Politica

Siamo tutti troll, in libertà vigilata

La decisione della Procura della Repubblica di Roma di aprire un fascicolo d’indagine sugli attacchi al presidente della repubblica avvenuti sul web nella notte tra il 27 ed il 28 maggio (quella, per intenderci, in cui Mattarella riscrisse la Costituzione italiana mettendo il veto alla nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia) è uno dei fatti più gravi occorsi nella storia giudiziaria di questo paese. Probabilmente il più grave in assoluto del dopoguerra.

Grave perché individua, a carico di un imputato che altri non è che il popolo sovrano, due fattispecie di reato fino a prova contraria non previste dalla nostra Costituzione, e neanche – se vogliamo dirla tutta – dal buon senso.

L’attentato alla libertà del presidente della repubblica non esiste, su Twitter quella fatidica notte il popolo del web – vedendo in corso un attentato alle proprie prerogative esercitate il precedente 4 marzo nell’urna eletttorale – insorse chiedendo (almeno per una parte consistente che comunque va ben oltre i 400 account incriminati dai magistrati capitolini) le dimissioni o la messa in stato di accusa di Mattarella.

Se si può discutere a proposito delle prerogative del presidente della repubblica nella fattispecie (a parere di chi scrive inesistenti a norma del dettato costituzionale, con buona pace dei baroni del diritto universitario che si affrettarono ad accorrere in sostegno di chi non ne aveva bisogno né titolo, il presidente appunto), è – o almeno credevamo che fosse – assolutamente fuori discussione il diritto del popolo di un paese che si definisce democratico di mettere in discussione le proprie istituzioni.

twitter180807-001Il pretendere di ricondurre questa messa in discussione all’azione dei fantomatici hacker russi (i cosiddetti troll, che sono diventati un po’ come i terroristi degli anni 70 e si beccano la colpa di tutto, tra un po’ anche dei cambiamenti climatici) non è un atto dovuto, è un atto ridicolo. E offensivo nei confronti della nazione, che è capace – e nel pieno diritto – di chiedere le dimissioni e/o la messa in stato di accusa del proprio capo dello Stato ogniqualvolta lo ritenga opportuno. In sintesi, Mattarella non aveva nessun diritto di mettere il veto a Savona, esponente del partito di maggioranza uscito dalle elezioni; il popolo invece aveva tutti i diritti di incazzarsi, ci si perdoni il latinismo, e pazienza semmai se qualcuno nella circostanza ha dimenticato il Galateo.

La seconda fattispecie sarebbe l’offesa all’onore ed al prestigio del presidente della repubblica. Come insegnavano a noi ragazzi di una volta (a scuola, sotto le armi, in qualunque istituzione che avesse anche finalità educative dei futuri cittadini) onore e prestigio ci si conquistano con il comportamento, non con l’investitura ad una carica, con i gradi. Ipotizzare una siffatta lesione sempre a parere di chi scrive equivale piuttosto all’ennesimo tentativo di reintrodurre in Italia il reato di opinione. Il che a sua volta equivale ad una sospensione delle garanzie costituzionali per i cittadini come nemmeno il PD da Napolitano a Renzi passando per Boldrini ha mai osato tentare negli ultimi anni.

Se io chiedo sui social networks (perché i partiti in parlamento intendano) la messa in stato d’accusa di un capo dello Stato che secondo me si è messo fuori dalla legge, o quantomeno ha pericolosamente camminato sul sottile confine che divide la legge dal proprio personale arbitrio, io faccio un qualcosa che è nel mio pieno diritto di cittadino italiano. Se qualcuno si arroga il potere di zittirmi liquidando la mia azione come frutto di hackeraggio da parte di una potenza straniera, fa qualcosa di altrettanto illegale (e francamente odioso, intollerabile) rispetto a quella onorabilità che pretende di difendere.

Magistratura ad orologeria e magistratura politicizzata sono due degli slogan, che purtroppo hanno trovato fondamento spesso e volentieri nell’attualità degli ultimi decenni, con cui il centrodestra ha spesso valutato l’operato della classe a cui la Costituzione ha affidato la gestione del Terzo potere, quello Giudiziario. Il centrosinistra, da Mani Pulite in poi, più che altro si è adeguato, et pour cause.

SergioMattarella180807-001Siamo il paese in cui si va in galera sulla base di un teorema, anche se non supportato da riscontri e prove, e questo vale sia per un generale dei Carabinieri che ha combattuto la Mafia come per un Ignoto qualsiasi che si è trovato a passare con il proprio furgone dalla strana sbagliata nella sera sbagliata. Siamo il paese dove la solidarietà ad un medico la cui foto finisce sul web ritoccata come quella di Aldo Moro nel covo delle BR si spreca (anche perché dietro questa solidarietà ci sono interessi economici pro-vax spaventosi), ma alle centinaia di persone a cui quel medico dal modo di fare arrogante, presuntuoso, poco scientifico e molto rissaiolo ha dedicato e dedica da anni trattamenti, epiteti e insulti ben peggiori nessuno dedica una parola.

Non ci aspettiamo francamente più niente da un sistema giudiziario che tollera tutto questo e anche di peggio, compreso il vilipendio quotidiano, costante di un governo legittimamente eletto mentre al precedente non poteva essere rivolta una mezza critica come nemmeno ai tempi della monarchia sotto lo Statuto Albertino. Un sistema che prtoegge i Saviano e i Damilano e non lascia invece scampo al cittadino che si mette in urto con chi gestisce il potere, tanto più chiedendone la messa in mora.

Ma perlomeno, ci sia risparmiato l’estremo oltraggio di essere scambiati per troll russi quando invece siamo semplici cittadini che chiedono che i rappresentanti delle proprie istituzioni – che hanno giurato tra l’altro di difendere – si comportino un po’ meglio.

A far meglio di Sergio Mattarella o della Procura della Repubblica di Roma, crediamo peraltro che a questo punto ci voglia assai poco.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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