Accadde Oggi

Israele siamo noi

Ha compiuto 80 anni lo stato di Israele. E lo ha fatto, come c’era da aspettarsi e tanto per cambiare, tra il lancio dei missili, il fumo dei lacrimogeni, il rumore degli spari e delle bombe, la rabbia dei palestinesi, le cariche di polizia e militari, e soprattutto quella indignata esecrazione da parte dell’opinione pubblica internazionale che non manca mai a proposito di tutto ciò che ha a che vedere con lo stato ebraico.

Lo spostamento della capitale a Gerusalemme (che faceva seguito alla legge fondamentale del 1980, in pratica, la costituzione israeliana, che in sostanza, al pari di quella britannica, non è scritta) ed il conseguente spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme (in accordo alle norme del diritto internazionale), era stato tre anni fa l’ultimo pretesto e l’ultima occasione per chi aspetta sempre al varco Stati Uniti d’America e Israele per rinfocolare (anche in senso materiale) odii e antipatie più che altro ideologiche, che risalgono a prima della guerra.

Gli eventi di questi giorni, a confronto, sono da considerare sostanzialmente alla stregua di scaramucce già viste e riviste, per quanto sanguinose. Ma per l’antisemitismo e l’antiamericanismo di cui è permeata ancora oggi la cultura italiana ed europea,  ogni occasione è buona. E se poi é infondata, meglio.

Gerusalemme

La storia di questa parte di mondo è piena di odio e di antipatia interetnica e interreligiosa, a cui appunto negli ultimi decenni si è aggiunta quella ideologica. Da quando l’imperatore romano Vespasiano mandò il figlio Tito a risolvere una volta per tutte la questione giudaica (cioé della provincia più turbolenta di tutto l’Impero, che non ne voleva sapere assolutamente di accettare la pax romana), e questi lo prese in parola radendo al suolo Gerusalemme e la Giudea e disperdendone ai quatttro venti gli abitanti superstiti, il popolo ebraico è sempre stato ingombrante come un macigno nella storia d’Europa e del mondo, o almeno è sempre stato percepito come tale.

La diaspora disseminò per le terre dell’Impero e per tutto il continente europeo un popolo che gli altri si stavano già abituando a detestare, a vedere come massimamente esecrabile. Cessato di costituire una minaccia per i Romani, gli Ebrei lo divennero per i Cristiani. Il popolo che si era macchiato di deicidio, il più orribile dei crimini, il popolo maledetto da Dio fu costretto ai margini di una società che lo riconosceva e lo rifiutava al tempo stesso, con il beneplacito della neocostituita Chiesa Cattolica che non tollerava o mal tollerava nel suo territorio l’esistenza di coloro che avevano dapprima rifiutato il Figlio di Dio e poi lo avevano consegnato a Ponzio Pilato perché fosse crocifisso.

Discordini per lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme

Un’umanità ripiombata nell’ignoranza si alimentò di questa e di altre simili leggende per millenni, mentre gli Ebrei si rendevano sempre più utili alla società in cui vivevano, e nello stesso tempo più detestati. In quanto non cristiani, ad essi non si applicava la scomunica connessa al maneggio ed al prestito di denaro dietro interesse, quell’usura per aggirare la quale i Cristiani dovettero infine inventarsi le banche, persone giuridiche che non potevano essere dannate, né bruciate sui roghi dell’Inquisizione.

Fino all’Umanesimo ed al Rinascimento, solo gli Ebrei nell’Europa dei secoli bui esercitarono il commercio e le pratiche connesse all’economia. Re e principi dovevano chiedere prestiti agli assassini di Dio, se volevano condurre le loro guerre. Salvo poi non pagarli, adducendo l’anatema permanente della Chiesa su di loro, quando i debiti si facevano troppo gravosi.

All’epoca dell’Illuminismo settecentesco, della Rivoluzione Francese e del Positivismo ottocentesco, la situazione non era granché cambiata, anzi. Le peggiori leggende nere sugli Ebrei nacquero e si svilupparono proprio all’epoca e negli ambienti intellettuali che si stavano affrancando dall’oscurantismo cattolico. Il Golem, il complotto sionista contro il mondo (cristiano), i Protocolli dei Savi di Sion per il dominio sulla terra, furono tutte sciocchezze a cui fior di intellettuali e di scienziati dettero il loro avallo e sotto cui apposero la loro firma.

Emile Zola lancia il suo J’accuse! in difesa del capitano ebreo Dreyfus

Nel frattempo, molti Ebrei erano diventati banchieri di successo e possidenti facoltosi. I loro beni facevano gola a governi e comunità che spesso erano fortemente indebitati con loro, ed in un mondo che si apprestava a combattere guerre terribili come non se n’erano mai viste, la cancellazione di quei debiti e nello stesso tempo l’individuazione di un nemico interno a cui far fare da capro espiatorio di tutti i mali diventò sempre più appetibile.

Nella seconda metà dell’Ottocento e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, mentre la pratica dei pogrom si diffondeva un po’ per tutta l’Europa dell’Est e quella dell’Ovest, malgrado l’impostazione democratica liberale dei suoi regimi, si ritrovava spazzata dal vento sollevato da affari come quello di Dreyfus, prese il via l’emigrazione di Ebrei verso la Palestina, che la loro religione non aveva permesso loro di dimenticare in quanto Terra Promessa. Da Jehovah a Mosè in fuga dall’Egitto, da Dio ai superstiti di Tito di nuovo in fuga da interminabili e spesso atroci persecuzioni.

Nel frattempo, la storia in Palestina era andata avanti. L’Islam di Maometto l’aveva scritta con le scimitarre, ed anche la Terra Promessa di Mosé, diventata nel frattempo il Luogo Santo dove erano state sepolte le spoglie mortali di Cristo, era caduta sotto il dominio dei Califfati. Le Crociate non avevano risolto la questione, ma gli Arabi prima e i Turchi poi con il passare dei secoli avevano in qualche modo tollerato la coesistenza di tre religioni e di tre etnie in quel lembo di terra in cui lo Spirito Santo e quello umano sembravano aver prodotto tutte le loro manifestazioni più sublimi, insieme a quelle più abbiette.

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Allo scoppio della prima guerra mondiale, l’Europa in fiamme rifiutava sempre più quegli oggetti misteriosi che non si erano mai integrati nelle sue società e nelle sue nazioni, ora più che mai che lo sforzo interno di ciascuna di esse richiedeva i loro capitali e la loro compartecipazione. I pogrom spingevano un numero sempre maggiore di israeliti verso quella che il ministro degli esteri inglese Lord Balfour definì nel 1917 come la terra che la Gran Bretagna individuava come il nuovo focolare ebraico, mentre il suo plenipotenziario Sykes disegnava insieme a quello francese Picot l’assetto del Medio Oriente alla caduta dell’Impero Ottomano, con le rispettive sfere di infleunza.

Con una guerra ancora da vincere, nessuno aveva fatto questione, né in Europa dove c’era altro a cui pensare, né in Palestina dove Arabi ed Ebrei avevano fino ad allora convissuto apparentemente in pace e con reciproco rispetto. Ma dopo Versailles e sui tavoli della Società delle Nazioni voluta dal presidente americano Wilson per risolvere le contese senza più guerre, il problema si pose in tutta la sua gravità, e la contesa divenne ben presto irrisolvibile.

Mentre in Europa nuove leggende rinfocolavano l’antisemitismo dei Cristiani in parallelo al sionismo degli Ebrei che volevano sottrarsi a millenarie maledizioni e persecuzioni, in Medio Oriente anche gli Arabi si radicalizzavano. Il Gran Muftì di Gerusalemme, la massima autorità locale di un Islam che non tollerava nei propri territori altre realtà politiche che non fossero le proprie (e che quindi vedeva il focolare di Balfour e le sue implicazioni come il fumo negli occhi), divenne il primo ed il principale alleato di un regime che più degli altri aveva teorizzato ed organizzato l’antisemitismo: il nazionalsocialismo di Adolf Hitler.

Quando scoppiò un’altra guerra mondiale, se possibile peggiore della prima, sembrò arrivata anche l’ora di una resa dei conti mondiale con gli Ebrei, che tuttavia avevano lobbies potenti nei paesi che resistevano al Nazismo, Gran Bretagna e Stati Uniti. La Russia era un altro discorso, i russi sono da sempre più antisemiti di quanto lo fossero i tedeschi negli anni trenta, ma gli Ebrei erano essenziali per vincere l’armageddon della seconda guerra mondiale, e non si poteva in quel momento sottilizzare.

Nel 1945, la Gran Bretagna sopravvissuta a Hitler sapeva bene ciò che nel 1918 aveva soltanto intuito. Non era più in grado di governare il mondo, il testimone doveva passare agli Stati Uniti ai quali poteva solo consigliare una linea di condotta. Il focolare ebraico in Palestina, che le nuove Nazioni Unite con la risoluzione n. 181 del 1947 decretarono dovesse diventare una vera e propria nazione (per una questione di giustizia ed anche sull’onda emotiva di sei milioni di ebrei morti nei campi di concentramento tedeschi), era non solo una questione di opportunità morale, ma anche politica. Significava per il mondo occidentale mantenere un pied à terre in un oceano arabo-islamico. Quell’oceano in cui, purtroppo, galleggiava in gran parte l’oro del ventesimo secolo. Quello nero, il petrolio.

La Gran Bretagna e la Francia, per quanto restie, sapevano perfettamente che le loro condizioni post belliche non consentivano più il mantenimento di imperi coloniali, ma solo di zone di influenza in stile Commonwealth, La corona inglese si era privata l’anno prima del suo gioiello più splendente, l’India. Il 15 maggio 1948, dopo una serie di attentati alle truppe inglesi da parte dei gruppi estremisti ebrei come Irgun e Stern che confermarono e rafforzarono le risoluzioni governative, la Gran Bretagna rimise alle Nazioni Unite il mandato avuto trent’anni prima dalla Società delle Nazioni.

Il Marchese del Grillo ed il falegname ebreo

Nacque lo stato di Israele, corrispondente alla Palestina bagnata dal Mar Rosso e dal Mediterraneo. Il resto, la Transgiordania, era assegnato agli Arabi, con Gerusalemme nel mezzo come Città Santa sotto la protezione ONU. Un minuto dopo la sua nascita, Israele era già in guerra, aggredita da tutti i paesi arabi circostanti.

La prima di quattro guerre che avrebbero dovuto cancellarla dalla carta geografica e che invece si risolsero nella sua espansione fino ai confini odierni, grazie all’appoggio ed alla protezione americana che aveva prontamente sostituito quella inglese. Nella guerra dei Sei Giorni, nel 1967, Gerusalemme fu interamente conquistata e da quel momento una Israele radicalizzata sognò senza più limiti né inibizioni di farne giuridicamente la sua capitale, come al tempo di Gesù Cristo, di Hannah e Caifa, di Erode, di Ponzio Pilato, di Vespasiano e Tito.

Il resto è storia, come è storia il singolare travaso ideologico, antisemita e antioccidentale, verificatosi tra il nazifascismo prebellico ed il comunismo, o suoi derivati ed articolazioni filosofiche, nel secondo dopoguerra. Siamo passati dal Dio stramaledica gli inglesi al Dio maledica gli Stati Uniti d’America, e tutto ciò che fanno.

Benjamin Netanyahu e Donald Trump

In campo ci sono otto milioni di Ebrei contro un miliardo di Arabi, ma la coscienza a senso unico del progressismo occidentale del dopoguerra non ha mai avuto dubbi da che parte schierarsi. Né quali sentimenti ancestrali celare al di sotto di articolate e sofisticate posizioni di politica estera filo-araba.

Ideologie e atteggiamenti ridicoli, tragicamente ridicoli come il personaggio del Marchese del Grillo interpretato da Alberto Sordi, che, per non pagare il conticino del falegname ebreo Aronne Piperno, lo sbeffeggia e lo tiranneggia con le parole: «Avete ammazzato nostro Signore Gesù Cristo, posso essere ancora un po’ incazzato pe’ ‘sto fatto?»

Tre anni fa, aveva un bel parlare Donald Trump di gesti di pace. Non li vuole nessuno, men che meno chi mette ancora le bandiere arcobaleno alle finestre. Il sangue, soprattutto quello degli assassini dei nostri dèi, si può continuare a versare, ad Auschwitz come in Palestina. E non c’é pericolo di scomunica.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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