Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 12. Antonio game over

Nel 1983-84 la squadra c’era, eccome. E l’anno sembrava di nuovo quello buono. Smaltite le tossine mondiali e d’altro tipo, integrati vecchi e nuovi acquisti, ai nastri di partenza della nuova stagione la Fiorentina si presentava come una squadra rodata, amalgamata e se possibile ancora più forte di quella che un anno prima aveva conteso lo scudetto fino agli ultimi minuti dell’ultima giornata alla Juventus.

A detta di tutti, addetti ai lavori e frequentatori dei chioschi dei tifosi, quella fu la squadra che giocò meglio a calcio dopo quelle del ‘56 e del ‘69. Dava spettacolo, faceva risultato, e si proponeva prepotentemente come terza forza in ascesa tra una Roma appagata dalla vittoria dell’anno precedente e concentrata sulla Coppa dei Campioni ed una Juventus che ancora stentava nelle sue stelle straniere Platini e Boniek e cominciava a mostrare la corda in quelle italiane, appagate anch’esse da una carriera in cui avevano vinto tutto. Meno la Coppa dei Campioni, su cui anch’essi sembravano concentrarsi.

La partita d’esordio contro il Napoli valse più di tanti pronostici. 5-1, con un Paolo Monelli che sembrò in grado di sostituire il Ciccio Graziani partito per Roma senza farlo rimpiangere. Un Ciccio Graziani che se non fosse andato alla corte di Viola, il presidente giallorosso, avrebbe ricomposto a Firenze una delle coppie più celebri di goleador, i Gemelli del Gol che avevano dato lo scudetto al Torino di Radice e Pianelli nel 1976. Paolino Pulici, che l’anno prima ancora ci aveva fatto male con la maglia dell’Udinese, stavolta era dalla parte nostra e cessava finalmente di essere una delle nostre bestie nere predestinate.

Contro il Napoli, rimase celebre l’azione Galli-Monelli che dette il quarto gol ai viola. Il portierone mondiale rinviò dalla propria area in quella partenopea, con tutta la potenza di cui era capace. Paolone Monelli era già lì, con il fiuto del gol che aveva e di cui non sempre si sarebbe dimostrato fisicamente e psicologicamente all’altezza. Pallonata a fulminare Castellini e gol, Stadio Comunale in delirio, sogni di gloria più sfrenati che mai.

Alla decima giornata venne a Firenze la Juventus. La Fiorentina non vinse ma giocò quella che rimane una delle più belle partite di sempre. Un 3-3 lottatissimo e impreziosito da parte viola da un gol di testa di Antognoni, una perla rarissima (uno dei tre segnati in tutta la carriera, dopo uno all’Udinese e quello che era valso la vittoria a Napoli due anni prima), e da una doppietta del puntero Daniel Bertoni che sorprese per due volte il portiere bianconero Tacconi. E solo una sfortunata autorete del bravo Contratto impedì alla fine allo stadio di venire giù per la gioia dei fiorentini.

Ero cresciuto con i racconti di mio padre secondo cui la più bella partita vista da lui e dalla sua generazione era stata un Fiorentina-Roma del 1967 finito 2-2, di cui avevo vaghi ricordi infantili essendo stata anche la prima in cui mi aveva portato con sé allo Stadio. Posso raccontare a mio figlio che la più bella partita di cui ho ricordo io, tecnicamente parlando, è stata e resta quel 3-3 con la Juve. Che oltretutto fu come una credenziale assoluta per quella Fiorentina, capace di far partita uguale se non mettere sotto per lunghi tratti una corrazzata di fuoriclasse che ormai ragionava soltanto in termini di Coppa dei Campioni.

Insomma, si vinceva e si giocava bene, finalmente. Il vento sembrava soffiarci dietro le spalle. E tuttavia, ancora una volta, prendendo a prestito la frase commemorativa sulla lapide di El Alamein, mancò la fortuna, non il valore.

La fortuna aveva anche quell’anno il conta-giri, e volse definitivamente la schiena alla Fiorentina di Pontello Il 12 febbraio 1984. Ancora Genova, stavolta sponda sampdoriana, sulla strada di Firenze e del suo giocatore più amato e rappresentativo. La Fiorentina giocava al Comunale contro i blucerchiati una delle tante partite travolgenti di quell’anno. Antognoni in quel momento sembrava giocare guardando stelle ancora più lontane di sempre. Segnò subito il vantaggio e poi, sentendosi in stato di grazia, continuò a dare spettacolo avventandosi su ogni pallone minimamente giocabile. Era sempre stato un generoso, come si suol dire. Quel giorno non tirava mai indietro il piede (non lo aveva mai fatto), ma anzi lo metteva avanti ancora di più. Come già altre volte, il destino lo aspettava al varco a chiedergli conto della sua stessa generosità. E questa volta il conto fu salatissimo.

Giancarlo di nuovo a terra, di nuovo mani nei capelli…..

Verso la fine del primo tempo gli capitò la palla giusta al limite dell’area, sembrava fatta apposta per uno dei suoi tiri potenti e precisi che non lasciavano scampo ai portieri. Antonio non stette a pensarci su, non trattenne la gamba come fanno tanti suoi colleghi di adesso, pensando al prossimo contratto, o agli Europei da giocare a giugno, o alla serata in discoteca la sera stessa, o a chissà che altro. Il capitano caricò il destro ed andò a calciare. Il difensore della Samp Luca Pellegrini, preso dal panico, non trovò di meglio che intervenire falciandolo. E senza volerlo né saperlo, mise fine al campionato della Fiorentina e alla carriera di uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi.

Per la seconda volta, il Comunale di Firenze ammutolì ed i cuori smisero di battere all’unisono. Stavolta Giancarlo non rischiava la vita, ma soltanto i sogni suoi e di una intera città. E, con il senno di poi, il prosieguo della sua vita sportiva. Tra i fotogrammi immagazzinati negli archivi cerebrali, i tifosi dell’epoca conservano quell’immagine di lui abbattuto come un cavallo del Palio, che visibilmente sofferente si tiene una gamba che di lì a poco avremmo saputo essere irrimediabilmente spezzata.

Tibia e perone. Come un altro grande come lui quasi dieci anni prima, era una sentenza definitiva. Gigi Riva si era ripreso dal primo infortunio, quello del 1971. Da quello del 1976 non ce la fece. Tornò in campo, ma ormai il tuono non rombava più, e sotto la maglia numero 11 del Cagliari c’era un giocatore qualsiasi. Nessuno lo sapeva quella domenica di febbraio 1984, ma il destino del nostro Unico 10 era lo stesso. Le stelle avevano voltato le spalle a Giancarlo, che dalla frattura alla gamba non si sarebbe ripreso più. Dopo dodici anni, la sua magica storia in maglia viola si concluse praticamente lì, a parte un rientro oltre un anno dopo che non ce lo restituì più alla sua altezza.

Non si riprese nemmeno la Fiorentina, che vinse quella partita 3-0, continuò a giocare bene ma senza crederci più, avvertendo su di sé l’occhio malevolo della sorte. Mestamente scivolò indietro, finendo al terzo posto in un campionato che poteva e doveva essere suo.

Vinse, manco a dirlo, la Juve, nonostante l’avvocato Agnelli si lamentasse ad alta voce che a veder giocare la sua squadra non si divertiva affatto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento