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La crisi

Comunque vada, resterà davvero nella storia come il governo del cambiamento. Lo sarà fino al suo ultimo atto, quello con cui verrà formalizzata in Parlamento la crisi aperta di fatto ieri da Matteo Salvini nell’ufficio del premier Giuseppe Conte.

Non era mai successo nella storia della Repubblica infatti che una crisi di governo venisse aperta d’agosto. Finora era stato il mese in cui parlamentari e politici in genere vogliono farsi le loro sacrosante vacanze, staccando la testa da tutto come fanno i comuni mortali. Era stato tutt’al più il mese in cui varare qualche manovra sulla testa dei comuni mortali, confidando nella generale assenza fisica e mentale. Tutti al mare.

Stavolta invece Matteo Salvini e la Lega hanno scelto proprio i giorni che precedono Ferragosto per presentare all’incasso non qualche tassa a scapito dei contribuenti, ma piuttosto il consenso impetuosamente e repentinamente maturato in questi mesi di attività governativa.

Non era mai successo – e questo è il grosso, ineludibile cambiamento – che il quadro politico subisse appunto un mutamento così importante in così poco tempo. Dei quattordici mesi in cui il governo Conte ha vissuto e lavorato, i primi otto sono filati via d’amore e d’accordo tra la componente gialla e quella verde della compagine. Le due forze mandate dagli italiani a cambiare la loro politica e la loro stessa vita di tutti i giorni hanno onorato il contratto sottoscritto tra loro iscrivendo all’approvazione di Camera e Senato provvedimenti a lungo attesi, sicuramente rivoluzionari. Sicurezza e reddito di cittadinanza. Difesa dei confini e dei posti di lavoro.

Di Maio e Salvini parevano fatti per intendersi a meraviglia, malgrado le rispettive provenienze da esperienze che più diverse, eterogenee non si potevano immaginare.

MatteoSalvini190809-002Poi è successo qualcosa. Quando è cominciata la stagione elettorale, avviata dalle regionali e conclusa dalle europee, Movimento 5 Stelle e Lega si sono scoperti profondamente e irreversibilmente cambiati. Anche se c’era, con il senno di poi, da aspettarselo. Matteo Salvini ha cominciato a riscuotere il premio alla fermezza ed al coraggio con cui ha tenuto duro di fronte al più grave e antidemocratico attacco alle istituzioni che si sia mai registrato nella nostra storia dai tempi di Mani Pulite o prima ancora dagli Anni di Piombo. Le vicende Diciotti, Open Arms, Sea Watch e compagnia ONG bella si sono rivelate altrettanti boomerang.

La gente chiedeva la fine della carità e dell’accoglienza pelosa a indesiderati migranti economici infiltrati da personaggi di varia pericolosità, e quella ha avuto. Risultato: Salvini e la Lega veleggiano intorno al 38%, con un consenso raddoppiato e anche qualcosa di più rispetto al 4 marzo 2018. Vedono la soglia del 40% stabilita dal Rosatellum per beneficiare del premio di maggioranza ormai vicina (e sarebbe la prima volta dal 1948 e dallo storico en plein democristiano). La tentazione di fare da soli, o perlomeno di privarsi della palla al piede di un alleato che ormai parla e agisce come il più acerrimo avversario dell’opposizione, è comprensibilmente fortissima.

Se a tutto ciò si aggiunge che a disposizione c’é una alleanza con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che (conglobate anche le truppe sbandate di Forza Italia) rende visibile neanche tanto in lontananza lo striscione del traguardo del governo di centro-destra (sovranista lo chiama chi non capisce il significato delle parole prima ancora di quello della politica e della democrazia), si capisce perché Matteo Salvini si sia recato ieri a Palazzo Chigi a fare quello che ha fatto, e ieri sera abbia annunciato quello che ha annunciato.

GiuseppeConte190809-001Dall’altra parte, ci sono i 5 Stelle, ridimensionati a meno della metà dei consensi rispetto alle ultime elezioni, ma soprattutto ridimensionati nell’immagine offerta al paese. Dopo i sostanziali fallimenti locali a Roma e Torino, il governo nazionale era l’occasione della vita. Il fatto è che si tratta di una forza sostanzialmente spaccata in due, con una leadership traballante come non mai. Da una parte la corrente efficientista di Luigi Di Maio, convinto assertore del contratto di governo e della necessità di attuarlo anche a costo di rimetterci qualche voto nell’immediato. Dall’altra la frangia ribellista, anarchica, casinista, meridionalista, extraparlamentarista incarnata dai Di Battista, dai Fico, dai Toninelli, dallo stesso Beppe Grillo che eredita la vecchia idiosincrasia della sinistra in genere a costituirsi come forza di governo. Sulla TAV, sui migranti, sulla sicurezza nelle nostre strade ha prevalso alla fine quest’ultima, cavalcando la tigre di una base insoddisfatta, in crisi identitaria, vogliosa più o meno consciamente di buttare all’aria tutto secondo il vecchio motto anarchico del tanto peggio tanto meglio.

Dispiace a tutti coloro che ci avevano creduto, ma i 5 Stelle che escono dal governo sono purtroppo destinati a sprofondare sempre più in questa palude che li ha spinti a votare per le istituzioni comunitarie di ispirazione franco-tedesca nel nuovo Parlamento Europeo e contro la TAV (per dirne una) nel Parlamento italiano. Sono destinati a finire prima o poi nelle braccia di quel PD da cui alcuni di loro tra l’altro provengono, risultandone ricooptati o in alternativa dispersi ai quattro venti.

Per fortuna, almeno per chi condivide il rigetto di Matteo Salvini per un ritorno al passato, a politiche vecchie e dannose, ad attenderli c’é un Partito Democratico che sbaglia per l’ennesima volta i conti. Per uno Zingaretti che esulta pubblicamente per la crisi imminente, c’é un Renzi che gongola segretamente. I parlamentari PD sono in maggioranza dei suoi, e chi vorrà fare, disfare, malfare con i voti dem dovrà mettersi d’accordo con lui, non con il fratello del commissario Montalbano.

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La campagna elettorale del PD, oltre che dalle ormai storiche prese di posizione anti-italiane e anti-popolari, rischia di essere pesantemente condizionata dai flashback della raccolta di firme contro Salvini (stanze desolatamente vuote), delle manifestazioni di sostegno e delle raccolte di fondi per Carola Rackete (piazze desolatamente deserte), delle visite in carcere a delinquenti come gli assassini del carabiniere Mario Cerciello Rega (con il sorriso beffardo di Scalfarotto ed il ghigno ricorrente di Saviano che da soli valgono cinque o sei punti in meno al borsino elettorale).

Vedremo. In questa prima crisi ferragostana, Salvini presenta all’incasso cedole maturate velocemente solo in apparenza. E’ tanto che gli italiani gonfiano, e chi fa i sondaggi – quelli veri – avrà notato come stiano ormai per esplodere. D’altro canto, la Lega era morta pochi anni fa, era miracolosamente risorta un anno fa, si prepara a governare (quasi) da sola un anno dopo ancora. Se un popolo così restio al cambiamento come quello italiano si presta ad uno sconvolgimento come questo, ci saranno molteplici ragioni. Vedremo a urne aperte chi le avrà comprese meglio.

SalviniMeloni190809-001Nel frattempo, riflettori doverosamente su due persone. La prima è Giuseppe Conte, al quale crediamo che l’Italia debba dire prima di ogni altra cosa grazie, comunque vada a finire – se finirà – la sua avventura politica. Di figure professionali, di galantuomini, di grand commis di Stato come lui ne abbiamo avuti pochi nella nostra storia, e il professsor Conte in questa storia ci è ormai entrato con un posto di tutto rilievo. Perderlo sarà – sarebbe – quasi una disdetta.

L’altro è Sergio Mattarella, nelle cui mani torna tra poco la palla. Abbiamo sempre criticato il suo operato ritenendolo improntato ad una vecchia ed elitaria concezione della politica che non si confà più ad un paese democratico di inizio ventunesimo secolo. Crediamo che stavolta la sua azione sarà quantomeno più lineare, notarile. L’acume non gli manca, almeno quello, e pensiamo si renda conto come tutti che al passato non ci vuole tornare nessuno, ormai. Non soltanto il prossimo premier Matteo Salvini.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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