18 agosto 1946. Vergarolla, parte terminale del porto di Pola. Ore 13,45, una mano assassina fa esplodere sulla spiaggia gremita di gente che assiste ad una manifestazione sportiva 9 tonnellate di tritolo contenuto in mine subacquee e si scatena l’apocalisse. Il mare è rosso di sangue e i gabbiani banchettano con i resti dei corpi dilaniati che galleggiano sulle onde.
L’esplosione provoca la morte accertata di 65 persone, anche se a tutt’oggi il numero esatto delle vittime non è quantificabile.
In quel periodo l’Istria viene rivendicata dalla Jugoslavia di Tito, che l’ha occupata fin dal maggio 1945. Pola invece è amministrata a nome e per conto degli Alleati dalle truppe britanniche, ed è quindi l’unica parte dell’Istria al di fuori del controllo jugoslavo.
Le responsabilità dell’esplosione, la dinamica e perfino il numero delle vittime sono tuttora fonte di accesi dibattiti. L’inchiesta delle autorità inglesi stabilisce che “gli ordigni furono deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute“.
L’unico dato certo, incontrovertibile, indiscutibile (e che indirizza in qualche modo verso l’accertamento delle responsabilità, al di là dell’inchiesta ufficiale) è la nazionalità delle vittime: sono tutti italiani.

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