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Emilia-Romagna, si può fare

La candidata del centrodestra alla Regione Emilia-Romagna Lucia Borgonzoni

Di Maio si dimette da capo politico dei Cinque Stelle. Pare che dietro ci sia una strategia, ma intanto di stelle nel firmamento grillino ce ne sono rimaste poche (a meno di voler considerare tali quelle che vede Di Battista nei suoi trip). Non è il primo caso peraltro in cui un segretario si dimette non per la fine del suo mandato politico ma piuttosto per la dissoluzione del suo partito. Stavolta non c’é nemmeno Mani Pulite a cui dare la colpa, tra l’altro, perché le magistrature d’Italia sono tutte con lo sguardo rivolto da un’altra parte. La parte opposta.

Zingaretti riunisce il suo di partiti in convento, e promuove il PD 2.0, o la Cosa 12 come preferite chiamarla (il conto esatto è perso da tempo). «Tenta di nascondere il PD», dice beffarda Giorgia Meloni, ed ha ragione. E’ il primo caso di partito che si vergogna di esporre il proprio simbolo, Bonaccini in Emilia se ne guarda bene, e Giani in Toscana ha già seguito il suo esempio. E’ un simbolo che ormai rischia di funzionare come il celebre francobollo con l’effigie di Fanfani della barzelletta che circolava in Itala nel 1974, l’anno del referendum sul divorzio su cui l’allora segretario DC si giocò la carriera: non andava bene, non si incollava alle buste, la gente ci sputava davanti invece che dietro.

A Conte non gli mettono più nemmeno la sedia quando si fanno le foto di gruppo al termine dei vertici internazionali. Magari non sanno nemmeno che era presente anche lui, non l’hanno invitato. Che lo invitano a fare? L’ultima volta per poco non mette d’accordo le due fazioni libiche acerrime nemiche per dichiarare insieme guerra all’Italia. Donald Trump ormai pensa che porti più sfiga lui di Greta, addirittura, e quando vede Giuseppi per la strada ultimamente cambia la strada. Ma Giuseppi almeno le figure a cappero le fa a titolo personale, un partito lui non ce l’ha, sfrutta quelli degli altri. E quando il suo bis sarà arrivato alla frutta e gli sarà presentato il conto, tornerà a lavorare (si fa per dire) come tutti, esclusi ovviamente quelli a cui anche lui avrà contribuito a far perdere il lavoro.

Poi c’é Renzi, che ormai va sempre trattato come un caso a parte. Chiede l’abolizione del reddito di cittadinanza e il giorno dopo vota per rifinanziarlo di otto miliardi. Chiede che Salvini sia processato e ritira dalla commissione i suoi parlamentari perché non votino per il rinvio a giudizio. Salvo poi attaccare Salvini perché usa la giustizia a fini di propaganda, mica come i suoi congiunti che la usano per i fini previsti dall’ordinamento, cioé quelli dei normali indagati per falso in bilancio e frode fiscale. Ah, già, ma lui sta facendo tutto perché non aumenti l’I.V.A. meglio prendersela in effetti con il reddito imponibile, così non si fomenta l’inflazione. Lo zero è zero, e zero rimane.

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Abbiamo finito? No, c’é Gentiloni che accusa Salvini di avere «indebolito il ruolo dell’Italia in Libia» (ma perché tra tante altre cose il governo non tassa gli alcoolici?), e c’é Mattia Santori che denuncia l’odio ed il linguaggio offensivo che dilagano sui social network. Già, peccato che le sue sardine abbiano appena finito di sommergere Sinisa Mihajlovic (reo di aver dichiarato le proprie simpatie per Salvini e la Lega) di una tale sequela di insulti che a confronto Gasperini a Firenze è stato apostrofato con lo stesso rispetto con cui di solito ci si rivolge al Papa.

E’ un mondo strano, più che difficile. E’ il mondo che domenica si gioca tutto nelle elezioni per i governo regionale dell’Emilia-Romagna (c’é anche la Calabria, ma lì pare che i giallorossi abbiano già perso prima di giocare, un po’ come vorrebbe il Santori a Bologna, a parti invertite), ed è probabilmente il match decisivo per la salvezza. Di chi? Del governo del presidente, che ha un bel dire che non cambierà nulla comunque vada, e di tutto l’ambaradan che gli sta dietro, dagli europeisti agli accoglienti (a 35 euro al giorno, come chiedono che si torni a dare pro capite di migrante), ai rigoristi con le partite IVA degli altri, ai redditieri di cittadinanza e del chi ha avuto ha avuto.

Normalmente, a ridosso di una tornata elettorale come questa sarebbe d’obbligo osservare prudenza e scaramanzia almeno fino ai primi exit poll di domenica sera. Ma in questo caso l’aspettativa è tale che lo sbilanciamento è irresistibile, inevitabile. Dice Salvini: «Di campagne elettorali ne ho fatte tante, ci si rende conto quando si va a perdere o invece a vincere, e questa volta si vince».

Rincara Giorgia Meloni: «Il problema di un partito che governa un posto da sempre è che ad un certo punto non si pone più il problema di farlo, e di farlo bene». Come dire, non c’é da meravigliarsi se il PD perde malamente perfino nella regione che era il suo orgoglio amministrativo e la sua cassaforte (in tutti i sensi, cit.).

FrankensteinJunior200123-001E’ una bottega prossima alla chiusura, come quelle che hanno chiuso da tempo a causa sua. I post-comunisti sono i primi a mostrare nervosismo, sentendosi arrivare sulla faccia un ceffone di cui dovrebbero avere ancora il segno sul viso l’anno prossimo quando – a spese nostre – intenderanno festeggiare il loro centenario.

Si. Con questi avversari, giustizia ad orologio o no, si può fare. Poi come riserva indiana per i superstiti della tribù di Nuvola Giallorossa resterà solo la Toscana.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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