Calcio Evidenza

Storia degli Europei di calcio: 2016 a Parigi sulle note del Fado

per una volta, la Francia omaggia l'Italia tngendo la Tour Eiffel di tricolore la sera della vittoria sulla Spagna

Nella foto: per una volta, la Francia omaggia l’Italia tngendo la Tour Eiffel di tricolore la sera della vittoria sulla Spagna

Il disastro del mondiale brasiliano solo apparentemente ripeteva quello del mondiale tedesco di quarant’anni prima. A Stoccarda, una generazione di campioni invecchiati aveva sbattuto contro l’apoteosi del calcio totale, finendo per cedere le armi ad una delle sue più riuscite interpretazioni, la Polonia di Deyna e Lato, ed il testimone ad una generazione di campioni altrettanto forti ma con dieci e più anni di meno. A Manaos si era trattato invece di un venire allo scoperto di carenze di tipo diverso, più che altro psicologiche, di mentalità. Una nazionale di piedi buoni ma non buonissimi si era illusa di poter ripetere il miracolo di Kiev, arrivando in fondo al cospetto di squadre più attrezzate sia dal punto di vista tecnico che da quello mentale, a cominciare dalla Germania che aveva raggiunto nel palmares proprio l’Italia con il suo quarto titolo vinto a spese del Brasile padrone di casa.

CesarePrandelli210324-001L’Italia era franata proprio sul piano mentale, il suo CT Prandelli quella volta non era riuscito a motivare chi di motivazioni non ne aveva per conto proprio, e cedeva regolarmente alle prime difficoltà. Anche stavolta si imponeva una rifondazione profonda, ma ai più sfuggiva l’aspetto tecnico, quello che vedeva un vivaio da sempre generoso essere arrivato ad una crisi di produzione di nuovi talenti che sembrava epocale. Stavolta la numero 10 non poteva passare dalle spalle di un Rivera a quelle di un Antognoni, per capirsi. Ed era già un mezzo miracolo che fosse a disposizione un onesto artigiano del pallone come Giaccherini, il cui tasso tecnico pedatorio era peraltro superiore a quello mediamente offerto ormai dal calcio nostrano, più o meno in tutti i ruoli.

Ci si concentrò piuttosto sull’aspetto motivazionale, credendo a torto che fosse solo questione di rivitalizzare un ambiente ingiustamente depresso da due edizioni mondiali sfortunate, quella della mancata difesa in Sudafrica del titolo di Berlino e quella delle illusioni brasiliane svanite al ritmo della musica suonata nelle cuffiette di Balotelli.

Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio

Giancarlo Abete e Carlo Tavecchio

La calda estate del 2014 cominciò per la FIGC con l’elezione di Carlo Tavecchio alla presidenza in sostituzione del dimissionario Giancarlo Abete. Personaggio ruspante espressione di un calcio d’altri tempi, gaffeur impenitente capace di alienarsi ad ogni uscita verbale intere categorie del movimento sportivo (come quando chiamò negri i giocatori extracomunitari e lesbiche le calciatrici), l’estemporaneo ed all’udito poco gradevole personaggio era tuttavia appoggiato dalla maggior parte dei club di serie A, tra i quali spiravano venti di rivolta contro la gestione del passato a giudizio di molti fossilizzata sugli interessi dei grandi club.

Il primo atto di Tavecchio fu quello di prendere atto delle tempestive dimissioni di Cesare Prandelli e di individuarne il successore. Le altrettanto tempestive dimissioni di Antonio Conte dalla panchina della Juventus sembravano giungere a fagiuolo, come si suol dire. Molti si erano sorpresi del fatto che il tecnico leccese avesse abbandonato Torino dopo tre anni di successi (ma non a livello internazionale) e proprio quando sembrava che il più bello per lui e la Juve stesse per venire), ma la sorpresa rientrò non appena Tavecchio alzò la cornetta per chiamarlo, e Conte rispose senza farsi pregare.

AntonioConte210607-001Nell’ipotesi destinata a dimostrare qualche fondamento secondo cui Conte fosse un uomo vincente anche grazie al suo stellone personale e che comunque fosse un gran motivatore riuscendo a far giocare bene anche quei giocatori che in mano ad altri sembravano cause perse, il nuovo CT sembrò mettere d’accordo tutti, incontrando il gradimento delle istituzioni e dei tifosi. Molti storsero semmai la bocca per l’entità della cifra dell’ingaggio, tre milioni e mezzo di euro all’anno, di cui per la verità soltanto un milione e sei a carico della Federazione ed il resto a carico della Puma che sponsorizzava la Nazionale. Moralismo italico a parte, la cifra sembrava giustificata dall’eventualità che Conte potesse ripetere in azzurro i successi bianconeri, e comunque si trattava di una cifra tutto sommato anche irrisoria rispetto a quelle che ballavano ormai da anni nel calcio europeo e mondiale.

Ma le qualificazioni ad Euro2016 incombevano, ed il secondo sport nazionale, le polemiche a sfondo moralistico, fu messo da parte per consentire all’Italia di tornare a togliersi qualche soddisfazione nel primo, il calcio giocato.

Euro-2016-210607-001L’UEFA aveva organizzato la manifestazione continentale suddividendo le 54 partecipanti al torneo di qualificazione in nove gironi da sei squadre l’uno. Paese organizzatore era stata designata la Francia, per la terza volta dopo il 1960 ed il 1984. All’Italia era toccato un non proibitivo girone H, da disputarsi con Croazia, Norvegia, Azerbaigan, Bulgaria e Malta. Gli azzurri cominciarono il loro cammino europeo con alcune prestazioni non entusiasmanti, ma portando regolarmente a casa i risultati utili che servivano, tenendo d’occhio il cammino parallelo di quelli che erano storicamente i loro avversari più ostici, i croati.

La nazionale di Conte concedeva poco all’estro e molto al carattere ed alla solidità. Proprio ciò che le chiedevano i tifosi, dopo un quadriennio di figure poco gratificanti succeduto alla finale di Kiev. Su dieci partite, gli azzurri ne vinsero sette e ne pareggiarono tre, una con la Bulgaria a Sofia per 2-2 e le due con la Croazia, 1-1 sia a Milano che a Spalato. In quest’ultima occasione i croati scelsero di suicidarsi dando sfogo alla loro natura intemperante organizzando sugli spalti dello Stadio Pljiud un carosello anti-italiano a sfondo razzista, che cascava male se non malissimo rispetto alle nuove tendenze disciplinari dell’UEFA che proprio in quegli anni aveva lanciato la sua campagna contro ogni forma di razzismo nel calcio.

Risultato, Croazia penalizzata di un punto ed Italia comodamente qualificata per la fase finale di Parigi. Nelgi altri gironi: A) Rep. Ceca, islanda e la miglior terza Turchia; B) Belgio e Galles; C) Spagna, Slovacchia e la miglior terza Ucraina; D) Germania, Polonia e la miglior terza Eire; E) Inghilterra e Svizzera; F) Irlanda del Nord, Romania e la miglior terza Ungheria; G) Austria, Russia e la miglior terza Svezia; H) Italia e Croazia; I) Portogallo e Albania.

Giaccherini e Bonucci

Giaccherini e Bonucci

L’Italia di Conte si reggeva inevitabilmente sul blocco difensivo della Juventus formato da Chiellini, Bonucci e Barzagli, oltre all’inossidabile Gigi Buffon. In avanti, cercava di sposare la qualità dei Bernardeschi, El Shaarawy, Giaccherini, Insigne e Thiago Motta alla presenza in campo più tosta di giocatori come De Rossi, Candreva, Parolo. In attacco nuove leve da testare sul campo, come Ciro Immobile, Eder, Graziano Pellé e Simone Zaza. Non la peggiore delle formazioni messe in campo dall’Italia nellasua lunga storia, ma non lo erano state nemmeno quelle schierate in Sudafrica ed in Brasile.

La prova del campo per l’Italia si concretizzò in un girone di primo turno con Belgio, Svezia e Irlanda. Tre nazionali che a più riprese avevano fatto vedere i sorci verdi agli azzurri, tre clienti non fortissimi ma decisamente ostici.

Gli azzurri partirono bene, regolando i favoriti belgi con un 2-0, la Svezia del sempiterno Ibrahimovic con un gol nel finale di Eder, e perdendo l’ormai ininfluente terzo match con l’Eire sempre nel finale. Italia prima nel girone, ma destinata ad un’altra impresa, perché accoppiata negli ottavi alla seconda del girone D, la Spagna sorprendentemente superata al primo posto dalla Croazia.

Vecchie conoscenze si ritrovano: Iker Casillas e Gigi Buffon

Vecchie conoscenze si ritrovano: Iker Casillas e Gigi Buffon

Italia – Spagna era una rivincita della finale 2012 e soprattutto l’occasione per noi per mostrare segni consistenti di ripresa al cospetto della squadra che in quel periodo stava giocando meglio a calcio. L’Italia si prese quella rivincita vincendo per 2-0, illudendo tutti di poter avere da lì in poi un torneo in discesa verso una nuova finale. Negli altri ottavi si erano allineati ai quarti Portogallo e Polonia, Galles e Belgio, Francia e Islanda e – udite, udite! – l’ennesimo Italia – Germania.

La partita del secolo era diventata attraverso i decenni la partita che non potevamo perdere, anche volendo. L’ultima volta con noi i tedeschi avevano pianto quattro anni prima, a Varsavia. Scendemmo in campo irrazionalmente fiduciosi, per quanto una Germania ancora forte come due anni prima in Brasile ci mettesse per lunghi tratti alle corde. Andarono in vantaggio i bianchi con gol di Ozil, ma ci regalarono un rigore per fallo di mano di Boateng che Bonucci trasformò. I rigori evitati a Berlino andarono in scena a Parigi. Per noi sbagliò Darmian, per loro Thomas Muller e Mesut Ozil, due dei loro migliori. Per i bianchi sembrava sopraggiungere di nuovo nottefonda.

Il pessimo gesto di Graziano Pellé a Neuer

Il pessimo gesto di Graziano Pellé a Neuer

Ma fu allora che a Graziano Pellé venne voglia di fare il Totti della situazione, senza purtroppo esserlo. Provocò Neuer, il portierone tedesco, facendogli il verso del cucchiaio. Neuer si limitò a rimanere fermo a centro porta, lasciando che lo sciagurato centravanti azzurro mettesse fuori. Altrettanto fece con uno Zaza in stato di agitazione confusionale. Gli dei che ci avevano protetti contro gli Unni per decenni si sdegnarono di noi e della nostra ingiustificata superbia, e accompagnarono la Germania al rigore decisivo ed al passaggio alle semifinali.

Dove trovarono una Francia che nel frattempo si era liberata di tutti i suoi avversari più con le cattive che con le buone, affidandosi all’estro di Griezman ma anche e soprattutto alle maniere forti a centrocampo ed a certe compiacenze arbitrali. Anche la Francia aveva diversi conti in sospeso con i tedeschi, maturati tra il 1982 ed il 2014. Li saldò tutti insieme con una prestazione consistente, un 2-0 targato Griezman che valeva il biglietto per Paris Saint Denis dove si sarebbe giocata la finale.

Alla quale era approdato come suo avversario il Portogallo, sopravvissuto allo scontro con il sorprendente Galles di Gareth Bale. Sembrava proprio che Cristiano Ronaldo potesse portare finalmente la sua nazionale ad un successo di prestigio, come faceva da tanti anni con i suoi club.

Critiano Ronaldo esce in barella durante al finale

Critiano Ronaldo esce in barella durante al finale

La Francia voleva quel titolo, a tutti i costi. E lo fece capire mettendo KO dopo neanche mezz’ora il più temibile dei suoi avversari. CR7 dovette accomodarsi in panchina. Accomodarsi si fa per dire, perché fu proprio da lì che finì per scrivere una delle pagine più entusiasmanti della sua carriera. Quasi su una gamba sola, a saltello, Ronaldo si sostituì al suo allenatore diventando il dodicesimo uomo per i lusitani, urlando ordini e suggerimenti ai compagni, rimandando in campo con piglio da condottiero quelli che per qualche motivo si avvicinavano alla panchina, invitando una squadra ed un paese a resistere, a tenere duro, a restituire colpo su colpo.

La Francia premeva e menava, il Portogallo tentava ad ogni occasione di avviare contropiedi potenzialmente micidali. Indovinò quello giusto al quarto minuto del secondo tempo supplementare. Anche i portoghesi avevano il loro Eder, che infilò nella porta il tiraccio della vita cogliendo in controtempo l’estremo difensore transalpino Lloris.

Francia in ginocchio, Cristiano Ronaldo sugli scudi, Portogallo finalmente in festa, dopo una rincorsa durata cinquant’anni. E nelle strade di Parigi quella notte del 10 luglio 2016 le note del fado, la celebre melodia lusitana per una volta ammantata di gioia e non di tristezza.

Portogallo210607-001

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento