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Morte a Venezia. Mose, dove sei?

Nei giorni scorsi commemoravamo l’alluvione di Firenze del 1966, e abbiamo titolato: Quando Firenze diventò Venezia. Non avremmo mai immaginato pochi giorni dopo di vedere Venezia trasformata nella Firenze del 1966. Anno in cui, tra l’altro, lo stesso capoluogo veneto fu teatro di un evento calamitoso di pari importanza di quello fiorentino, passato in secondo piano forse soltanto perché a Venezia l’acqua alta è quasi la normalità, a Firenze no.

Il mondo si stringe attorno alla città della Laguna, agghiacciato dalle immagini della marea che fluisce dentro San Marco, dalle notizie di danni ingenti e di vite stroncate. In mattinata era toccato a Matera mostrarsi trasformata in un circuito di Rafting. La capitale europea della cultura 2019 e il patrimonio dell’umanità da sempre e per eccellenza sono gli emblemi di questo paese che assiste impotente all’oltraggio ai suoi più grandi tesori.

L'alluvione a Matera

L’alluvione a Matera

Un oltraggio autoinflitto. Se per Matera si possono ancora invocare come responsabili i cambiamenti climatici (così come una volta i popoli pagani incolpavano le divinità dei loro Pantheon a proposito delle loro disgrazie), per Venezia di certo non è più possibile.

Mose. Acronimo di MOdulo Sperimentale Elettromeccanico. Che fine ha fatto? Correva appunto l’anno 1966, quando Venezia conobbe per l’ultima volta una furia delle acque di portata pari a quella attuale. Le Autorità promisero: mai più. E con un piglio degno degli Olandesi del diciassettesimo secolo si misero sotto a progettare la soluzione finale per l’acqua alta in Laguna.

Oddio, l’abbiamo un po’ romanzata. Con tutta calma, soltanto nel 1973 una legge speciale per Venezia (Legge n. 171/1973) dichiarò il problema della salvaguardia della città «di preminente interesse nazionale» promuovendo l’inizio di un lungo iter legislativo e tecnico per garantire a Venezia e alla Laguna un efficace sistema di difesa dal mare. Il Ministero LL.PP. bandì poco dopo un appalto concorso, procedura che andò deserta nei fatti perché nessuna delle proposte presentate soddisfece i requisiti richiesti.

Altri dieci anni, e un’altra legge speciale (798/1984) istituì la madre di tutte le soluzioni all’italiana: un Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo degli interventi (il cosiddetto Comitatone, e già il nome la dice lunga sulla sua agilità operativa), che a sua volta affidò la progettazione e l’esecuzione di essi ad un unico soggetto, il Consorzio Venezia Nuova.

Il Consorzio, di concerto con il Magistrato delle Acque, fu in grado soltanto nel 1989, mentre cadeva il Muro a Berlino, di alzare una paratoia sperimentale, il cosiddetto Mose. Così chiamato dall’acronimo di cui sopra, ma soprattutto per richiamare simpaticamente la miracolosa divisione delle acque del Mar Rosso operata dal salvatore del popolo ebraico nell’Antico Testamento. Siamo un popolo di cialtroni, ma creativi.

Per cominciare a lavorare al miracolo che doveva separare le acque a Venezia, sulla base del prototipo dell’89, si dovette aspettare il 2003, anno in cui il Comitatone valutò che ricorressero i presupposti per l’apertura dei primi cantieri, soddisfatte tutte le valutazioni di impatto e di costo-beneficio della nostra burocrazia.

Siamo un popolo di cialtroni, ma pianifichiamo la nostra cialtroneria come pochi. Il Mose era parte del Piano Generale di Interventi per la salvaguardia di Venezia e della Laguna, e fu promesso che dopo la sua realizzazione – come già successo agli Ebrei in fuga dall’Egitto ed agli Olandesi al tempo di Guglielmo d’Orange – problemi di acqua alta a Venezia non ce ne sarebbero stati mai più.

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Sono passati sedici anni. Ad oggi si stima che la percentuale di realizzazione dell’opera sia all’85%, il che significa che stiamo rincorrendo nei tempi di realizzazione grandi opere del passato come la Muraglia Cinese e la Ferrovia Transiberiana. In compenso, le stime circa i finanziamenti pubblici spesi parlano di 5.493 milioni di euro, a fronte di un preventivo iniziale di 7.000 miliardi di vecchie lire.

Nel frattempo, siccome in Italia le opere pubbliche procedono a rilento ma in compenso truffe e tangenti procedono velocissime, ci sono due indagini della magistratura aperte, una del 2013 per frode fiscale a carico della società appaltatrice ed una del 2014 per finanziamenti illeciti e tangenti a carico di personalità politiche e manageriali a tutti i livelli amministrativi di allora, dalla Regione, al Comune al Consorzio. Il quale Consorzio è in amministrazione straordinaria sempre dal 2014, mentre le opere realizzate stanno arrugginendo nelle acque della Laguna (un primo tentativo di collaudo di quanto già realizzato è abortito quest’anno causa non meglio precisate vibrazioni) e il dibattito politico sta a sua volta arrugginendo nella consueta contrapposizione tra favorevoli al Mose e sostenitori del NO MOSE. Di date certe per il varo dell’opera ancora non se ne parla.

Parla il sindaco Luigi Brugnaro, intanto, e invita la cittadinanza a restare in casa. Per oggi alle ore 10,30 è attesa un’altra onda di marea importante. Il fiato resta sospeso, a Venezia e nel resto del mondo.

Questo è quanto. Il mondo e l’umanità sappiano in che mani è il loro patrimonio. In Italia i Lavori Pubblici sono una sorta di gioco di società, o una lavagna dietro cui mandare i più ciuchi, ogni riferimento ai Ministri che si sono succeduti nel tempo (da Di Pietro a Toninelli) decidete voi se è voluto o meno. Più che le valutazioni costi-benefici, vengono in mente le parole di Montanelli, pronunciate in epoca meno sospetta di adesso: l’Italia come paese non ha futuro, gli italiani come popolo forse ancora sì.

In che modo? Ci soccorre la storia. I veneziani costruirono la loro città sugli isolotti della Laguna dopo essere fuggiti da Attila. Questa volta, Attila ce lo siamo allevato in casa. Non resta che fuggire di nuovo. All’estero. Si salvi chi può.

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ULTIM’ORA: Matteo Salvini a nome della Lega lancia la proposta: «Un patrimonio dell’Umanità che il governo non può ignorare: per i danni provocati dal maltempo a Venezia si utilizzi subito uno dei tre miliardi che il governo vorrebbe regalare a chi paga con bancomat o carta di credito».

Si attende risposta governativa.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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