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A caccia di Draghi

Con le dimissioni portate al Quirinale ieri da Mario Draghi si aprirebbe ufficialmente la crisi del sistema. Se questo fosse un sistema.

Il banchiere prestato alla politica – che ormai si rende conto di quanto stia sulle scatole ad una politica che ormai lo tollera soltanto perché è stato l’unico finora in grado di rimandare la resa dei conti con l’elettorato e di consentire il salvataggio di poltrone ormai diventate spregevoli agli occhi della cittadinanza, oltre che per lo più incostituzionali – è andato a restituire l’oggetto trovato per strada, l’incarico a governare, a colui dal quale l’ha avuto.

Non il parlamento, che mai come in questa legislatura è apparso screditato ed esautorato, ma appunto il presidente della repubblica, vero ed indiscusso arbitro del funzionamento del sistema.

Non è più una repubblica parlamentare la nostra, se mai lo è stata, ma una cripto-presidenziale. Ad ogni crisi delle maggioranze parlamentari è Mattarella – più ancora del predecessore Napolitano che almeno diceva di rispondere alla “Europa che ce lo chiede” – che decide, avendo come unico referente se stesso, quale sia la maggioranza da ricostituire.

Il popolo in Italia non è mai stato sovrano, da qualche anno non lo è più neanche il parlamento che pretenderebbe di rappresentarlo. Comanda il presidente, e il bello è che si diverte anche a farlo (tanto più dopo la riconferma che gli ha conferito poteri pressoché assoluti). Il mestierante Draghi scopre che in politica c’è chi è più furbo di lui, Mattarella appunto. Che lo sta a sentire per un’ora e poi lo invita asciutto a portare la sua crisi dove deve essere portata: in parlamento.

E pazienza se grazie a lui e grazie ai parlamentari stessi si tratta di una istituzione che di fatto ormai non esiste più e non significa più niente. Per la serie: ho deciso io, ma la responsabilità ve la prendete voi. Come Vittorio Emanuele III il 24 luglio 1943, il sovrano aspetta il voto del Gran Consiglio che lo legittimi, anche se responsabile vero di tutto è lui.

Che Parlamento aspetta le dimissioni di Draghi, se le avrà? Il covid ha infettato le Camere quanto e più dei normali cittadini, e le ha devitalizzate. Il resto lo hanno fatto forze politiche che hanno visto l’occasione – da destra e da sinistra indiscriminatamente – di blindare legislatura e stipendi fino a quella primavera del 2023 che ad un certo punto sembrava un miraggio come certi cammelli nel deserto.

Draghi è stato scelto da Mattarella come ennesimo salvatore della patria (“all’estero ce lo invidiano e ce lo rispettano”……). Il parlamento che se lo è trovato davanti, come già il Conte bis in precedenza, non ha battuto ciglio, grato di essere ancora vivo. Vegeto no, ma pazienza. Vegeta perfino la Costituzione, intubata come un infettato di coronavirus della prim’ora.

La crisi è stata aperta da una fiducia sul Decreto Aiuti al Senato a cui sono mancati clamorosamente i 5 Stelle, il partito virtualmente di maggioranza relativa. Giuseppe Conte vuole tentare la sorte, vedere se può rilanciare un partito che sembrava già morto e sepolto non anticipando le elezioni ma arrivando a quelle della scadenza naturale con l’aureola dell’unico che ha fatto opposizione seria a Draghi. Vuole rubare la scena alla Meloni, la quale avrebbe più credibilità di lui, se solo si decidesse ad esercitarla in luoghi più confacenti di Facebook.

Gli altri sono tutti bari ad una partita di poker da film western. Sotto il tavolo da gioco hanno le colt pronte all’uso, sopra ancora si sorridono a denti stretti. Tutti lanciano sguardi preoccupati allo sceriffo Mattarella, che se ne sta al bancone a chiacchierare con il barman e che intanto li sta salvando (o tenendo sadicamente in vita) una volta di più. Si votasse oggi, partiti come PD e Lega farebbero meno voti del referendum sulla magistratura.

In generale, sono tutti rimasti con due carte in mano a Scala Quaranta, e nessuno può chiudere. Ora e sempre Prima Repubblica.

Stiamo a vedere, mercoledi (con calma, mi raccomando….) Draghi riferisce alle Camere. Conte uscirà di nuovo dall’aula per manifestare il suo inedito essere anti-sistema?

La mimica facciale di Mattarella non gli consente più di un paio di espressioni: uno sguardo impenetrabile ed un sorrisetto ancora più impenetrabile ed inquietante. Ma se dobbiamo azzardare un giudizio, sì, in queste ore si sta divertendo proprio tanto. Ai furbastri segretari di partito che da due anni gli fanno da portaborse ha servito proprio una bella mano di carte.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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