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Morto Stalin, non se ne fa più

I suoi funerali ebbero luogo il 9 marzo 1953 sulla Piazza Rossa, il centro del mondo di allora o almeno di quella metà del mondo che volente o nolente guardava come centro di tutto al Kremlino, la vecchia città-fortezza degli Zar e poi del Partito Comunista Sovietico, il PCUS.

La sua morte era occorsa quattro giorni prima, o almeno era stata dichiarata urbi et orbi il giorno 5, anche se per lungo tempo la leggenda che confina con la storia ha voluto che fosse intervenuta prima, tra quel giorno 28 in cui lo colse il malore fatale, sotto forma di ictus (ma pare che Beria confessasse in seguito a Molotov di averlo avvelenato), ed il giorno 2 marzo in cui finalmente le Guardie Rosse terrorizzate da quanto stava accadendo nel suo appartamento privato trovassero il coraggio di allertare lo stato maggiore sovietico, ed il medico di corte potesse visitarlo.

Iosif Vissarionovič Džugašvili era da più di trent’anni il padrone della Russia, e del comunismo mondiale. Il suo soprannome di battaglia, Stalin, significava uomo d’acciaio, e con la durezza dell’acciaio aveva governato il paese sorto dalla Rivoluzione d’Ottobre fino a farne una superpotenza mondiale ed una guida per tutti coloro che si ispiravano all’ideologia comunista.

Di tutte le elites che aspiravano a realizzare la rivoluzione di cui aveva parlato Karl Marx, i bolscevichi russi erano stati gli unici a farcela, nel 1917. Il loro paese era il più arretrato tra quanti si erano affacciati al ventesimo secolo contrapponendo un ancien regime più anacronistico che mai al profetizzato sole dell’avvenire. Contrariamente alla predizione di Marx, fu proprio quello che offrì le condizioni più propizie alla rivoluzione proletaria.

Stalin e Lenin nel 1919

Stalin e Lenin nel 1919

Tra i bolscevichi che aspiravano al ruolo di braccio destro di Lenin, il leader indiscusso della rivoluzione, e a diventarne il probabile successore, Stalin fu quello che si mise maggiormente in luce per l’assenza di scrupoli e la brutale efficacia della sua azione. Il destino della rivoluzione, scoppiata tra gli orrori della Prima Guerra Mondiale e le inumane condizioni mantenute nel paese dal medievale regime zarista, fu deciso in quegli anni in cui le potenze europee strinsero la Russia dei Soviet in un cordone sanitario per strozzare il bolscevismo sul nascere.

Nella lotta sanguinosa e senza quartiere tra Guardie Rosse e Guardie Bianche, velleità di democrazia e libertà sparirono subito. Serviva un capo dal pugno di ferro, anzi d’acciaio. Mentre Lenin si avviava al crepuscolo della sua vita terrena – preoccupato della piega che aveva preso il corso della sua rivoluzione e dal fatale affermarsi di individui come Stalin che ne avrebbero fatto un regime sanguinario ed oppressivo come quello degli Zar a cui si erano sostituiti – colui che sarebbe stato chiamato un giorno il Piccolo Padre della Santa Madre Russia nel 1924 ne era già diventato il signore assoluto. Lo zar rosso. La guida spirituale e materiale di decine di milioni di persone che aspiravano in tutto il mondo al rovesciamento di governi ritenuti oppressivi per l’instaurazione del governo del popolo.

Stalin fu il più sanguinario e senza scrupoli dei dittatori che il ventesimo secolo ha consegnato alla storia, l’unico in grado di rivaleggiare con quell’Adolf Hitler con cui venne a patti nel 1939 con la stessa facilità con cui sarebbe venuto a patti poco dopo con i suoi avversari, i vecchi acerrimi nemici del cordone sanitario. Il prezzo di sangue imposto ai suoi connazionali ed a tutti i popoli caduti sotto il suo tallone di ferro fu probabilmente incalcolabile, e commisurabile soltanto – da un punto di vista meramente quantitativo – ai risultati ottenuti.

Sotto la sua guida, la Russia superò una guerra civile sul cui esito nessuno avrebbe scommesso un rublo, all’indomani della fine della Grande Guerra che per lei era stata rovinosa. Sotto la sua guida, si consolidò un regime durante il quale sotto una cappa di piombo senza precedenti – ma con poi molti tentativi di imitazione – la Russia passò da paese agricolo arretrato, una immensa steppa immersa nel medioevo dove sopravvivevano grandi masse di popolazione in condizioni di indicibile miseria, a potenza industriale e poi superpotenza mondiale, politica, militare, economica.

A Yalta con Churchill e Roosevelt

A Yalta con Churchill e Roosevelt

Sotto la sua guida, i russi compirono l’impresa di resistere alla Wehrmacht nazista che nel 1941 era affondata in quella steppa come un coltello nel burro, fino a vincere quella che ancora oggi essi chiamano la Grande Guerra Patriottica. L’uomo d’acciaio aveva resistito a quello con i baffetti e lo sguardo luciferino fino a riprendersi tutto il terreno ceduto e a guadagnarne altrettanto. Mezza Europa, fino al bunker di Berlino su cui la Russia Sovietica avrebbe mantenuto la sua bandiera fino al 1989.

Sotto la guida di Stalin, l’idea che aveva promesso ai miserabili di tutto il mondo libertà, riscatto, emancipazione sociale ed economica si tradusse in un regime di oppressione quale nemmeno il più barbaro dei conquistatori provenienti dalle steppe asiatiche aveva mai imposto a quello che noi consideriamo il mondo civile, il nostro, che dovette aspettare oltre 40 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale per avere la certezza che non sarebbe stata combattuta la Terza. Che i milioni di morti causati anche e soprattutto da Stalin – o da Stalin alleato di Hitler – non erano morti invano e i loro figli e nipoti avrebbero vissuto veramente liberi.

Ma tutte queste cose le sappiamo noi, adesso. Quando il 9 marzo 1953 il corpo imbalsamato del Piccolo Padre fu tumulato nel mausoleo sulla Piazza Rossa accanto a quello di Lenin, decine di milioni di comunisti in tutto il mondo piangevano a dirotto. La rivoluzione mondiale aveva perso la sua guida, e perfino un combattente della libertà come Sandro Pertini, a nome del Partito Socialista di cui era capogruppo, commemorò così al Parlamento italiano il leader caduto: «Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo. L’ultima sua parola è stata di pace. […] Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto.»

Il Mausoleo di Lenin e Stalin a Mosca

Il Mausoleo di Lenin e Stalin a Mosca

Quando tre anni dopo Nikita Kruscev trovò il coraggio di denunciare al mondo i crimini di Stalin, un’immensa platea di comunisti in tutto il mondo, soprattutto in quello occidentale che non li aveva subiti e non ne aveva avuto neanche sentore, cadde dalle nuvole. Il Piccolo PadreBaffone, come veniva chiamato affettuosamente dai proletari delle nostre campagne e delle nostre periferie industriali, colui che prima o poi ha da veni’…! – era stato vissuto come una figura amica, paterna, rassicurante, e pochi sapevano di quanti, grazie a lui, semplicemente non avevano potuto vivere affatto.

La storia ha giudicato da tempo Josif Stalin, e continuerà a farlo. Grazie a lui, ed al giudizio che se ne dà a posteriori, il comunismo è un fenomeno storico dai connotati altrettanto sinistri del nazifascismo. Ed è estremamente improbabile che possa ripresentarsi sul palcoscenico delle generazioni future, fintanto che esse manterranno la memoria del passato.

Con la figlia Svetlana nel 1935

Con la figlia Svetlana nel 1935

Ma è singolare che il giudizio più significativo – e probabilmente per lui più doloroso, se avesse potuto raccoglierlo personalmente – sarebbe stato consegnato alla storia stessa un altro 9 di marzo, quello del 1967 in cui Svetlana Allilujeva, nata Svetlana Iosifovna Stalina, figlia di Josif e della sua seconda moglie Nadežda Allilujeva, decise di voltare le spalle al paese di suo padre e di fuggire in quello dei suoi più acerrimi avversari, gli Stati Uniti d’America. Dove pubblicò un libro di memorie, Twenty Letters To A Friend, che fece molto male ai successori del padre. I quali malgrado la destalinizzazione si trovavano alle prese con una Guerra Fredda ed un regime che continuava ad essere oppressivo più di quanto la popolazione russa e dei paesi satelliti continuasse a sopportare.

Lo schiafo più sonoro e clamoroso era stato alfine tirato al Piccolo Padre non da Kruscev, ma dalla sua stessa figlia.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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