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Il Midterm sorride a Donald Trump

WASHINGTON – Mentre la notte si distende sulle grandi pianure americane raggiungendo la costa del Pacifico e imponendo l’ora di chiusura anche ai seggi degli Stati che su di esso si affacciano e su questo Midterm Election Day 2018 atteso dai democratici di tutto il mondo come un evento epocale, un Armageddon, a poche schede dalla fine dello scrutinio si delinea il solito risultato dello shakespeariano molto rumore per nulla.

Le elezioni di mezzo termine in America sono un evento del tutto singolare, con le due Camere che si rinnovano a spicchi e in date sfalsate rispetto a quella dell’elezione del Presidente. Singolare, ma fondamentale per l’attuazione di quel sistema di balance of powers descritto da Montesquieu e Tocqueville già due secoli fa. Di norma (non scritta, ma opportunamente sentita dal popolo americano), chi vince la Casa Bianca due anni dopo perde almeno una delle due Houses, in modo che un potere enorme non finisca mai concentrato nelle stesse mani.

E’ la Democrazia in America, era un evento in qualche modo atteso anche da chi non aveva fini di parte. E’ anche un evento che in termini pratici se sposta qualcosa paradossalmente lo fa in favore di Donald Trump, che non a caso ha parlato a caldo di «successo eccezionale» per sé e per i repubblicani.

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A poche ore dalla proclamazione dei risultati, infatti, a Capitol Hill il Great Old Party – nel quale si affermano principalmente i candidati locali voluti dal Presidente – mantiene, anzi rafforza il Senato, e non è una cosa da poco visto che la Camera che rappresenta paritariamente i singoli Stati ha poteri particolari di veto in materia di bilancio e di spesa pubblica. Sfuma definitivamente inoltre il sogno dei Democrats di arrivare ad un impeachment presidenziale, per l’attivazione del quale è richiesta una maggioranza talmente qualificata da implicare in pratica il controllo delle due Camere.

La Camera dei Rappresentanti, invece, torna a maggioranza democratica dopo otto anni (non a caso dopo il Midterm della prima presidenza Obama in cui il sistema del bilanciamento dei poteri funzionò a vantaggio dei repubblicani). Ma lo fa con una percentuale ben lontana da quell’Onda Blu evocata in campagna elettorale da Nancy Pelosi e dagli altri esponenti del Partito dell’Asinello. Dopo 411 seggi scrutinati su 435, il rapporto sta 50 a 45% circa. I Democratici dovranno accontentarsi di rendere la vita un po’ più difficile a Donald Trump di quanto non lo sia stata (almeno sul piano istituzionale) nei primi due anni della sua presidenza.

Si dovrebbe ritornare a giocare secondo gli schemi tradizionali, nei corridoi del potere e delle lobbies di Washington, mentre un Presidente che in due anni ha abbassato la disoccupazione al 3% circa, ha alzato i salari come non si vedeva dagli anni 70 e governa un’economia che va come un treno nel bel mezzo di un pianeta che ancora cammina a piedi e si pesta i lacci delle scarpe, potrà continuare la sua azione che risponde ad esigenze profonde del popolo americano. Il quale l’ha fatto capire anche ieri dando attendibili indicazioni anche sulla corsa alla Casa Bianca del 2020. Con buona pace della sig.ra Pelosi e di chi continua a privilegiare battaglie di bandiera e presunti diritti di minoranze suscettibili di coartare regolarmente quelli della maggioranza. O di chi aveva incrinato il tradizionale fair play della politica statunitense ed anglosassone non accettando il risultato del 2016 e scatenando una battaglia senza quartiere sui media e nelle aule di giustizia. Il Terzo e Quarto Potere che in spregio a Tocqueville e compagnia bella avevano finito per concentrarsi nelle mani di esponenti e simpatizzanti del Partito Democratico.

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Nella foto, la mappa del voto popolare

Donald Trump porta dunque a casa un risultato sostanziale ed importante. E chi lo osserva dalle sponde europee stamattina deve confrontarsi con la realtà di fatto che il cambiamento avviato due anni fa dalla sua vittoria e prima ancora dalla Brexit non può essere più fermato, almeno giocando secondo le regole plurisecolari della democrazia.

Ad ogni consultazione elettorale statunitense siamo soliti scrivere e intitolare: L’America volta pagina. E’ perché bene o male lo fa sempre. L’ha fatto anche stavolta, anzi no. Ciò che conta è che le pagine sono fatte per essere voltate. L’importante è il libro che si legge, o su cui si scrive. Senza andare a scomodare Alexis de Tocqueville.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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