Musica

American pie

Il 3 febbraio 1959 un aereo da trasporto privato si schiantò in un campo di grano nei pressi di Clear Lake, nello Iowa. Morirono tutti sul colpo, equipaggio e passeggeri, e l’identità di questi ultimi era una notizia nella notizia. A bordo del Beechcraft Bonanza che aveva sfidato, perdendo, le pessime condizioni metereologiche c’erano alcune promesse del nuovo verbo musicale, il rock and roll. Buddy Holly, Richie Valens (quello della Bamba) e J.P. Richardson detto The big bopper (letteralmente, il grande ballerino del nuovo ballo lanciato da Ray Coniff, The Bop) erano a quel punto per la verità qualcosa di più di promesse, avendo già raggiunto una notorietà che stavano appunto tentando di consolidare con un lungo tour del Midwest in quello scorcio di inverno del 1959.

Il resti del Beechcraft Bonanza a Clear Field

Il resti del Beechcraft Bonanza a Clear Lake

Il giorno dopo, la notizia era su tutti i giornali ovviamente. Quella mattina, un ragazzo di quattordici anni che come molti connazionali suoi coetanei stava impacchettando i giornali per la consegna mattutina a domicilio rimase fulminato dalla notizia in prima pagina. Buddy Holly era il suo idolo, per lui quel giorno passò alla sua storia personale come il giorno in cui morì la musica.

Si chiamava Don McLean, sognava una carriera di musicista sulle orme dei suoi idoli scomparsi in un campo dello Iowa, e dodici anni dopo sarebbe finalmente riuscito a liberarsi del magone che per sua stessa ammissione gli si era messo di traverso in gola quel giorno del 1959 («February made me shiver/with every paper I’d deliver»), componendo i versi e la musica del suo capolavoro: American Pie.

TheDaytheMusicDied200204-002Personaggio complesso, introverso e forse fin troppo pieno di sé, McLean è stato uno dei folk singers americani di maggior fama del ventesimo secolo, anche se non ha mai raggiunto i livelli di un Bob Dylan (da lui peraltro apostrofato come jester, giullare, e ricambiato con parole altrettanto sprezzanti). A McLean si deve tra l’altro la splendida Vincent (Starry, starry night) che racconta la storia di un altro introverso di talento, Vincent Van Gogh, contenuta nello stesso album a cui American Pie dà anche il titolo.

Questo dolce americano che ricorre come ritornello nella lunga ballata (otto minuti e mezzo, la regola dei tre minuti stabilita per i passaggi radio era già un lontano ricordo) che prende il via dal giorno fatidico, the day the music died, è un titolo da decifrare al pari della maggior parte dei suoi versi.

Per diverse decadi critici, giornalisti e curiosi si sono intestarditi nel farsi rivelare il significato, il messaggio della sua canzone, che intanto il pubblico della gente comune continuava – e continua – ad ascoltare e a cantare anno dopo anno. La sua spiegazione beffarda ha sempre gelato le aspettative di tutti: «They’re beyond analysis. They’re poetry». Viva la modestia, verrebbe da dire, ma nel caso di McLean come in ogni altro caso vale in ultima analisi il giudizio del pubblico.

Madonna200204-001Che ha decretato analogo favore alla cover di Madonna, eseguita nel 2000 per fare da soundtrack al suo film con Rupert Everett Sai che c’è di nuovo? (The Next Best Thing). Rinverdita e reinsediata trent’anni dopo ai primi posti delle hit parades mondiali, American Pie è e resta una canzone nostalgica, legata a quel periodo della storia (i favolosi cinquanta e gli altrettanto favolosi ma problematici sessanta) in cui sembrava che il sogno americano avesse servito sul piatto a tutti un dolce squisito, illudendo grandi e piccini in vista di un brusco risveglio, la perdita dell’innocenza.

Per McLean quella perdita era cominciata la mattina del 4 febbraio 1959, mentre nella natia New Rochelle, stato di New York, fascettava i giornali per andare a consegnarli door to door. Era continuata leggendo sempre sulle prime pagine dei giornali che consegnava tragedie quotidiane come quelle che riguardavano i morti nella battaglia per i diritti civili, l’inizio e il prosieguo sempre più virulento della contestazione giovanile, l’affermarsi del rock and roll come la musica in grado di cantare quella contestazione e tutti i fatti e fattacci contro cui si scagliava, da Elvis Presley (The King) al sottostimato giullare Bob Dylan, il maturare di frutti avvelenati come gli angeli del male di Charles Satana Manson o di quelli Hell’s Angels che ad Altamont svolgevano il servizio d’ordine e che causando la morte dello spettatore Meredith Hunter dettero il via al più grande disastro della storia del rock.

La storia è questa, queste sono le immagini che scorrono a tutt’oggi in sottofondo alle parole ed alle note di Don McLean. Addio, dolcezza americana. Non c’é altro da interpretare o da analizzare, e McLean l’ha detto chiaramente ed una volta per tutte: «You will find many interpretations of my lyrics but none of them by me … Sorry to leave you all on your own like this but long ago I realized that songwriters should make their statements and move on, maintaining a dignified silence (…) Basically in American Pie things are heading in the wrong direction. … Life is becoming less idyllic. I don’t know whether you consider that wrong or right but it is a morality song in a sense.»

Tutto qui, se vi sembra poco. Per chi preferisce, c’é poi la spiegazione meno ufficiale ma decisamente più semplice.

Giornalista: Sig McLean, ci vuol dire alla fine che cosa significa il testo della sua canzone?

Don McLean: Significa che non devo più andare a lavorare per vivere.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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