Non sappiamo quando e come finirà questa emergenza della pandemia da coronavirus. Non sappiamo nemmeno se finora è stata affrontata nel modo giusto, i conti – come purtroppo quelli delle vittime – si faranno alla fine. Di una cosa però possiamo dirci certi: la forma di governo stabilita in Italia dalla Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948 non esiste più.
Ne dà conferma, se ce n’era bisogno, l’ultima apparizione mediatica di Giuseppe Conte, che avevamo lasciato all’inizio di questa crisi come presidente del consiglio dei ministri e che ritroviamo dopo poco più di un mese come autocrate. Difficile definire altrimenti il regime che sta instaurando nel nostro paese, tra l’altro senza ferire altro colpo che quello del cavalcare più o meno maldestramente l’onda dell’emergenza sanitaria. Di sicuro, non è più quello che si intende comunemente come democrazia. E’ una situazione senza precedenti nella storia nostra e dell’Occidente, che porterà facilmente ad esiti senza precedenti.
Un uomo solo al comando. Il Parlamento si è dissolto, fuggito come la Corte del Re Vittorio Emanuele III a Brindisi l’8 settembre 1943. Eclissatosi il Presidente della Repubblica, che compare soltanto in certi momenti come il Breznev degli ultimi anni, forse già imbalsamato e tirato fuori soltanto per certe manifestazioni pubbliche sulla Piazza Rossa, e poi rimesso in naftalina. Sparita la Costituzione come se fosse stata scritta con inchiostro simpatico, senza bisogno di un solo atto legalmente e validamente approvato che l’abbia emendata o che comunque abbia introdotto poteri emergenziali speciali, in capo a qualsiasi autorità pubblica o in deroga a qualsiasi procedura.
Giuseppe Conte parla e governa a titolo personale, e tra l’altro è sintomatico che ormai lo faccia soprattutto dalla sede del suo profilo Facebook. Lo stato di emergenza che ha dichiarato a singhiozzo nelle settimane precedenti non giustifica in alcun modo né la dissoluzione degli altri organi costituzionali né la sospensione dei diritti individuali civili e politici dei cittadini. Senza un atto del Parlamento – dacché, come di recente era stato ribadito dai partiti che fino a pochi giorni fa costituivano la maggioranza, questa è una repubblica parlamentare, o perlomeno lo era – i poteri assunti dal leader giallorosso (in senso politico, non ce ne vogliano i tifosi della Roma) non si giustificano in alcun modo. Nella migliore delle ipotesi sterzano verso la democrazia autoritaria di tipo sudamericano, nella peggiore sono già essi stessi il risultato di un golpe. Strisciante quanto si vuole, ma pur sempre golpe.
Stona anche il paragone con la precedente esperienza dittatoriale, quella di Benito Mussolini. Il capo del Fascismo fu – a norma dello Statuto Albertino, la Costituzione allora vigente – regolarmente investito dal Re d’Italia dell’incarico di governo. Incarico che gli fu tolto altrettanto regolarmente, sempre a norma di Statuto, il 25 luglio del 1943. La dittatura fascista poté quindi fino ad un certo punto vantarsi di aver operato e governato nell’ambito del regime statutario uscito dal Risorgimento. E dopo il 1943 l’Italia poté legittimamente vantarsi di una ripresa democratica per il solo fatto di essersi liberata dal regime.
Il caso dell’autocrazia di Conte si configura come profondamente diverso. Qui non c’è a monte nessun atto, men che meno formale e legittimo. Tace Mattarella, tace un Parlamento latitante come l’Aventino della Plebe romana e quello del 1924 post delitto Matteotti, ma con molte meno giustificazioni. Ad ogni apparizione pubblica, Conte intanto si autoinveste di nuovi poteri. La sua sintassi del resto è di per sé eloquente: io ho deciso, io ho stabilito, io ho decretato.
Il dictator latino era una figura regolamentata con precisione dalla costituzione della repubblica dell’Antica Roma. Il nome stesso viene da dictus, cioè nominato. Assumeva il potere in tempi di crisi, per lo più militare, lo esercitava secondo determinate regole, e lo restituiva al termine della crisi, o comunque dopo sei mesi al termine dei quali doveva essere confermato o meno dal Senato repubblicano.
Il parlamento di quella nazione con cui ci piace sempre confrontarci più che altro in modo polemico, l’Inghilterra, nel 1940, conferì a Winston Churchill – di recente chiamato ad esempio proprio da Conte – poteri speciali fino alla durata della guerra contro la Germania nazista, ma continuò a riunirsi anche sotto le bombe tedesche e non mancò mai di vigilare sull’operato del premier, del quale comunque votava i provvedimenti più significativi.
Neppure Mussolini era completamente autonomo nelle sue decisioni, prova ne sia che fu formalmente esautorato a partire dal voto di sfiducia datogli dal Gran Consiglio del Fascismo, precedente e propedeutico – sempre secondo la legge vigente all’epoca – alla revoca dell’incarico di governo da parte del Re.
Siamo in una situazione senza precedenti. Al termine dell’emergenza sanitaria, che nessuno discute, potremmo trovarci a dover affrontare emergenze ben peggiori. E non è detto che quella economica sarà la principale. Non crediamo infatti che il dictator Conte tra sei mesi restituirà al Senato repubblicano (che tra l’altro per sua scelta – o per meglio dire fuga – non esiste più) il potere che si sta ritrovando nelle mani.
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