Ombre Rosse

La giornata di un elettore

Mi presento al seggio elettorale di buon mattino. Per antica abitudine e per memoria di precedenti esperienze. L’ultima volta, nel 2013, dovetti spalarmi la neve da solo per raggiungere il luogo dove esercitare il mio diritto di elettorato attivo. Ormai è invalso l’uso di convocare i cittadini ai comizi elettorali d’inverno, bisogna solo sperare in un tempo più clemente, visto che le nostre istituzioni sono quello che sono. Stavolta mi va meglio, non perché il Comune abbia fatto il suo dovere, ma perché il Padreterno nella sua infinita misericordia ha preso a cuore questo povero popolo italiano che ne ha già passate tante, e gli ha risparmiato ulteriori nevicate e buriane, sostituendole con un sole pallido ma incoraggiante.

Al seggio, c’è poca gente in coda, l’ora è ancora ad una cifra. Ma la coda comunque c’è, e scorre a rilento. Grazie alla legge elettorale che il parlamento moribondo della diciassettesima legislatura ha prodotto come suo ultimo atto, al fine evidente di rendere ancora più ingovernabile quella successiva. La novità di queste votazioni sono i codici ed i tagliandi antifrode presenti sulle schede. Anti-taccheggio, verrebbe da dire. La cosa buffa è che lo Stato non si fida dei cittadini, quando invece è di se stesso che non dovrebbe fidarsi .

Mentre gli scrutatori si destreggiano come meglio possono tra la registrazione a mano dei codici delle schede ed il distacco del tagliando antifrode per favorire il quale nessuno ha pensato ad una seghettatura (come quella delle buste contenenti i pin dei bancomat, per esempio) o quantomeno a dotare la commissione elettorale di un paio di forbici, scorro le ultime notizie del giornale. Tra Roma-Napoli, Lazio-Juve e Milan-Inter trovo qualche notizia interessante e importante, di quelle che riescono a dare lo spaccato di questa nostra Italia che si rimette in coda per evocare chissà quale Leviatano come prossimo governo. A Palermo, apertura dei seggi in ritardo, sono arrivate 200.000 (!) schede elettorali sbagliate. Ma come sbagliate? Non le produce tutte lo Stato attraverso le sue tipografie ufficiali? E se lo Stato è cialtrone, perché i danni solo a Palermo? Perché le grucciate cadono sempre addosso agli stessi zoppi? Mi si gela il sangue a pensare al voto degli italiani all’estero (a Castelnuovo di Porto ci sono ancora da aprire gli scatoloni del 2013), mentre una parte politicamente più corretta del mio cervello come Topo Gigio dice all’altra: Boccaccia mia, statti zitta!

No, non ce la faccio proprio a stare zitto, almeno con me stesso. I ragazzi del seggio annaspano tra pezzi di carta, timbri, penne e istruzioni del Ministero dell’Interno. Mi viene da pensare agli Stati Uniti, dove il voto ormai è elettronico (e il rischio di brogli e hackeraggi può equivalere a quello nostrano dei suddetti scatoloni a Castelnuovo). O alla Lituania, paese che venti anni fa o poco più annaspava sotto le macerie del comunismo sovietico (quello rievocato con struggente nostalgia da Marco Rizzo pochi giorni fa) ed aspettava a gloria che l’Armata Rossa si ritirasse per cominciare a spalarle via. Adesso da quelle parti si può fare la dichiarazione dei redditi (altro tormentone epocale della burocrazia e della cittadinanza italiana) con una app del cellulare.

Noi no. Noi siamo qui, in coda. Ad aspettare che ci vengano consegnate in mano due schede che sono la fedele trascrizione dell’encefalogramma di colui che ha redatto questa legge elettorale. Non ce ne voglia il buon Ettore Rosato, autore dell’ultima porcata, pardon, riforma elettorale che da Mattarella in poi ha tentato di rendere sempre più incasinato ed inesercitabile il diritto di voto agli italiani. Crediamo proprio che Cesare Lombroso avrebbe studiato il suo cranio con interesse. Homo confusionalis l’avrebbe forse classificato.

E Renzi? Il nume tutelare di questo Rosatellum e di tante altre amenità istituzionali di quest’ultima legislatura, come sarebbe stato rubricato dal celebre studioso veronese dei comportamenti deviati e devianti?

Non dico nulla, per non incorrere nel reato di turbativa di operazioni elettorali. Stringo in mano le fatidiche schede e la matita copiativa, vecchia compagna di una vita da cittadino che una volta – più di quarant’anni fa, ahimé, quando mi affacciai per la prima volta a queste cabine dentro le quali dice che Dio soltanto può vederti, i politici no, e sei solo con la tua coscienza e la tua paura di sbagliare – mi era sembrata uno scettro magico attraverso cui esercitare un potere inestimabile, e adesso invece mi fa solo tenerezza e compassione. Il mondo è andato avanti, studia già come applicare alla quotidianità la trasmissione del pensiero, e noi siamo qui con questi lapis e queste schede di carta che se non ci fai pressione sopra non riportano la tua preferenza, se ce ne fai troppa si lacerano. E la tua coscienza civile si riduce ad una scheda nulla.

Entro in cabina, finalmente sono solo con Dio e con me stesso. Qui dentro, al diavolo Stalin e chiunque altro. Sono elezioni importanti, come quelle del 1948. A sbagliare il segno si finisce male, lo dicono tutti. E che mi trovo davanti? Il tracciato dell’encefalogramma di Ettore Rosato e Matteo Renzi. Gente che avrebbe fatto venire i dubbi a Franco Basaglia a proposito dell’applicabilità della legge 180. Gente che ha ridotto l’esercizio di un diritto alla risoluzione di un diagramma di flusso. Gente che si ingegna a ridurre l’algoritmo della nostra vita ad un qualcosa di irrisolvibile, ingestibile. Tanto ce la gestiscono loro, e si è visto come.

Esprimo la mia sovranità e la mia preferenza politica nel modo più chiaro e nitido possibile. Se volete fare un broglio con la mia scheda dovete assumere dei falsari tipo Banda degli Onesti, penso tra me e me, con il mio lobo cerebrale politically uncorrect che ormai ha preso il sopravvento, incontenibile. Esco e consegno il tutto a questi poveri ragazzi che con il coraggio e l’incoscienza della loro giovane età hanno dato la loro disponibilità all’Ufficio Elettorale ad essere qui, oggi, 4 marzo. Con la prospettiva di finire chissà quando, stanotte, domani, e se tutto va bene.

I giornali parlano di risultati ufficiali non prima di martedi. E che diamine, quanto ci vuole a fare questi brogli?, sgattaiola via la mia mente prima che possa chiuderle idealmente quella boccaccia. 24 ore non bastano? Siamo fermi a Totò e Peppino? Russi e americani ormai si combattono a colpi di hacker, e noi siamo ancora qui alle prese con i verbali, le contestazioni, i ricorsi, gli scatoloni da riaprire e le schede da ricontare. A Palermo almeno si sono messi avanti con il lavoro…

Basta, la mia boccaccia ormai è ingestibile. Recupero documento e tessera elettorale ed abbandono il seggio prima che la perplessità che trapela sicuramente dalla mia espressione facciale induca il carabiniere di servizio ad arrestarmi per vilipendio alle istituzioni, turbativa di seggio e quant’altro. Esco fuori prima di aver visto lo scrutatore a cui ho restituito le mie schede infilarle – laboriosamente –nell’urna.

Poco male, mi dico. Di questi ragazzi mi fido. Hanno una luce negli occhi, un entusiasmo civile che auguro loro duri più di quanto è durato quello della mia generazione. Sono i miei coetanei quelli di cui non mi fido. Quelli che aspettano da qualche parte questi scatoloni e questi verbali. Quelli che non prima di martedi ci daranno chissà quali risultati, aggregati chissà come, commentati chissà come. Disattesi e vilipesi chissà come.

Da domani si ricomincia. Un’altra legislatura. Speriamo bene, che non sia l’ultima.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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