la rivoluzione?
Il vecchio film di Sergio Corbucci era divertente, loro due non lo sono per niente. Due ragazzetti che avevano illuso tanti – chi scrive ci si mette per primo – di essere la nouvelle vague della politica italiana, anzi, coloro che l’avrebbero cambiata radicalmente, la Terza e definitiva Repubblica di cui finalmente non avremmo più dovuto vergognarci e preoccuparci.
Due delusioni enormi, più ancora di quei Di Maio e Di Battista che li avevano preceduti di poco, i veri guitti sopra il carrozzone“, come avrebbe cantato di loro Dario Fo. Ma Dima e Dibba avevano una scusante: erano prodotti di Grillo, latticini scadenti già all’uscita di fabbrica come quelli che il loro mentore pubblicizzava anni fa. Il Nulla, praticamente, e lo sapevamo già mentre li votavamo.
Salvini e Meloni invece vengono da due grandi scuole. Bossi e Almirante, piacessero o meno, erano due giganti della politica e come segno principale hanno lasciato dietro di sé una eredità che andava soltanto gestita.
Il popolo nel frattempo chiedeva, dopo anni in cui a chiedere era stata l’Europa, la famigerata Europa. Bastava solo rispondere. Hanno saputo fare soltanto casino. Risultato: il PD, i suoi numi tutelari, i suoi maneggioni, non sono mai stati così forti come da quando di fronte hanno lo Spacciatore di bresaole della Valtellina e la Venditrice di caciotte dell’Agro Pontino.
Parlano, parlano e non dicono niente, avrebbe detto di loro il mio vecchio professore di italiano, e con quella nota sul registro li avrebbe rimandati a posto, o a settembre, o al diavolo. Sono due che difficilmente ci saremmo portati dietro fino alla maturità. Dispiace dirlo, ma è così.
La nota, definitiva, sul registro della nostra politica nel biennio più difficile della nostra società civile gliela ha messa ad entrambi il Covid. La pandemia che ha messo a nudo tutti i bluff delle nostre classi dirigenti, a tutti i livelli.
A loro due, il calvario nostrano ed internazionale del popolo, dal lockdown prima alla campagna nazi-vaccinale poi, aveva offerto su un piatto d’oro, neanche d’argento, l’occasione storica di mettersi a capo di una rivoluzione che aveva già pronto – appunto – un popolo esasperato e condizioni di successo ideali. Roba da far rosicare Robespierre e Lenin.
Non hanno detto una parola. Non diciamo compiuta una azione, ma almeno detta una parola. Niente. In due anni hanno lasciato solo il loro popolo, il loro stesso elettorato, maledetti idioti buoni a nulla, il Pacioccone e la Bionda. E quando il popolo alla fine è andato in piazza, da solo, senza leader (Stefano Puzzer ha fatto tanto, come Eltsin a Mosca in quei giorni del 1991 in cui il comunismo sembrava farcela a non morire, ma è ora che lasci la scena a qualcuno che ha un’idea politica a proposito di dove si vuole andare a parare, a Trieste ed in Italia), la prima cosa di cui ci siamo accorti è stata questa: loro due NON C’ERANO.
Non ci sono stati mai. Non ci saranno mai. Sono altri due ragazzetti di cui gli italiani non si cureranno più, non ti curar di lor, ma guarda e passa. Hanno già cominciato alle ultime amministrative. Perdere Milano a questo giro vale a Salvini una patente di incapace, ed altrettanto vale alla Meloni la perdita di Roma.
Non guardiamoli più, davvero, sono inutili e fanno pena. Le parole di elogio di Matteo Salvini a Mario Draghi (dopo che quest’ultimo aveva orchestrato la cerimonia finale del G20 con la baracconata della mascherina tolta, a cui ha convinto a partecipare anche l’ineffabile Mattarella), suonano come la sua condanna a morte politica. Per Giorgia ci vorrà un altro po’, anche perché standone apparentemente fuori può fare ancora finta per un po’ di essere una capopopolo.
Peccato, cara Giorgia who were in our minds, che il popolo nel frattempo sta andando da un’altra parte. E per concludere le citazioni con Ivano Fossati, eri alla stazione quando è passato il treno, sì, ma dormivi come tutti gli altri.
Trovatevi un lavoro, tu e il Pacioccone. Per quello forse siete sempre a tempo, e più danni di quelli che avete fatto in politica sarà difficile che ne facciate.
Con totale mancanza di stima e tantomeno affetto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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