Politica

Ein volk ein reich ein Merkel

«Siamo l’unico argine al populismo in Europa», afferma Luigi Di Maio appena nominato leader del Movimento Cinque Stelle e candidato alla prossima presidenza del consiglio italiana. Guardi la foto che circola in rete di Beppe Grillo, il guru superstite del Movimento, con quel suo sorriso tra il diabolico ed il fregnone. Ti accorgi anche che sul web le barzellette sui Cinque Stelle stanno soppiantando quelle sui Carabinieri. Qualche dubbio ti viene.

Il dubbio che in Europa qualcuno effettivamente si accorga, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori dell’informazione, dell’azione antipopulista o di qualsiasi altra vera o presunta azione di M5S è più che lecito. Di Maio, reduce dall’aver assistito alla cerimonia del sangue di San Gennaro, è tornato evidentemente folgorato sulla via di una personale Damasco ed il suo sguardo spazia verso nuovi e sconfinati orizzonti. Realisticamente, ci accontenteremmo se riuscisse ad essere, e a far essere il suo partito più di quanto finora le chiacchiere siano seguite ai fatti, un argine allo sfascismo del PD. Il cui ritorno al governo dopo le prossime elezioni sarebbe probabilmente la soluzione finale per il nostro paese.

Lasciamo stare l’Europa, che sa badare a se stessa anche senza Grillo, Di Maio & C. e lo sta dimostrando. Va finalmente al voto la Germania. L’unico paese oltre l’Inghilterra dove si vota non per decidere qualcosa perché l’Europa ce lo chiede, ma sulla valutazione degli interessi nazionali e non di quelli di casta. Gli altri, Francia compresa, hanno già compiuto il proprio sacrificio al Moloch europeo, salvo pentirsene subito dopo.

La Germania no. La Germania è l’Europa. E può permettersi di chiedere lei qualcosa all’Europa. O di dichiararsene insoddisfatta, come è appena successo. Frau Angela Merkel, dopo il quarto titolo mondiale nel calcio, festeggia il quarto mandato personale che la porta ad eguagliare il suo vecchio mentore Helmut Kohl, l’eroe della riunificazione, e ad accampare un prestigio personale quale non si vedeva dai tempi di Bismarck. Evitando il paragone con il precedente di Adolf Hitler, a suo modo prestigioso anch’egli nel perseguire una qualche forma di unificazione europea, o quello di Konrad Adenauer che dovette impegnarsi a fondo per farlo dimenticare.

Frau Angela in trionfo dunque, imperatrice del Sacro Romano Impero, del Reich che nella sua ultima versione si chiama Unione Europea? A ben vedere, la cancelliera di ferro vince, ma lascia sul terreno buona parte degli strumenti della sua azione politica, la sua filosofia, la sua strategia.

L’idea di fare del continente un lebensraum tedesco, uno spazio vitale non più conquistato con i carri armati ma con le politiche economiche, è tramontata definitivamente domenica sera, alla chiusura dei seggi. La signora vince, ma la CDU scende al 33% e per fare un governo non le basteranno i liberali di FDP (10,7%), ci sarà bisogno del ricorso ai Grüne, i Verdi (9%). Una formazione che storicamente, e non solo in Germania, ha disinvoltamente e spregiudicatamente perseguito – e spesso poi disatteso – qualsiasi alleanza pur di raggiungere il potere. Una koalition non più groβe e dal programma incerto, oseremmo dire infido per la signora Merkel.

La quale dovrà fare i conti con la nuova Germania, quella che entra nel Bundestag con il 13% dei voti, AfD Alternative für Deutschland, il partito che l’Europa di sinistra si affretta a bollare subito come neonazista e che invece è l’ultima alternativa ancora democratica al nazifascismo prossimo venturo, quello che sarà reso inevitabile dal proseguire della mancanza di risposte della politica democratica alle tematiche della recessione economica e dell’immigrazione.

Dovrà fare i conti con quella nuova Germania, soprattutto, che si scopre satura di risorse da accogliere, meno benestante di quanto certa letteratura e certa leggenda vorrebbero far credere, meno disposta a scambiare le proprie conquiste sociali, il proprio welfare state con una solidarietà umanistica che il popolo tedesco – ancor meno di altri – non ha mai sentito nella sua storia. E che adesso, con la recessione Volkswagen, si trova accomunato agli altri europei nel cominciare a detestare.

Addio SPD. La classe operaia vota AfD come in Italia vota la Lega Nord ed in Francia il Front National. La nuova Germania entra nella nuova Europa e non le chiede più di sacrificarsi. Le chiede, o le chiederà tra poco, un fronte comune contro l’immigrazione economica selvaggia, e stavolta l’Europa risponderà, c’é da crederci, con maggiore entusiasmo.

Le prossime elezioni sono in Italia. Il fedele alleato germanico si sta defilando, stavolta l’8 settembre lo fanno loro. Non avremo a primavera un’Europa che ci chiede alcunché, soltanto di fare i conti con le nostre contraddizioni. Tra forze che agitano lo spauracchio del populismo e che attirano le barzellette (o le maledizioni e gli avvisi di garanzia) ed altre che cercano di spiegare – pur ritrovandosi improvvisamente a corto di fondi per decreto del tribunale – che populismo etimologicamente significa soltanto andata al popolo.

Pare di ricordare che quando la democrazia fu inventata il significato fosse appunto quello. Demos significa popolo, anche per chi non ha studiato greco antico.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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