Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 2. Primi sconforti, prime vittorie

La storica rovesciata di Carlo Parola sotto gli occhi di Egisto Pandolfini

Nella foto: la storica rovesciata dello juventino Carlo Parola sotto gli occhi di Egisto Pandolfini

L’originaria maglia biancorossa diventò ben presto una maglia viola. Narra la leggenda che il magazziniere della squadra verso la fine degli anni Venti sbagliasse candeggio, ed il bianco ed il rosso del Comune si stemperassero in quel colore che, dopo la perplessità iniziale, sarebbe stato mantenuto con convinzione e crescente affetto, fino a diventare nel tempo il vero colore di Firenze.

In quei primi anni pionieristici e ruggenti, si delineò subito un’altra di quelle che sarebbero state le caratteristiche della fiorentinità in ambito calcistico: lo speciale feeling con i punteros ed i caudillos provenienti dal Sudamerica.

C’è un giglio viola piantato laggiù tra il Paranà e il Rio de la Plata, e fu piantato allora, negli anni trenta. Quanti sono stati da allora i campioni che hanno attraversato l’Oceano per venire a indossare la casacca viola? Il primo fu un uruguayano di origini lucane, Pedro Petrone detto el artillero. Campione del mondo con l’Uruguay nella prima edizione della Coppa Rimet, disputata nel 1930 nel suo paese, arrivò a Firenze l’anno dopo dal Nacional di Montevideo.

Pedro Petrone detto el artillero

Costato 30.000 lire, ne prendeva 2.000 mensili di ingaggio (era l’epoca in cui si cantava se potessi avere 1.000 lire al mese). Arrivò senza scarpe da calcio, per trovargliene un paio che gli andassero bene, il marchese Ridolfi mandò i suoi emissari fino a Bologna. Quando le trovò, l’artillero cominciò a segnare all’altezza della sua fama. Il suo primo gol viola (1-0 all’Admira Vienna) fu anche quello che, come detto, inaugurò lo Stadio Giovanni Berta costruito da Luigi Nervi nel 1931.

Capocannoniere nel 1931-32 assieme ad Angelo Schiavio del Bologna (destinato a succedergli come campione del mondo con la nazionale azzurra di Vittorio Pozzo nel 1934), non si ripetè l’anno dopo perché l’allenatore Felsner lo spostò da centravanti ad ala destra. Petrone non gradì, il marchese Ridolfi dette ragione al tecnico e lo multò (sempre 2.000 lire). Pedro fuggì nella notte lasciando Firenze per fare ritorno al suo Nacional, dove segnò 30 gol nel campionato successivo.

Nel 1934 ebbe una botta di nostalgia improvvisa, e si ripresentò a Firenze, ma la sua carriera viola ormai era conclusa. Petrone, morto nel 1964, sarebbe rimasto sempre legato a Firenze tanto da chiamare Fiorentina una scuderia di cavalli da corsa da lui creata a Montevideo. Il suo posto fu preso nel cuore dei tifosi dal connazionale Carlos Gringa, anche lui campione del mondo del 1930, che dal 1932 al 1936 come ala sinistra segnò 22 reti in 98 partite. A differenza dell’artillero, Gringa rimase a vivere a Firenze dove sarebbe morto nel 1984.

Nel frattempo, per la neonata Fiorentina gli scontri al vertice avevano riservato poche soddisfazioni. Quando aveva affrontato per la prima volta la Juventus, questa era già uno squadrone abituato a dominare. Non fa piacere rievocare il risultato di quel primo incontro: 11-0 per i bianconeri, e c’è caso che già allora qualcuno dei nostri nonni o bisnonni cominciasse a provare per i rivali qualcosa che almeno a livello embrionale assomigliasse ad una cordiale antipatia. Che negli anni successivi avrebbe progressivamente perso la cordialità.

Ferruccio Valcareggi

Negli anni Trenta la squadra bianconera, nel frattempo gratificata degli epiteti di zebra, Vecchia Signora, o Gobba (con autocompiacimento tipico dei piemontesi, che non capiscono mai dove finisce la propria prosopopea e dove comincia la presa in giro da parte degli altri) stabilì un record vincendo cinque scudetti consecutivi. In quegli anni, la Fiorentina del nobile, eroico ma economicamente non troppo dotato Ridolfi trovò anche modo di fare conoscenza per la prima volta con la serie B.

Ma fu proprio in quell’ora di sconforto che si posero le basi per quelle successive di vittoria. Dopo il pronto ritorno in Serie A, la Fiorentina cominciò a farsi valere proprio nell’Italia disastrata dalla Guerra Mondiale. E siccome a Torino la domenica (e gli altri giorni) il calcio stava lasciando il posto alle bombe alleate come passatempo, le sorti cominciarono quantomeno a riequilibrarsi.

Il 19 gennaio 1941, i viola conquistarono il primo storico successo nella lunga serie degli scontri con colei che sarebbe diventata la loro più acerrima rivale. Due storici successi per la verità, all’andata e al ritorno. A Torino la sfida tra gli juventini guidati da Gabetto e dall’albanese Lustha e i viola Griffanti, Menti e Valcareggi si concluse con questi ultimi che espugnarono il capoluogo piemontese con uno storico 3 a 2. Il successo fu bissato al ritorno a Firenze con una vittoria dilagante per 5 a 0.

Sulla scena di un’Italia che si stava pian piano risollevando negli anni successivi all’ultimo grande conflitto mondiale, si riprendeva a correre veloci sull’erba verde degli stadi. Non eravamo più campioni del mondo, ma il nostro calcio tornava a decollare faticosamente grazie a una squadra da leggenda, che ha avuto pochi uguali nei decenni successivi: il Grande Torino. Un paese in ginocchio ritrovò orgoglio e speranza nelle imprese di Valentino Mazzola & C. Sentimenti che la tragedia di Superga non riuscì a spezzare. E che passarono per osmosi in tutto il calcio e la società italiani.

Passato nella leggenda il Grande Torino, fu poi negli anni ’50 che cominciarono a prendere forma le battaglie più avvincenti ed emozionanti tra le due ex capitali d’Italia. Anni che videro una Juve di nuovo fortissima, ma che furono degni di essere ricordati anche per la Fiorentina che fece dei vari Cervato, Chiappella e Pandolfini i suoi alfieri. Fino a che non arrivò la prima gioia.

Egisto Pandolfini

(continua)

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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