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Niki ha smesso di correre

Niki Lauda non c’è più. L’eroe della nostra giovinezza ferrarista è sceso per l’ultima volta dalla sua monoposto lunedi. L’ha fermato una insufficienza renale postuma dell’intervento ai polmoni che aveva subito l’anno scorso, a sua volta conseguenza delle ferite che si portava dentro da più di quarant’anni.

Da quel giorno in cui era stato fissato il suo appuntamento con il destino, poi rinviato per il coraggio di alcuni colleghi. Abbiamo rievocato in altra parte del giornale il terribile incidente del Nurburgring, quel pomeriggio del 1° agosto 1976 in cui Niki Lauda rimase intrappolato nella sua Ferrari 312T2 in fiamme rinnovando ai nostri occhi l’orrore e l’angoscia di altri incidenti che fin dalla sua nascita avevano fatto della Formula 1 lo sport più drammatico ed esigente, in termini di vite umane.

Il pilota dagli occhi di ghiaccio, malgrado la prontezza di riflessi dei suoi soccorritori Merzario, Ertl, Edwards e Lunger, rimase intrappolato nella lamiera e nel fuoco per quaranta secondi. Che non furono sufficienti a togliergli la vita, ma lo furono a deturpargli irrimediabilmente il volto, e a lesionare altrettanto irreparabilmente i suoi polmoni, insieme ad altri organi interni.

Il mondo si appassionò e commosse per il suo ritorno alle corse dopo appena 40 giorni, dopo essere stato tra la vita e la morte per i primi 4. Il mondo si impressionò per la sua scelta di ripresentarsi con il volto straziato davanti a tutti, ma in qualche modo comprese ed apprezzò il suo coraggio. Il mondo gli batté le mani per il suo secondo titolo mondiale due anni dopo, nel 1977, così come gliele aveva battute l’anno prima al Fuji, quando il coraggio gli era comprensibilmente venuto meno e si era ritirato sotto la pioggia torrenziale lasciando il titolo al rivale James Hunt. Il pilota di ghiaccio aveva dimostrato di essere un uomo come tutti gli altri. Anzi, forse, più di molti altri.

Niki Lauda era tornato a correre nel 1984, giusto il tempo per vincere un altro mondiale, stavolta con la McLaren. Era rimasto nella stima dei ferraristi (che avrebbero dovuto attendere vent’anni ed il suo alter ego Michael Schumacher per esultare di nuovo), se non nel cuore. Molti, a cominciare da Enzo Ferrari, non si erano appassionati al suo modo di correre e di essere. Ma tutti lo avevano riconosciuto come uno dei più grandi di sempre.

I suoi settant’anni anni ed i postumi di quel terribile incidente non hanno aiutato a vincere quest’ultima corsa un organismo che era uscito dalle fiamme del Nurburgring compromesso per sempre.

Niki aveva già affrontato nel 1997 e nel 2005 interventi importanti, tra i quali un trapianto di reni. Aveva rivissuto la propria storia ed il proprio dramma pochi anni fa, allorché il film Rush di Ron Howard aveva raccontato con dovizia impietosa di particolari la sua carriera, la sua tragedia, la sua lotta per continuare come se nulla fosse accaduto. Aveva detto di aver compreso soltanto allora, scorrendo i fotogrammi del film, il significato esatto di ciò che gli era successo.

Alla fine, si era ritrovato costretto in un letto di ospedale come quell’altro figlio del vento che dopo vent’anni era riuscito a ripeterne le gesta. Niki Lauda e Michael Schumacher, i piloti di ghiaccio che il destino beffardo ha sciolto, due tra i più fulgidi capitoli della grande storia della Ferrari.

Adesso Niki finalmente può fermarsi a riposare. Confortato dall’aver finalmente ritrovato il suo volto dei giorni migliori, di una giovinezza sua e nostra che ormai è  lontana come il tempo di tutte le leggende.

E noi non abbiamo più voglia di veder correre. Se non per riportare indietro l’orologio di quel tempo maledetto che non si ferma.

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Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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