Ombre Rosse

La memoria di parte

Negli ultimi anni era una celebrazione caduta quasi nel dimenticatoio, attenuata nel significato e nella sensibilità collettiva dal tempo trascorso e dalle tante altre tragedie nel frattempo succedutesi ad essa. La Memoria sottintesa a questa giornata era vissuta ormai frettolosamente, come un atto dovuto, reiterato quasi con fastidio. Una visitina in chiesa e via, di nuovo a rituffarsi in una vita quotidiana che presenta ben altri problemi che non il rivivere lontane tragedie.

Quest’anno non è così. La Giornata della Memoria addirittura è arrivata giorni prima della scadenza, quel 27 gennaio ricorrenza di quella mattina del 1945 in cui l’Armata Rossa aprì i cancelli di Auschwitz Birkenau, trovandosi davanti i resti di creature una volta umane sopravvissute o meno all’Olocausto. Da giorni i media rievocano, da giorni è partito il solito treno della Regione Toscana diretto in Polonia, a Oswiecim che i tedeschi avevano ribattezzato appunto Auschwitz. Da giorni le massime cariche dello Stato e chiunque aspiri ad un minimo di visibilità professandosi anche soltanto intellettuale in quota ai progressisti aggiungono il loro messaggio al Messaggio che quest’anno torna a diffondersi possente.

Non è un caso, niente avviene per caso nella politica che permea di sé qualunque altro aspetto della nostra vita sociale. Quest’anno, si badi bene, il fastidio, per non dire l’avversione, che buona parte della nostra comunità continua a provare nei confronti del popolo ebraico, il pregiudizio verso i suoi veri o presunti difetti e complotti, il retaggio culturale della maledizione lanciata duemila anni fa dalla Chiesa di Cristo sui suoi assassini sono esattamente gli stessi, e riposano alle stesse profondità delle nostre coscienze in attesa di tornare fuori al momento del nostro bisogno, individuale e collettivo.

auschwitz190127-001Quest’anno, il pregiudizio politico e ideologico contro Israele e contro gli Ebrei disseminati nel mondo – fiancheggiatori del Grande Satana americano – è ancora esattamente lo stesso. Esso si accompagna tra l’altro al sentimento di disparità nei confronti degli altri popoli con cui la storia nel frattempo è andata in debito, avendo procurato loro abbondanza di torture, massacri, genocidi. E’ un sentimento che, a differenza dell’altro – quello antiebraico per motivi ancestrali – tutti i torti almeno non li ha, quando è provato in buona fede e non per motivi strumentali anch’esso.

Dal 1945, da quella mattina in cui i Russi entrarono ad Auschwitz, ce ne sono state tante di tragedie collettive, etniche, politiche, religiose, tutte accomunate dalla stessa idiozia di fondo, tutte caratterizzate dalla stessa propensione umana alla crudeltà, all’efferatezza. Diremmo: alla bestialità, se non temessimo di offendere le bestie. Ce ne sono state così tante di queste tragedie da offuscare – avendolo superato aritmeticamente di gran lunga – quel numero che quando eravamo ragazzi ci faceva enorme impressione: 6 milioni di morti, gli ebrei passati per i camini dei campi di concentramento o comunque sterminati con tutta la tecnologia che l’efficienza germanica già allora metteva a disposizione.

Quest’anno, tutto ciò passa in secondo piano. Il Messaggio da dare non è questo, non risiede nei numeri dei genocidi in continuo e costante aumento, né nelle ragioni di chi non c’é più e di chi è sopravvissuto e giustamente vuole che il mondo ricordi i propri cari e la loro fine. Non risiede nemmeno nelle ragioni dei ragazzi saliti su quel treno carico di retorica e strumentalizzazione che tuttavia – malgrado le stesse intenzioni di chi l’ha assemblato – li porta almeno  in un luogo dove possono imparare qualcosa. Quello che la scuola non insegna più loro, perché negli altri 364 giorni si occupa di altro, per carenze dei programmi ministeriali o della professionalità degli insegnanti.

Quest’anno, il Messaggio risiede nelle ragioni di una parte politica che sta lasciando un potere afferrato dopo lunga bramosia all’indomani della caduta del Muro di Berlino e mantenuto a spese del benessere di quei popoli di cui improvvisamente adesso si ricorda. Adesso che quei popoli stanno per voltarle le spalle definitivamente, se non l’hanno già fatto.

Quest’anno, dalle nostre parti il battage pubblicitario della Giornata della Memoria deve insinuare – secondo l’ultima strategia messa a punto dalla nostra sinistra – un paragone neanche tanto subliminale con il nuovo corso politico seguito al 4 marzo 2018. Il governo gialloverde, il governo del bieco Salvini prepara nuove notti dei cristalli, nuove Auschwitz, nuovi stermini, nuovo nazifascismo. Il Messaggio è questo. Viene dato a reti, media e istituzioni pressoché unificate. Unificate anche grazie all’azione di una certa magistratura che proprio in questi giorni di Memoria si risveglia dai suoi tanti letarghi per chiedere di mandare a processo il nuovo Hitler, Matteo Salvini.

Quest’anno, l’ultimo anno – speriamo – di una sinistra che nel suo complesso ha nella propria storia e sulla propria coscienza (oltre ai tanti danni fatti a livello sociale) molti più morti ammazzati – in modo altrettanto orribile – di quelli che si ricordano il 27 gennaio, la Memoria è strumentale come quel treno partito da Santa Maria Novella a Firenze. Come quei manifesti e quegli spot pubblicitari che ci bombardano da giorni, tutti pagati tra l’altro con i nostri soldi. Allo stesso modo ci martellano i discorsi di politici, intellettuali e guitti e saltimbanchi vari della televisione e degli altri media.

Questa non è memoria. E siccome una memoria ci dev’essere, invitiamo tutti a spegnere televisione e radio, a buttare via i giornali, e a vivere la Giornata della Memoria nel silenzio della propria coscienza. L’unico posto ormai decente dove farlo.

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Lo sappiamo tutti cosa è successo 70 anni fa, senza bisogno che qualcuno – tanto più tutt’altro che disinteressato o in buona fede – ce lo ricordi. Sappiamo anche che nei 70 anni successivi ed in quelli precedenti è successo di altrettanto peggio. Insieme agli Ebrei, sono tanti i popoli da commemorare con quel silenzio. Rotto semmai soltanto dalle legittime domande di ragazzi che hanno diritto a sapere quello che a suo tempo abbiamo saputo noi, e alle quali abbiamo il dovere di rispondere senza bisogno di farli salire su treni finanziati da una politica che ha molto da far dimenticare e poco, pochissimo da far ricordare.

Ai nostri tempi si viaggiava in treno l’Europa con l’Interrail, non con la Regione Toscana. Ci siamo andati tutti ad Auschwitz, senza dover ringraziare qualche veterocomunista rivestito a festa o riciclato da ridicoli cambi di nome e ragione sociale.

La festa per questi signori sta per finire, cosicché presto si potranno, tra le altre cose, commemorare veramente tutti i morti di tutte le tragedie di un secolo tinto di rosso, a causa del sangue ed anche del colore di chi per molta parte l’ha versato.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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