Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 6. Una nuova linea verde

Baglini era entrato nella storia, e ci sarebbe rimasto attendendo inutilmente nei trenta anni successivi, fino alla sua morte avvenuta nel 1999, che qualcuno dei suoi successori riuscisse ad eguagliarlo, regalando a lui e a Firenze la gioia di un altro scudetto. Avrebbe fatto purtroppo appena in tempo a vedere l’ultimo tentativo serio, quello di Batistuta ed Edmundo, andare tristemente a male.

L’anno dopo lo scudetto, la Fiorentina arrivò fino ai quarti di finale di Coppa dei Campioni e difese onorevolmente il titolo contro un’altra outsider, il Cagliari di Gigi Riva Rombo di Tuono, dopodiché arrivarono anni a fasi alterne.

Il presidente del secondo scudetto lasciò la carica nel 1971, dopo una stagione in cui la squadra ormai scarica soprattutto di nervi si ritrovò a lottare per non retrocedere, costringendolo ad esonerare l’allenatore Pesaola che lui aveva amato ma che Firenze (per qualche ragione) aveva solo sopportato. Il suo sostituto, Oronzo Pugliese, ottenne la salvezza solo agli ultimi minuti del campionato. Per la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima, dal 1938 i tifosi viola si ricordarono che alle ore di vittoria potevano seguire altrettanto facilmente quelle di sconforto.

Cominciava un’altra storia. Baglini lasciava una Fiorentina in attivo, che poteva appuntare orgogliosa sulla sua bandiera due scudetti e tre Coppe Italia, oltre alla Coppa delle Coppe ed alla Mitropa (una bandiera che dai suoi tempi, purtroppo, non è cambiata molto, quanto a trofei esibiti), e che tra le prime in Italia poteva vantare una organizzazione del tifo all’avanguardia. Era stato lui stesso il fondatore del Centro di Coordinamento Viola Club fin dal suo avvento nel 1965.

Lasciò a colui che era stato uno dei suoi collaboratori, Ugolino Ugolini, il quale fece il possibile per continuare la sua politica dei giovani, però con meno fortuna di lui. Nei primi anni 70 la Fiorentina tentò di proseguire la politica della linea verde, innestando progressivamente nella squadra campione del ’69 i giovani talenti che via via venivano prodotti da un settore Primavera all’avanguardia. Fu il caso di Andrea Orlandini (il ragazzo di San Frediano che arrivò addirittura in Nazionale, voluto da Fulvio Bernardini, che lo mise addirittura a marcare Sua Maestà Johann Cruyff nell’epico scontro di Rotterdam), di Moreno Roggi, di Vincenzo Guerini, di Alessio Tendi, di Mimmo Caso. Ma soprattutto, trovato per caso in una società satellite della Juventus in Piemonte, un ragazzo che a detta di molti giocava guardando le stelle.

Il 15 ottobre 1972 si giocava la terza giornata di campionato. La Fiorentina era a Verona senza Giancarlo De Sisti, squalificato. Un’assenza pesantissima, quella di Picchio, ma Liedholm aveva una carta di riserva, e la giocò. Spostò Claudio Merlo al 10, e dette la maglia numero 8 a quel giovane appena comprato da una società di serie D, l’Astimacobi. Era stata una trattativa lampo, anche se difficile. Quel ragazzo era una grande promessa, a Juventus, in quel momento era evidentemente disattenta per esserselo lasciato scappare, e lo avrebbe rimpianto per tutta la sua carriera.

Non si sa con certezza chi fu stato il primo a coniare quella frase che sarebbe rimasta storica: «quel ragazzo gioca guardando le stelle». Se Liedholm, che lo fece esordire nella Fiorentina, o Bernardini, che lo fece esordire in Nazionale dandogli la maglia che era stata di Rivera (ed il ragazzo non tremò, meritandosi – sempre a Rotterdam – i complimenti nientemeno che di Johann Cruyff), o giornalisti del calibro di un Giovanni Arpino, Gianni Brera o Vladimiro Caminiti. O quel Sandro Ciotti che fece la telecronaca della sua partita d’esordio, al Bentegodi, vinta dai viola 2-1. The Voice, a fine gara, chiosò tra l’altro breve e conciso: «oggi ho visto esordire un campione».

Giancarlo Antognoni non sarebbe uscito più di squadra, né in viola né in azzurro. I fiorentini lo avrebbero chiamato dapprima Enel, perché da quando era arrivato lui si era riaccesa la luce. Poi, man mano che i vecchi campioni se ne andavano e restava solo lui a fare luce, per tutti sarebbe diventato semplicemente Antonio. Il più grande. L’unico.

Se in quel primo campionato, per rispetto ai seniores De Sisti e Merlo, Liedholm lo schierò con il numero 7, dopo di allora il numero 10 sarebbe stato solo suo, per sempre. Picchio De Sisti sarebbe tornato a casa, a Roma lasciandoci con il dubbio di cosa avrebbero potuto ancora combinare insieme il vecchio e il giovane, Giancarlo 1 e Giancarlo 2, due numeri dieci per una sola maglia con quel numero.

Tutto questo sembrava l’inizio di un’altra bella storia viola, di un nuovo ciclo di vittorie. In quegli anni, però, il calcio italiano stava cambiando nuovamente. Il potere economico della FIAT dell’Avvocato Gianni Agnelli (che alcuni definivano il vero capo del governo italiano) stava diventando uno strapotere, e quella Torino che aveva assistito al secondo trionfo viola stava diventando nuovamente la capitale calcistica del paese. Un giovane DS, Italo Allodi, stava mettendo assieme uno squadrone che in quello stesso 1972 stava aprendo un ciclo decennale che lo avrebbe portato a vincere praticamente tutto, compreso un titolo mondiale con la Nazionale a cui avrebbe contribuito per sette undicesimi, mentre la Fiorentina sarebbe stata rappresentata dall’unica ma splendida e orgogliosa partecipazione di Antonio.

A questa corrazzata per lungo tempo la Fiorentina cercò di opporre una rinnovata squadra ye-ye, con alterni e comunque purtroppo episodici risultati, anche perché la fortuna le voltò le spalle spesso e volentieri. Una serie di gravi infortuni fece fuori tutti i gioiellini della difesa, Guerini, Roggi e Orlandini, mentre lentamente si spengeva e si intristiva la stella di autentiche promesse come Caso, Desolati, Speggiorin. Nessuno di questi fu adeguatamente sostituito, ed il nuovo ciclo abortì prima di nascere.

Alla metà del decennio circa, della giovane Fiorentina erede dei campioni del secondo scudetto era rimasto solo Giancarlo Antognoni. Immenso, ma sempre più solo.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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