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Il confine

La prima volta fu colpa nostra. La Francia stava ripiegando su se stessa sotto i colpi mortali della Wehrmacht di Hitler. Parte del suo esercito era a Dunkerque in disperata attesa di imbarcarsi per l’Inghilterra. L’altra parte, sopravvissuta all’aggiramento della Linea Maginot, ripiegava su Vichy. Le poche forze di frontiera rimaste al confine italiano furono però sufficienti a rendere più facile a dirsi che a farsi l’intenzione di Mussolini di gettare qualche morto sul tavolo della pace, per rivendicare pretese territoriali ai danni della vicina sconfitta.

DichiarazioneGuerra181021-001Le fucilate con cui i francesi fermarono il Regio Esercito che sconfinò verso Nizza il 10 giugno 1940, a seguito di una dichiarazione di guerra che ai più (nonostante il consenso popolare di cui beneficiava in quel momento il regime fascista) parve inutile e vigliacca, furono a loro volta fermate dal diktat dei tedeschi. Per tre anni furono azzerati oltre due secoli di storia, in cambio del ritorno all’Italia di Nizza, Savoia e Corsica, le prime due cedute ai cugini d’Oltralpe durante il Risorgimento, la terza ai tempi della Repubblica di Genova. L’8 settembre riportò le cose come stavano prima delle ostilità, con l’Italia a sua volta ridotta ad un campo di battaglia e le truppe Francesi Libere che si prendevano le loro rivincite e vendette su e giù per la penisola.

Charles de Gaulle sotto l'Arc du Triomphe a Parigi

Charles de Gaulle sotto l’Arc du Triomphe a Parigi

Per tutto il successivo dopoguerra, tra francesi e italiani le cose hanno stentato a ritornare come prima. Le pugnalate alle spalle lasciano strascichi inevitabili. Per i cugini transalpini il giudizio sul nostro paese è rimasto in sostanza quello sprezzante e lapidario del loro eroe di guerra Charles De Gaulle: «l’Italia non è un paese povero, ma piuttosto un povero paese». Un paese povero solo di moralità, oscillante tra l’arte di arrangiarsi ed il fascismo, entrambi brevettati da noi nel corso della nostra lunga e controversa storia. Un paese bello quanto si vuole, ma abitato da un popolo di cui è difficile avere stima.

Per noi, d’altro canto, Francia significa qualcosa di ambivalente. Da un lato l’ammirazione per il Secolo dei Lumi, la Grande Rivoluzione, la tendenza generale a farsi giustizia da sé come popolo, a salire sulle barricate ogni volta che il loro governo a torto o a ragione acquista i connotati della tirannia. Dall’altro la rabbia e l’invidia per un ruolo internazionale, una grandeur, che noi non abbiamo da tempo immemorabile e che loro hanno mantenuto fino ad oggi nonostante una guerra persa, o almeno sostanzialmente non più vinta di quanto lo sia stata la nostra. Il seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il colonialismo mascherato da post-colonialismo, la politica di potenza in Europa mascherata da integrazione europea e mitigata solo da quella continua ricerca dell’intesa con la Germania che deriva dal trauma insanabile provocato da quella Linea Maginot aggirata con irrisoria facilità nella primavera del 1940.

I rapporti attuali tra due paesi che confinano più di quanto a volte vorrebbero, si spiegano essenzialmente così, alla luce della storia contemporanea. Finito il periodo romantico del Risorgimento, Francia e Italia si sono regolarmente tolte aria e spazio a vicenda. I francesi hanno reagito come sanno, cercando di imporre un loro imperialismo culturale prima ancora che politico. Gli italiani dal canto loro hanno reagito con lamentele, arrabbiature, occasionali vendette e ripicche tutte fine a se stesse.

Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman

Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman

La Comunità Europea nata nel 1957 e diventata Unione Europea nel 1992 è nata per ingabbiare tutte le tensioni rimaste latenti – e a volte emergenti, come accadde nelle estati del 1914 e del 1939 – tra i paesi europei. E’ nata per iniziativa di tre leader di paesi sconfitti, l’italiano Alcide De Gasperi, il tedesco Konrad Adenauer, il lorenese naturalizzato francese Robert Schuman. In questa congrega, noi italiani siamo stati sempre il partner debole, il socio di minoranza, quello che subisce, il vaso di coccio tra vasi di ferro.

La Germania è stata il modello economico da seguire per forza, e nel frattempo la valvola di sfogo per i nostri emigranti in cerca di lavoro, un lavoro che qui non trovavano non solo per nostre colpe strutturali ma anche perché siamo stati spesso costretti a seguire modelli economici sostanzialmente altrui.

La Francia invece ha continuato ad essere il vicino con cui fare a gomitate, per l’approvvigionamento di risorse, per il posto al sole, per la quarta sponda (che non è mai passata di moda, anche se adesso si chiama cooperazione internazionale e solidarismo umanitario).

La celebre risata di Merkel e Sarkozy sul governo italiano

La celebre risata di Merkel e Sarkozy sul governo italiano

I rapporti tra le nazioni sono condizionati dalla forza e dal peso di un popolo, economicamente e politicamente, e dalla forza e dal peso specifico del relativo governo. Negli ultimi vent’anni, lo scenario per l’Italia si è complicato ulteriormente. L’Unione Europea è diventata matrigna, una matrigna che tiene gelosamente chiusa la dispensa e ben nascoste le chiavi. Una matrigna che parla tedesco e francese, le due lingue ufficiali di quello che a volte è sembrato un nuovo Reich. La Francia in questo contesto ha sviluppato una crescita esponenziale di aggressività, contando anche sul fatto che il vicino sul confine meridionale ultimamente ha offerto un fianco ancora più morbido alle sue gomitate. L’Italia, il fianco morbido, è stata governata peraltro dalla fine della Guerra Fredda da governi che hanno perseguito soprattutto interessi di casta, per curare i quali hanno sacrificato spesso e volentieri – per non dire regolarmente – quelli nazionali.

E così, il Mar Ligure è diventato un lago francese, la macchia di petrolio che fuoriesce da una nave al largo di Capraia interessa acque territoriali francesi e non più italiane, perché quelle acque sono state vendute dal governo Gentiloni, così come il governo Cavour vendette Nizza e la Savoia (ma almeno in cambio di ben altro).

Italia in ginocchio, Napolitano incarica Monti, "il più bel giorno della mia vita".

Italia in ginocchio, Napolitano incarica Monti, “il più bel giorno della mia vita”.

Anche il governo italiano stesso stava diventando un protettorato francese, da quando una telefonata del presidente transalpino Nicolas Sarkozy al presidente italiano Giorgio Napolitano chiese e ottenne la rimozione del legittimo esecutivo votato dagli elettori e presieduto da Silvio Berlusconi con quello costruito in laboratorio e presieduto da Mario Monti, un oscuro burocrate che si dichiarò prontissimo a prestarsi all’opera che era già stata di Pietro Badoglio, di Philippe Petain e di Vidkun Quisling, per citare tre dei più noti fantocci insediati come governanti in casa altrui da potenze straniere egemoni.

Gendarmerie francese a Bardonecchia

Gendarmerie francese a Bardonecchia

Recentemente la nouvelle vague della sovranità italiana azzerata e di quella francese smodata ha poi visto affermarsi la consuetudine della gendarmerie di sconfinare dalla nostra parte per gestire (con metodi da Legione Straniera evidentemente congeniali ai nostri cugini) la scottante questione dei migranti. Quella per cui la Francia nega adesso di essere mai passata da Schengen: da Ventimiglia di sicuro non passa nessuno e sul suolo francese non circola nessuno, a meno che non sia funzionale alla estemporanea politica migratoria di Parigi dai tempi della questione d’Algeria ad oggi, o alla vittoria nel campionato mondiale di calcio.

Gendarmerie francese a Claviere

Gendarmerie francese a Claviere

Da Ventimiglia non passa nessuno, ma a Bardonecchia i gendarmi francesi inseguono i non governativi che organizzano il traffico di africani, e non contenti si fanno beccare a Claviere mentre depositano, dalla nostra parte di un confine che quando fa comodo non dovrebbe esistere più, altri africani che evidentemente non rientrano nella loro raccolta differenziata. Le giustificazioni dell’incidente – che magari fosse solo diplomatico – parlano di strade sbagliate e inesperienza dei poliziotti francesi.

La Francia non sai mai se ti prende in giro o fa da tonta. Ci riesce benissimo in entrambi i casi. I nostri cugini, o presunti tali, non producono più un Voltaire o un Rousseau da diverso tempo, e nemmeno un De Gaulle, se è per questo. E’ anche vero che improvvisamente dalla nostra parte non ci sono più Monti e Gentiloni, e le prese di posizione nostrane si sono fatte più intransigenti e scomode per i francesi che si stavano riabituando a scendere nella nostra penisola come ai tempi di Carlo VIII.

SalviniMoscovici181021-001

Anche le risposte italiane assomigliano più a ceffoni restituiti che a signorsì, a giudicare da quella che ancora pochi giorni fa Matteo Salvini ha dato a Pierre Moscovici. Non c’é niente di peggio di un francese che fa finta di essere europeista. «Siete razzisti e inaffidabili, sono scioccato», dice il commissario UE che cerca la rissa con il Ministro dell’Interno italiano fin dall’indomani della sua nomina. «Stai zitto, sconfinatore», ha buon gioco a rispondergli quel Ministro.

Louis De Funes

Louis De Funes

Adesso, il richiamo dell’ambasciatore da parte di un presidente francese ormai assediato all’Eliseo dai Gilets Jaunes, ai quali i nostri 5 Stelle sono andati ad esprimere tutta la loro simpatia, Di Maio in testa. A Macron, che non sa come cavarne le gambe, sono saltati i nervi, o è parso utile far sembrare che così sia.  «Intollerabili ingerenze italiane» è la motivazione addotta da un paese che senza l’ingerenza in casa altrui non concepisce solitamente alcuna relazione diplomatica di sorta. Nel 1940, l’ambasciatore francese non tornò. Stavolta almeno potremmo dire che non è colpa nostra, o che perlomeno non abbiamo pugnalato alla schiena nessuno.

Non c’é che dire, se i rapporti tra Roma e Parigi erano difficili ai tempi di De Gaulle, lo sono ancora di più ai tempi di Macron. Ci sarà tanto da ricostruire tra i due paesi, quando il fumo delle macerie di questa Europa matrigna si sarà depositato.

E Mattarella? Lui tace, ed è già una notizia. Non prende più telefonate, come il suo predecessore (o almeno, non ci risulta). Ma tace, anche se fa sapere di essere preoccupato. E ci crediamo. La dignità nazionale non é mai stata merce per democristiani. E i francesi, tra l’altro, lo sanno.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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