«Io sono Ozymandyas, il re dei re. Se qualcuno vuole sapere quanto grande io sia e dove giaccio, superi qualcuna delle mie imprese»
(scritto sul basamento di una statua di Ramses II del I° secolo avanti Cristo)
Per quanto mettere a confronto i calendari di varie epoche sia un esercizio sempre rischioso, gli storici concordano sulla data del 31 maggio (secondo il calendario attuale cosiddetto gregoriano) come inizio del regno del più grande dei Faraoni dell’Antico Egitto.
Ramses II, nome greco Ozymandyas, fu associato al trono dal padre nel 1287 a.C., ereditò il trono di Horus re dei viventi il 31 maggio appunto dell’anno 1279 a.C. e discese nella sua piramide funeraria nel luglio o nell’agosto del 1212 a. C.. Sulla data della sua morte, al contrario che per la sua nascita, non esiste certezza. In totale dunque i suoi anni di regno furono 75, il che ha spinto gli egittologi a paragonare il suo regno – per durata, potenza e splendore – a quello della Regina Vittoria.
Non esiste certezza assoluta neanche a proposito di uno degli eventi che caratterizzarono il suo lungo regno: la fine della cattività degli Ebrei in Egitto. C’é chi sostiene che essa avvenne durante il regno del figlio Merenptah, chi invece sostiene che fu proprio lui, Ramses, a cercare di impedirla, a costo di scatenare una durissima repressione contro il Popolo che si sentiva Eletto e che era guidato da colui che era stato suo fratello.
Secondo una di quelle leggende infatti che hanno solitamente alla base un fondamento storico, la madre di Ramses raccolse un giorno sulle sponde del Nilo una cesta contenete un bambino in tenerissima età, affidato evidentemente alla sorte da un’altra madre impossibilitata a tenerlo, secondo un uso allora diffuso. La moglie del Faraone non ebbe cuore di rifiutare quel dono che gli Dei le facevano, e adottò il trovatello chiamandolo Mosé, che nella lingua egizia di allora significa salvato dalle acque.
Narra sempre la leggenda, anche se di questa parte non si trova traccia né nella Torah ebraica né in altri documenti, che il piccolo appartenesse ad una delle tribù del popolo che gli Egizi tenevano in schiavitù, utilizzandolo per i lavori edili e di bonifica del delta del Nilo.
Cresciuto insieme al fratello un giorno destinato a diventare il capo del più grande impero del secondo millennio avanti Cristo, Mosé era destinato per parte sua a scoprire le sue vere origini, la sua appartenenza etnica ed il suo posto nella storia. A lui Jeovah, il Dio unico degli Ebrei avrebbe affidato il compito di riportare il suo popolo nella Terra Promessa, la terra di Abramo, Isacco e Giacobbe, che da quest’ultimo si era chiamata Israele.
Ciò mise il fratello contro il fratello. Mosé non poteva sottrarsi al compito affidatogli da Dio. Ramses non poteva abdicare alle prerogative a lui spettanti per il fatto di essere Dio in terra, lasciando che degli schiavi semplicemente se ne andassero. La questione, com’é noto, fu risolta nientemeno che dal Mar Rosso, che si aprì davanti a Mosé e si richiuse all’arrivo di Ramses e del suo esercito.
Su questa vicenda biblica per eccellenza il cinema si è spesso sbizzarrito, dai Dieci Comandamenti di Cecil B. De Mille dove la guida del Popolo Eletto aveva i tratti scolpiti e la mascella volitiva di Charlton Heston mentre il Faraone dell’Esodo era interpretato da Yul Brinner, al Principe d’Egitto, il cartoon prodotto nel 1998 dalla Dreamworks Animation, la casa di produzione specializzata nel cinema di animazione fondata quattro anni prima da Steven Spielberg.
Il Principe d’Egitto fu il secondo film prodotto dalla Dreamworks dopo il successo di Z la formica, e si avvalse di una colonna sonora appositamente realizzata dallo specialista Hans Zimmer, in cui spiccava il tema principale che accompagna i momenti topici del film, a cominciare dal ritrovamento di Mosé sulle sponde del Nilo.
Il brano è Deliver us, impreziosito dalla voce della cantante ebraica Bat-Sheva Ofra Haza-Ashkenazi.
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