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Il Joker e la Democrazia Giallo-Cristiana

Va in scena l’orgoglio pentastellato. Dieci anni dopo il celebre invito di Fassino, il Movimento si ritrova per spegnere candeline a cui non credeva nessuno e per fare scena di se stesso, più che il bilancio della propria controversa attività.

I Cinque Stelle scelgono come palcoscenico Napoli, e la vecchia capitale del regno delle Due Sicilie non è una location casuale, in quanto attualmente esso coincide (o coincideva) più o meno con la zona elettorale di consenso per il movimento grillino, e la città è anche uno dei capoluoghi dei percettori del reddito di cittadinanza, forse l’unica grande innovazione portata a casa dal Movimento che doveva mandare a quel paese la vecchia politica, rivoltare il nostro di paesi da cima a fondo ed aprire le sue vecchie istituzioni come scatolette di tonno.

Fa gli onori di casa Luigi Di Maio, non solo per motivi anagrafici. Il capo politico riconfermato non senza vari dissidi interni e mal di pancia (non ancora misurati, si attendono a tale scopo le prossime tornate elettorali) si inorgoglisce di guidare un Movimento che a suo dire governerà i prossimi dieci anni, e sarà l’ago della bilancia della politica italiana per altrettanto tempo.

Di Maio ha evidentemente a disposizione sondaggisti che gli altri partiti non hanno, perché le proiezioni pentastellate per il prossimo futuro non sembrano autorizzare questo ottimismo, a cominciare dalle prossime regionali in Umbria. Né dovrebbe bastare a tanto la controversa alleanza con il «partito di Bibbiano», il PD che fino a ieri era destinato al vaffa perpetuo e adesso si porta con sé a braccetto anche chi ce lo mandava un giorno sì e quell’altro pure.

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Più inquietanti le profezie di Di Maio (che magari si basano su prossime riforme costituzionali e di legge elettorale allo studio del governo Bis-Conte e di cui noi comuni cittadini mortali siamo all’oscuro?) o le comparsate estemporanee del Padre Fondatore? Beppe Grillo appare in video truccato da Joker. «Io sono il caos», sogghigna rivolto alla platea ed al paese. Ed entrambi ci credono senza difficoltà.

«È inutile pensare che abbiamo la stessa identità di dieci anni fa, non è così, siamo diversi, diversi dentro», declama l’esistenzialista Grillo. Non sai se credergli o no. Non sai soprattutto se credergli o non credergli fa lo stesso.

L’uomo che pubblicizzava gli yogurth dieci anni dopo può vantarsi di aver trasformato tutta la politica italiana in uno yogurth abbondantemente scaduto. In un paese dove si cambiano governi dall’oggi al domani (con uno stile che perfino nel padre del trasformismo Depretis avrebbe forse destato raccapriccio) per sterilizzare l’IVA e allontanare dalle leve del potere pericolosi sovversivi come Salvini (!), il Grillo che minaccia o schernisce Gotham City senza che questa abbia più Batman o altri supereroi a cui ricorrere è indubbiamente inquietante.

Lui sì che spinge ad un bilancio complessivo, altro che la rediviva Democrazia Cristiana in salsa Masaniello auspicata dal Di Maio che vorrebbe tanto – più o meno inconsciamente – accreditarsi come epigono dei Lauro e dei Gava. Un non segretario di un non partito che persegue una non ideologia attuando un non programma con il sostegno di un non popolo.

No, è Grillo stesso il lato oscuro della rivoluzione (si fa per dire) grillina. Lo era dieci anni fa, lo è più che mai adesso. E ci spinge a rispolverare le vecchie critiche che gli facevamo ai suoi esordi politici, da queste colonne. Un partito di casinisti può avere tutte le ragioni che vuole (ed alla base ne aveva, e ne ha), ma alla fine provoca sempre e soltanto casino. E un comico, alla base, resta sempre un comico.

A volergli trovare un padre nobile (sperando che eredi ed estimatori non ci querelino per l’oltraggioso accostamento), Grillo aspirava ed aspira ad essere il D’Annunzio della situazione. Con buona pace del Ministro dell’Incultura Franceschini, fu proprio D’Annunzio ad aprire la strada a Mussolini. Il paragone con il 1922 finisce qui, ma è sufficiente nella sostanza a suscitare un brivido di inquietudine nelle nostre schiene di cittadini che ancora aspettano di poter dire la loro con il voto, prima che il Joker abba fatto – o fatto fare – troppi danni.

Piedigrotta a 5 stelle.....

Piedigrotta a 5 stelle…..

Quel vecchio buffone truccato malamente da villain di fumetti d’altri tempi di per sé apre la strada soltanto ad ulteriore ridicolo, più di quanto questo governo Bis-Conte ci abbia già fatto vedere. Ma non dimentichiamoci di Fassino e non incorriamo nello stesso errore. Di buffoni questo soggetto ne raccoglie attorno a sé diversi, e come un incantatore di serpenti attrae dietro di sé plebi sconclusionate quanto si vuole ma che un qualche ago su quella benedetta stadera che è la nostra povera democrazia (che qualcuno si ostina a chiamare, per proprio interesse, parlamentare) potrebbero continuare ad appoggiarcelo. Magari premendo con tutto il dito, come certi bottegai poco onesti di una volta.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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